Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

sabato 27 febbraio 2010

Carne viva da curare o persone in cura?


Questo post, come altri, sembrerà un lusso. Ci sono problemi talmente gravi di corruzione e di furti organizzati proprio da chi amministra il servizio sanitario, che qualsiasi riflessione sul rapporto fra disagi dei pazienti e ideologie mediche e politiche sul servizio sanitario ai pazienti stessi può sembrare assurdo: come pubblicizzare un detersivo sotto i bombardamenti. Eppure, tutti nel blog siamo fermamente convinti dell’importanza delle idee, proprio in questo periodo, perché se mai finirà questa emergenza, solo le convinzioni di fondo maturate “sotto le bombe” determineranno il passaggio ad una società normalmente accettabile o normalmente inaccettabile.
In altre parole, io non credo che una volta bloccate le falle (ruberie e disservizi conseguenti alle ruberie) avremo automaticamente un servizio sanitario valido, così come non credo che una volta superato (se mai sarà possibile) il nostro capitalismo straccione e ladro avremo un (impossibile) “capitalismo dal volto umano”. Occorre pensare in grande, e da ora.
Poiché una società dal volto umano è ciò che ci interessa, mentre lasciamo alla magistratura ed ai “politici dell’emergenza” la lotta alla criminalità organizzata (e alla criminalità politica e amministrativa organizzata) noi continuiamo a toccare le questioni che sarebbero all’ordine del giorno in una società normalmente basata sul profitto, sui pregiudizi e sull’integralismo religioso.

Nel POST Giustizia e salute ho cercato di fare, con Elisa, un confronto fra gli interventi giudiziari e sanitari evidenziando sia una certa autoreferenzialità dei primi (“la giustizia ha i suoi tempi”), sia l’efficacia di quelli sanitari che, non a caso, danno luogo all’espressione “servizio sanitario”.
Sono arrivate alcune mail in redazione che rammentavano casi di “disservizi” sanitari, di arroganza e incompetenza dei medici, che sottolineavano il dogmatismo “scientifico” della medicina accademica o che ricordavano i danni alla salute determinati da protocolli terapeutici “ufficiali”, ecc. Temi rilevanti, a cui da sempre sono molto sensibile e a cui sarebbe stato opportuno almeno fare un cenno in quel post, dato che il servizio sanitario non è solo in genere migliore (nella tempistica) della “macchina della giustizia”, ma è anche un incubo per mille altri motivi.

Ho quindi messo in fila alcune esperienze personali fatte in passato, in città “privilegiate” come Ravenna e Bologna, per trarre qualche generalizzazione e per analizzare problemi non classificabili come “disservizi” e non riconducibili alla sottrazione di fondi destinati alla sanità.

Le mie esperienze personali hanno infatti confermato l’efficienza delle risposte mediche alle persone intese come “pazienti malati”: l’ambulanza aveva benzina sufficiente ed attrezzature adatte a fornire un pronto intervento fin dal tragitto all’ospedale, il Pronto soccorso ha fornito servizi immediati in casi gravi e servizi non immediati, ma adeguati, negli altri casi, e così via.
Devo quindi confermare che il servizio sanitario, se non è devastato da amministratori corrotti, non è autoreferenziale come il sistema giudiziario e risponde in modo razionale e rispettoso ai problemi fisici delle persone che hanno avuto un incidente o risultano malati.

Tuttavia, se il sistema giudiziario è autoreferenziale sul piano dei tempi (tratta le persone come esseri “atemporali”), il servizio sanitario è altrettanto autoreferenziale in un altro modo: tratta le persone come organismi.

L’esistenza umana, in quanto esperienza sentita e consapevole, che si sviluppa nel tempo, è oltraggiata, di fatto, sia da chi trascura la temporalità dei bisogni della persona, sia da chi trascura la dimensione soggettiva della persona. Elenco quindi alcuni temi che a questo proposito risultano significativi.
a) La cura dell’organismo, sganciata dalla cura della persona, è spesso (anche se non sempre), proprio da un punto di vista medico, un disastro. L’esito di un intervento chirurgico non cambia di molto se si anestetizza il paziente nel modo consueto (umano) o con la (umanissima) ipnosi o con una (disumana) botta in testa, perché dipende soprattutto dalla “mano” del chirurgo”, ma l’esito di un parto dipende (e come!) dal rapporto personale fra il medico e la paziente [cfr. il POST ..non disturbare il parto e la nascita].

b) Al di là delle eventuali conseguenze negative, strettamente mediche, di una pratica impersonale della medicina, voglio sottolineare, più in generale, che il fatto di trattare impeccabilmente l’organismo di una persona prescindendo dal rispetto per la persona, costituisce una violenza. Una violenza tanto più grave quanto più tocca situazioni delicate della vita della persona stessa.
A me, francamente, interessa poco se chi mi vende una cravatta mi tratta da persona o solo “da cliente”, ma trovo importante il modo in cui posso essere trattato da un medico. Tre anni fa feci una visita otorinolaringoiatria perché avevo una sinusite che mi dava spesso dei forti mal di testa. Io, col mal di testa non mi metto a letto “a soffrire”, ma continuo a fare le mie cose, ignorando il male, però, dopo un anno trovai il tempo per andare da un medico. Questa mente eccelsa mi disse una cosa sensatissima per il mio organismo, ma del tutto fuori luogo per me: mi disse che dovevo immediatamente smettere di fumare e che poi mi avrebbe prescritto le cure. Lo salutai in modo brusco, non smisi di fumare e mi tenni il mal di testa per molti mesi. L’assurdità dell’intervento del medico sta nel fatto che non stavo rischiando di morire, ma scoppiavo di salute, pur avendo qualche mal di testa. In seguito, avendo bisogno di un certificato di “sana e robusta costituzione fisica” per il patentino di equitazione, andai da un altro medico (dermatologo) che in vent’anni avevo incontrato un paio di volte, e che mi aveva fatto sempre una buona impressione, proprio sul piano umano. Volendo approfittare di quell’occasione per liberarmi della sinusite scelsi la sua persona trascurando la sua specializzazione. Mentre mi rilasciava il certificato gli raccontai della mia visita otorinolaringoiatria e della mia sinusite, ormai cronica. Disse una cosa che dovrebbe essere insegnata all’università: “certi medici, purtroppo, per fare il bene del corpo trascurano cose che poi portano i pazienti a non curarsi”. Anche questo medico non fumava, ma aveva un rapporto rilassato con i fumatori e soprattutto con suo padre, pure medico e grande fumatore. Mi disse quindi cosa fare, e da allora non ho più mal di testa.

Il buon senso ed il rispetto sono qualità rare sia nei medici, sia nei falegnami, sia nei cantanti, però la mancanza di intelligenza e di umanità di un medico fa più danni di quella di un falegname. Quando poi un medico è “blindato” nel servizio pubblico può produrre effetti devastanti.

Tra i dogmi impliciti della “cultura medica” c’è quello secondo cui, se i medici si occupano delle malattie non possono perder tempo a considerare i dettagli personali “di contorno”. In un ospedale militare sulle retrovie di un campo di battaglia questa idea può essere giusta, ma in genere non lo è. Una persona che arriva in ospedale, non solo sta male e spera di poter guarire, ma può non sapere la gravità delle sue condizioni e soprattutto non si sa orientare nello spazio dell’ospedale. Ha cioè bisogno di sapere se è in pericolo di vita, se sarà rimandato a casa o ricoverato, se dopo la visita dovrà attendere dieci minuti o tre ore per ricevere delle cure o fare degli esami. Non ne ha bisogno come organismo, ma come persona. In base alla “filosofia medica” che definisce il “paziente” come un “organismo”, le cure mediche devono essere scrupolosissime, mentre le attenzioni personali sono lasciate alla discrezionalità di medici e infermieri.

c) A maggior ragione, in base alla stessa filosofia, le esigenze personali di chi accompagna un/una paziente al pronto soccorso o va a visitare un/una paziente in reparto sono trascurabili.
Le sale d’aspetto sono dei carri bestiame decentemente arredati e la permanenza di persone reali in tali spazi non è considerata come un aspetto di un’esistenza personale da tutelare.
Capisco che le mie rimostranze possano sembrare puri capricci, dato che in certi ospedali nemmeno gli interventi sanitari sono decenti (condizioni igieniche inadeguate o interventi chirurgici con il classico “smarrimento” di un attrezzo o di un bendaggio all’interno del corpo operato e rattoppato). Resto però dell’idea che se si vuole affrontare un problema drammatico e urgente non si è obbligati a trascurare altri problemi importanti solo perché non sono “drammatici”.
Le persone “sane” che accompagnano o vanno a trovare quelle malate, di fatto, sono persone in difficoltà e da assistere. La malattia affligge in senso stretto un organismo, ma incide sull’intera esistenza di una persona ed anche su quella delle persone che vivono al suo fianco. Un uomo è colpito da un ictus e la sua vita cambia, ma cambia anche quella della persona che vive con lui o gli è vicina (la moglie, il fratello, il figlio). Mettiamo che un ictus colpisca Pippo e la moglie si trovi ad avere all’improvviso l’intera responsabilità dei tre figli che accudiva con il marito, più il cane e il canarino. Mettiamo che non possa prendersi un’aspettativa dal lavoro e che i giorni di vacanza ottenibili non siano sufficienti. Mettiamo che in questa situazione il sistema sanitario si aspetti il tipo di collaborazionene dei famigliari che normalmente pretende. In questa situazione probabilmente chi sta peggio è proprio la moglie. Inoltre, non tutti gli anziani hanno già una badante affidabile a disposizione e non tutte le persone giovani hanno dei famigliari o si trovano bene con i famigliari. E qui si arriva al quarto punto.

d) L’ospedale dialoga con i famigliari, come se le famiglie esistessero e come se, quando esistono, fossero degli ambiti di reciproca comprensione. Molte persone che hanno rapporti normalmente terrificanti in famiglia preferirebbero essere accudite in ospedale da infermieri piuttosto che dal marito o dalla moglie. Molte persone non vorrebbero essere accudite dai figli o dai genitori. Al contrario, le persone che pretendono facilmente un meticoloso accudimento da parte dei famigliari sono proprio le persone che i famigliari non hanno alcuna voglia di accudire.
Il Family day è una bella trovata pubblicitaria, ma il servizio sanitario nazionale dovrebbe considerare i fatti e non le ideologie rassicuranti. L’ospedale dovrebbe quindi avere come interlocutore il paziente ed eventualmente una persona scelta dal paziente e disposta ad assumere tale ruolo. Nelle famiglie reali, l’interlocutore dei medici può essere un famigliare, ma nulla fa pensare che ciò debba costituire un’ovvietà. L’unica cosa ovvia è che tale filosofia della famiglia andrebbe smontata sia nell’ambito del servizio sanitario nazionale, sia in tutti gli ambiti del rapporto Stato-cittadino.

Per ricapitolare, le cure del Servizio sanitario dovrebbero riguardare sia l’organismo dei pazienti sia le loro condizioni generali di tipo personale; inoltre il Servizio sanitario dovrebbe considerare sia la condizione complessiva del paziente sia quella delle persone coinvolte (cioè di quelle realmente vicine al paziente, famigliari o extrafamigliari).

Le persone affidate alle cure del Servizio sanitario hanno bisogno sia di trattamenti adeguati alle condizioni del loro organismo, sia di informazioni, comodità, assistenza personale e comprensione per le esigenze riguardanti la strutturazione del tempo nelle degenze. E’ previsto che un paziente abbia bisogno di fare una lastra, ma non è previsto che abbia bisogno di fare qualcosa, oltre ad aspettare la successiva visita del medico. Perché non è considerato normale che un paziente noleggi un walkman con auricolare, un computer portatile o una TV se deve passare ore da solo? Perché non è considerato normale che ottenga biancheria usa e getta o pigiami a noleggio se è ricoverato? Dove sta scritto che qualcuno possa o voglia fare la spola fra casa e ospedale per portare al paziente mutande o pullover? L’assistenza dei famigliari o degli amici dovrebbe essere considerata una libertà del paziente da rispettare e non una necessità dell’ospedale da far valere. Dove sta scritto che i medici debbano dare informazioni solo mezz’ora al giorno? E se in quella mezz’ora il marito o la moglie o la persona di riferimento deve andare a prelevare i bambini da scuola? Dove sta scritto che i regolamenti necessari per lo svolgimento del servizio medico debbano essere considerati a scapito delle esigenze dei famigliari o dei loro “interlocutori”.

E’ ovvio che sarebbe assurdo imporre ai medici di organizzare le loro prestazioni professionali sulla base delle esigenze (o magari dei capricci) dei pazienti o delle persone affettivamente legate ai pazienti. Ma dovrebbero essere soppesate sia le esigenze dei medici (che non possono fare né gli assistenti sociali né i baby-sitter) sia le esigenze dei famigliari dei pazienti che spesso sono davvero in difficoltà.
Un ricovero in ospedale comporta dei problemi che i medici hanno il dovere e la capacità di affrontare, ma anche altri problemi che non possono essere trascurati né appioppati a medici o infermieri che sono già presi da specifiche responsabilità. La persona presa in carico dal Servizio sanitario dovrebbe quindi essere affidata ai medici per le questioni di ordine strettamente sanitario, ma tale persona ed anche i suoi cari, dovrebbero poter fare riferimento ad altri professionisti per la gestione di tutta la situazione. Tali figure di riferimento dovrebbero relazionarsi da un lato con gli operatori sanitari e da un altro lato con il paziente inteso come persona (e con le persone affettivamente e praticamente coinvolte nella situazione in esame) per ottimizzare le degenze, le attese, le varie situazioni pratiche inevitabilmente importanti per la vita reale delle persone coinvolte.

Fantascienza? No: realismo. E’ (brutta) fantascienza l’idea che si ammalino solo degli organismi staccati dalle persone e che tali organismi siano collegati al resto del mondo solo con “legami di sangue” (famigliari). E’ (brutta) fantascienza l’idea che un incidente stradale o un ictus colpisca solo della carne viva, senza incidere sul tempo vissuto di persone reali e di persone affettivamente legate alle prime. Il rispetto per le esistenze personali non è un lusso.

Di fatto, siamo sospesi fra una nascita di cui non ricordiamo nulla e una fine di cui non sappiamo nulla. Nella zona intermedia fra questi due estremi, sentiamo desideri e proviamo emozioni che dipendono da come riusciamo a soddisfare tali desideri e da come gli altri ci favoriscono o ci ostacolano nello sforzo di fare, ricevere, esprimere o dare qualcosa. Tutto ciò rende grande il nostro mondo. Più grande di quello di un computer che può anche fare cose inimmaginabili per le nostre testoline, ma che sicuramente non sente nulla mentre fa ciò che fa. Insomma, al di là di quanto siamo bravi a giocare a tennis o a risolvere equazioni, siamo fragili, sempre sospesi fra un attimo e un altro, sempre “toccati” da qualcosa. Questa “roba” c’entra poco con il male a una spalla o con una cattiva digestione. Queste seccature incidono su un progetto di vita più ampio, dato che persone diverse con lo stesso disturbo fisico reagiscono in modi diversi: c’è chi con 38 di febbre rimugina su “quando starà bene”, chi rompe le palle al prossimo parlando di “quanto sta male”, chi si mette a letto come se fosse moribondo. C’è anche chi cerca colpevoli (“chi è quello stronzo che può avermi contagiato?”) e chi fa le cose di sempre sopportando quel fastidio. Con disturbi più gravi queste variabili psicologiche e altre variabili non psicologiche, ma importantissime, ricevono forti contraccolpi che i medici e gli infermieri non hanno (giustamente) né la capacità né la voglia di trattare, ma che vanno prese in considerazione.

La persona che va in ospedale (come quella che va in un negozio) porta con sé tutto “il carico” della sua vita, ma difficilmente in un negozio è vulnerabile come in ospedale. Ora, chi viene ricoverato in ospedale per un banale malore o per un disturbo più grave, non è un “oggetto” che “ha” un disturbo. E’ una persona che “ha sbattuto in quel disturbo” mentre stava vivendo l’unica vita “fatta così” in tutto l’universo, perseguendo uno scopo che mai nessuno aveva immaginato.
Sono più o meno complesse le cose che facciamo, ma gli scopi che animano ciò che facciamo definiscono in qualche misura un’intera vita. Chi sta cercando di far firmare un trattato in un teatro di guerra fa cose più complesse di chi cerca di riparare una lavatrice. Ma entrambi i progetti personali sono quelli di un’intera persona. Sono più o meno “nobili” o gravidi di conseguenze gli scopi perseguiti, ma in tutti i casi rientrano in una consapevolezza di sé, che è unica e sacra.
A volte, si possono fare cose semplici e con conseguenze modeste per scopi elevati (chi ripara una lavatrice può aspirare a dare al figlio una vita migliore di quella che lui ha avuto) e a volte si possono fare cose complesse con conseguenze importanti, ma per scopi ridicoli (condurre bene una missione diplomatica per comparire sui giornali).
Tuttavia, indipendentemente dal mix di azioni, sentimenti e scopi, chi vive, dà forma ad un’intera vita in ogni momento. Una malattia o un disturbo fisico di una certa importanza, quindi, non colpiscono solo un organismo, ma un’intera esistenza.

Se i medici trattano i pazienti come “carne da curare”, spesso i politici trattano, purtroppo, i cittadini come … “carne da spolpare”. La realtà è spiacevole, ma evidente. A nessun politico viene mai in mente un’idea che riguardi l’essere persona dei cittadini. I progetti di riforma riguardano “stanziamenti”, divieti, regolamenti. Lo schifo impersonale di una società anonima non viene mai affrontato come un orrore da eliminare e da sostituire con nuove realtà adeguate alla dimensione personale dei cittadini. Questi ultimi, poi sono così rassegnati che ormai non aspirano nemmeno ad essere trattate con rispetto. Danno per scontato che il lavoro sia uno schifo e aspirano solo a guadagnare stipendi più decenti. Danno per scontato che il modo in cui vengono prelevate le tasse sia oltraggioso e aspirano solo a pagarne meno. Né i politici né gli elettori esprimono esigenze profonde di cambiamento riguardanti la qualità della loro vita, il MODO in cui si lavora, si commercia, in cui i bambini crescono, gli anziani trascorrono la loro vecchiaia e i malati vengono trattati dal Servizio sanitario.

Mi spiace che negli anni ’60 la fantasia non sia andata al potere, ma mi spiace soprattutto che sia del tutto scomparsa. Senza un sogno, una fantasia, un progetto di miglioramento della qualità della vita, la politica è solo amministrazione dei dettagli (oltre ad una mancanza di rispetto legalizzata). Una politica con meno corruzione amministrerà meglio i dettagli, ma resterà un oltraggio alla vita reale delle persone.

Queste riflessioni, come quelle di altri post, piaceranno da matti ad alcuni lettori affezionati, ma non piaceranno ai politici che sono venuti in contatto con il blog grazie all’occasione fornita dalle quattro lettere aperte.
Per loro (e parlo ovviamente di quelli “progressisti”) si deve discutere di corruzione da eliminare, di stanziamenti da fare grazie ad una nuova tassa, e di “robe così” (peraltro giustissime). Non si può discutere di sale d’aspetto decenti, con camerini privati, in cui chi passa tre ore di notte per sapere se un suo caro potrà sopravvivere, possa almeno rilassarsi senza avere nelle orecchie gli strilli di un bambino che ha mal di pancia o le chiacchiere interminabili di persone a cui non si può dare una martellata, possa risparmiarsi di prendere l’influenza in full immersion fra gente che scatarra a non finire, e magari possa fumarsi una sigaretta. Per loro è immaginabile un aumento dell’organico degli infermieri, ma non l’inserimento nell’ospedale di operatori dell’accoglienza capaci di mediare fra le necessità/gli obblighi dei medici e le necessità/possibilità delle persone che accompagnano nella vita chi è ricoverato.

Supponiamo però che qualche responsabile di partito ci senta da questo orecchio. Rischia, a questo punto di pensare alla cosa nel quadro di riferimento della filosofia del controllo [cfr. i tre POST Cultura del controllo e cultura del rispetto, Il controllo dell'infanzia e del traffico, e Il paradosso della cultura del controllo]: si può bandire un concorso per il ruolo di Operatore dell’accoglienza riservato a chi ha più di 22 anni e meno di 35 (perché?) ed è diplomato … eventuali titoli di studio post-diploma saranno valutati 2,5 punti per le lauree, se conseguite entro il 27° anno di età e 1,8 punti se conseguiti successivamente ... eventuali titoli post laurea saranno valutati 3,1 punti se conseguiti in Italia e 3,8 punti se conseguiti all’estero ... si dovrà presentare un certificato di sana e robusta costituzione fisica ... il diploma artistico e musicale varrà 0,50 punti in meno rispetto agli altri … e la laurea in psicologia varrà 1,2 punti in più rispetto alle altre ... obbligatoria la patente di guida ed il controllo mensile del tasso alcolico ... penalizzate le persone con capelli lunghi, per motivi igienici … da superare un test di abilità nella compilazione di moduli e scartoffie.

E’ terribile scherzare su queste cose, lo so. Però se uno va in Comune a spiegare che vuole aprire a casa sua una porta sul retro non ottiene il permesso, nemmeno dopo aver presentato un progetto in 600 copie firmate da un ingegnere.

Immaginiamo però che qualche funzionario politico consideri valide le riflessioni “personalistiche” di questo post e sia anche ostile alla cultura del controllo. Ne parlerà in un blog, in una riunione di partito, in un’assemblea di delegati o robe del genere.
Nei blog dei vari partiti di sinistra ho già fatto un mucchio di interventi di persona senza avere alcun riscontro dal titolare del blog e in genere nemmeno dai partecipanti al blog (tutti interessati soprattutto a sputare veleno contro il Presidente del consiglio). Cosa succederà se il nostro amico o alleato o compagno comincerà a parlare nel suo partito di queste cose?
Beh! Se lo farà, comunichi i risultati al nostro blog.

Io non frequento medici, salvo che per rapporti di amicizia o di lavoro (nel senso di un mio lavoro nei loro confronti). Frequento solo (a cadenza biennale) un medico che considero anche una persona cara, che fa analisi “di terreno” (con un prelievo stabilisce il livello di funzionamento biologico dell’organismo – un esame che altrove è ben noto, ma in Italia è fantascienza). Frequento raramente un altro “medico dal volto umano” di cui ho parlato nel post. Se ho emergenze interpello il veterinario che è un amico. Si ripete il teatrino: lui che dice che non può curarmi e che gli dico che comunque non andrò dal medico e quindi che agisca con coscienza. Mi consiglia qualche prodotto erboristico e tutto finisce lì. Con una tendinite ad un ginocchio ho finito di tagliare una ventina di alberi (un male boia!) e con una spondilolistesi e spondilolisi vado a cavallo. Detesto chi si preoccupa troppo del corpo e credo che questo sia l’unico modo per conservare bene il corpo sgravandolo di ansie inutili e preoccupazioni ossessive.
Non ho problemi ad andar via da questa “valle di lacrime …e di risate. Mi sono divertito molto e ho anche sofferto molto. Ho imparato abbastanza. Continuo a cercare di capire delle cose nuove e continuo a piangere e a spassarmela, ma non sento la necessità di invecchiare qui.
C’è però il pericolo che invecchi e che invecchi con malattie gravi ed invalidanti. Non avendo figli non sarò un peso per nessuno, ma non lo sarei comunque, perché i figli non si devono fare con l’intenzione di tenerli a servizio negli anni migliori. Non vorrei pesare nemmeno sugli amici e non lo farò. Non lo ho mai fatto. Peserei volentieri sul Servizio sanitario, ma ho spiegato che, a mio avviso, esso tratta carne viva e non persone. Cercherò, quindi, nei limiti del possibile di schivare anche da vecchio le “attenzioni dei dottori”.
Sono contrario all’eutanasia, perché finché si vive, anche se si soffre si può provare compassione per sé e si possono fare molte cose per gli altri. Sono però contrario a qualsiasi accanimento terapeutico e invito vivamente i prelati che considerano sacra la vita ad essere coerenti: anziché riciclare miliardi nella banca vaticana e condannare chi interrompe gravidanze o chi vuol lasciar spegnere una vita puramente vegetativa, si liberino dei loro miliardi e riempiano tutti i villaggi dell’Africa di pozzi belli grandi: l’acqua è vita.
Personalmente, continuerò ad evitare i medici e cercherò soprattutto di non consegnare a loro i miei ultimi anni.. Ma al di là della mia piccola vita, ci sono le vite di tanti che nemmeno si chiedono come vivere e quindi non si preparano affatto a morire. Persone inesorabilmente consegnate al Servizio sanitario nazionale. La corruzione va estirpata, ma le scelte politiche sull’argomento dovrebbero andare al di là della buona amministrazione della “carne viva da curare”.

Gianfranco

Per scriverci

Inviare eventuali commenti o contributi (senza allegati) scrivendo a:
many.bloggers@gmail.com

Note legali

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge 62 del 7/3/2001.

Questo blog non effettua trattamento di dati personali ai sensi della legge 196/2003.

(Copyright) Tutti i contenuti delle pagine web di questa rivista telematica sono proprietà dei rispettivi autori. Ogni riproduzione, ri-pubblicazione, trasmissione, modificazione, distribuzione e download del materiale tratto da questo sito a fini commerciali deve essere preventivamente concordato con gli autori. E` consentito visionare, scaricare e stampare materiale da questo sito per uso personale, domestico e non commerciale.