Questo secondo “breve post” non è un (drammatico) intermezzo di informazione come il precedente [cfr. Breve post: ambiente, ricchezza e povertà] ma un intermezzo di strepitosa bellezza. Anche se può far pensare con dolore ai rapporti umani che normalmente sono più miseri delle esperienze qui filmate, è soprattutto un regalo che ci è stato fatto e che volentieri condividiamo con chi ci legge.
"In tutte le comunità umane sono stati presenti gli animali, in primo 1uogo e inevitabilmente il cane, il cui sodalizio con l'uomo è incredibilmente antico, quasi una simbiosi. Ma oltre al cane, nel corso dei secoli sono state addomesticate innumerevoli altre creature, dalle renne alle donnole, dagli elefanti ai cormorani. Sono state rese domestiche soprattutto perché erano utili all'uomo - aggiogate ai carri o cavalcate,e la carne, il latte, la lana o le pelli, per le piume
e le uova, per distruggere i parassiti, o per aiutare l'uomo nella pesca e nella caccia. Si potrebbe supporre, in linea di principio, che tutte queste forme di sfruttamento non avessero consentito un coinvolgimento personale o emotivo di nessun genere, e che gli animali
fossero quindi considerati dagli uomini semplicemente come delle macchine. Volendo applicare la radicale dicotomia kantiana tra persone e cose, soggetti e oggetti, con la pretesa di catalogare ogni cosa come l'uno o l'altro, potremmo aspettarci che gli animali fossero collocati senza ambiguità fra le cose. Ma in effetti se gli uomini li avessero considerati in questo modo, non sarebbero con ogni probabilità riusciti ad addomesticarli: un animale, anche il più collaborativo, non può reagire come una macchina. Gli animali divennero domestici non per paura, ma perché erano in grado di comprendere i segnali sociali loro rivolti e di istituire legami individualizzati con l'uomo. Impararono ad obbedire all'uomo all'interno di un rapporto personale. E furono in grado di farlo non solo perché gli uomini che li addomesticarono erano esseri sociali, ma anche perché lo erano loro stessi.
[..]fossero quindi considerati dagli uomini semplicemente come delle macchine. Volendo applicare la radicale dicotomia kantiana tra persone e cose, soggetti e oggetti, con la pretesa di catalogare ogni cosa come l'uno o l'altro, potremmo aspettarci che gli animali fossero collocati senza ambiguità fra le cose. Ma in effetti se gli uomini li avessero considerati in questo modo, non sarebbero con ogni probabilità riusciti ad addomesticarli: un animale, anche il più collaborativo, non può reagire come una macchina. Gli animali divennero domestici non per paura, ma perché erano in grado di comprendere i segnali sociali loro rivolti e di istituire legami individualizzati con l'uomo. Impararono ad obbedire all'uomo all'interno di un rapporto personale. E furono in grado di farlo non solo perché gli uomini che li addomesticarono erano esseri sociali, ma anche perché lo erano loro stessi.
Ci si rivolge ai cani e ai cavalli chiamandoli per nome, e ci si aspetta che capiscano quanto gli si dice. Il che non avviene nel caso delle pietre, degli utensili, delle macchine. Il rapporto con gli animali domestici è sempre stato personalizzato - se non li consideriamo 'persone' è solo perché questa parola designa generalmente (con l'eccezione della Trinità) esseri della specie Homo sapiens. Nessuno, comunque, si sognerebbe di considerarli delle cose: essi sono animali, esseri con un proprio punto di vista, e la categoria di animale è affine perciò a quella di persona e non a quella di cosa.
Sono considerazioni importanti, perché portano alla luce qualcosa che può apparire sorprendente: la capacità dell'uomo di osservare, ed entro certi limiti comprendere, le reazioni e gli stati interiori di esseri che non appartengono alla sua specie. Senza dubbio questa capacità ha dei limiti, che l'insensibilità umana a volte rende evidenti. Ma un'analoga sensibilità si registra spesso anche nelle relazioni dell'uomo con i suoi simili. In entrambi i casi può essere difficile rispondere alla domanda se una persona si renda conto delle sofferenze di cui è causa. Può darsi che l'insensibilità sia il non sapere, ma perché non si vuole, perché non si osserva. Per sapere, basterebbe decidere di prestare attenzione." [Mary Migdlay, Perché gli animali, Feltrinelli, 1985]
Gianfranco, Marcello e Silvia