Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

domenica 21 febbraio 2010

Sogni e politica


La parte conclusiva del film Il dittatore di Charlie Chaplin, continua a commuovere moltissime persone: un uomo semplice si trova su un grande palco al posto del dittatore che una folla oceanica, ebbra di sentimenti confusi, attende. Le persone vogliono un discorso che faccia vibrare i loro cuori irrigiditi, che ecciti le loro menti con idee nazionaliste; che le rassicuri sulla superiorità della loro razza e le infiammi con frasi cariche di odio. L’uomo semplice sul palco sa di essere fuori posto e sa che deve dire qualcosa, ma non sa cosa dire di adatto alla situazione bizzarra in cui è stato catapultato. Decide, quindi, di dire semplicemente ciò che pensa, scoprendo poi che in fondo le ovvie verità che pronuncia sono quelle di cui i suoi spettatori avevano davvero bisogno.
Pronuncia parole inaspettate che toccano corde sensibili degli animi degli ascoltatori. All’improvviso, la “massa” diventa “un insieme di persone”. Tutto viene capovolto e ogni cosa torna al suo posto: la gente che voleva parole di guerra si entusiasma ascoltando parole di fratellanza. Scena bellissima, che riempie il cuore di quella verità che riguarda ogni essere umano. Riportiamo alcuni stralci di quel lungo discorso.

“Scusate, ma (…) non voglio governare o conquistare nessuno. Mi piacerebbe aiutare tutti, se fosse possibile: gli ebrei, i gentili, i neri, i bianchi.
Noi tutti vogliamo aiutarci vicendevolmente. Gli esseri umani sono fatti così. Vogliamo vivere della reciproca felicità, ma non della reciproca infelicità. Non vogliamo odiarci e disprezzarci. Al mondo c’è posto per tutti. E la buona terra è ricca e in grado di provvedere a tutti.
La vita può essere libera (…), ma noi abbiamo smarrito la strada: la cupidigia ha avvelenato l’animo degli uomini, ha chiuso il mondo dietro una barricata di odio, ci ha fatto marciare, col passo dell’oca, verso l’infelicità e lo spargimento di sangue. Abbiamo aumentato la velocità, ma ci siamo chiusi dentro. Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno lasciato nel bisogno. La nostra sapienza ci ha resi cinici; l’intelligenza duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità. Più che d’intelligenza abbiamo bisogno di dolcezza e bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto (…)
A quanti possono udirmi io dico: non disperate. (…) L’odio degli uomini passerà, e (…) finché gli uomini saranno mortali la libertà non perirà mai. (…)
Battiamoci per un mondo nuovo, un mondo buono che dia agli uomini la possibilità di lavorare, che dia alla gioventù un futuro e alla vecchiaia una sicurezza.
Promettendoci queste cose i bruti sono saliti al potere. Ma essi mentono! Non mantengono quella promessa. Né lo faranno mai! I dittatori liberano se stessi ma riducono il popolo in schiavitù. Battiamoci per liberare il mondo, per abbattere le barriere nazionali, per eliminare l’ingordigia, l’odio, l’intolleranza. Battiamoci per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso conducano alla felicità di tutti. (…)” (C. Chaplin, 1964, La mia autobiografia, trad. it. Mondatori, Milano, rist. 1977, pp. 424-425)

Parole di questo tipo mancano nel lessico della politica contemporanea.

Parole sconvolgenti nel film, perché pronunciate in un luogo in cui erano attese le grottesche banalità del dittatore. Parole che sarebbero però sconvolgenti anche oggi, nel nostro miserabile paese. Parole forse generiche, relative a principi di fondo che non colgono la specificità dei temi che i politici devono comunque affrontare. Ma parole che danno un senso a qualsiasi riflessione politica riguardante problemi particolari.
Ormai siamo abituati ad un balletto bizzarro in cui
-alcuni politici reazionari esprimono concetti assolutamente demenziali, ma che, grazie alla reiterazione, diventano quasi ovvi per il “popolo del TG",
-alcuni politici “progressisti” restano supinamente sullo stesso piano, per affermare contro-demenze,
-il papa e alti prelati (e solo loro, senza che alcun politico immagini di poter svolgere questa funzione), intervengono in questi dibattiti proclamando principi morali; in realtà proclamano principi astratti che non hanno nulla a che fare con il loro reale operato (manovre finanziarie discutibili, occultamento dei crimini contro i bambini finché non interviene la magistratura, rastrellamento di fondi statali per il mantenimento delle loro attività private di tipi “religioso”).
E tale incubo si ripete quotidianamente davanti allo sguardo intontito di gente che “non crede nella politica”, davanti allo sguardo indignato di qualcuno che ci ha creduto e davanti allo sguardo distratto di chi aspetta il Festival di S. Remo o la scampagnata del week-end.

E nessun commento. Solo commenti tecnici. I giornali in genere trattano ogni idea demenziale come se fosse un “punto di vista” e trattano ogni espressione di dissenso contro-demenziale come se fosse un altro “punto di vista” e stampano copie che nessuno compra, ma che tutti pagano con le tasse “dedicate” al “sostegno all’editoria”. Ci sono però anche manifestazioni serie di autentico dissenso: queste pochissime voci (cartacee o telematiche) anziché esprimere delle contro-demenze, gridano ad alta voce che la politica è marcia. Bene. E poi? E poi nulla. Qualche giusta accusa ai corrotti, qualche giusta testimonianza di solidarietà alla magistratura, qualche carezza al "popolo viola" e basta.

Mancano voci politiche che in positivo preparino un vero ricambio nella gestione del potere.
Se in un solo giorno, per miracolo, tutti i delinquenti politici andassero in galera e in pochi mesi, con nuove elezioni un’ampia maggioranza costituita solo da componenti della sinistra non implicate in vicende di corruzione potesse governare, accadrebbe una cosa inquietante: tutti i leader di tale “nuova opposizione” si guarderebbero in faccia e non saprebbero che fare. Farebbero riunioni frenetiche e proporrebbero qualche leggina già scritta in brutta copia o improvvisata (sulle piste ciclabili e sugli ammortizzatori sociali). Tutto lì. Sarebbero già pronti per perdere le successive elezioni.

Il punto è proprio questo: senza una forte affermazione di valori unificanti (non solo del valore della lotta alla corruzione!) e di principi profondi e coerentemente sviluppati non c’è modo di formulare e nemmeno di immaginare coerenti e “dirompenti” iniziative legislative.
Se qualcuno c’è, batta un colpo, dato che, se ogni cinque anni la sinistra deve perdere le elezioni, tanto vale tenersi stabilmente la destra oppure andare tutti all’estero e lasciare l’Italia ai leghisti, ai mafiosi ed agli extracomunitari (disposti a tutto pur di stare qui).

Ogni epoca include specifiche battaglie politiche, che magari dopo mezzo secolo sembrano assurde. Sembra quasi impossibile che in Italia si sia dovuto fare un referendum per abolire la monarchia. Eppure alcuni dei nostri nonni sono nati sotto un re, come nelle favole. Dobbiamo sperare che, fra cinquant’anni, la cultura di massa non abbia fatto diventare tutti idioti e che le persone possano considerare l’attuale “dibattito politico” come un incubo dell’epoca delle caverne. Sarebbe terribile se i posteri pensassero a questo inizio di millennio come ad un’epoca di “approfondimenti filosofico-sociali”.

Da quando la sinistra è divenuta una “ex-sinistra”, pur potendo contare su un’ampia (numericamente maggioritaria) base di consensi, vive a rimorchio della destra. Lo svuotamento dei contenuti, magari discutibili o imperfetti, ma realmente appartenuti, in passato, alla sinistra ha portato gli attuali “fantasmi di sinistra” ad esistere grazie alla destra. La destra fa proposte “politiche” che sono rilevanti solo sul piano giudiziario o psichiatrico e la sinistra parla solo di accordi da fare con la destra o di dissensi relativi alla politica di destra.
Il vuoto di contenuti della sinistra va bene solo a chi (partendo da destra o da sinistra) ha fatto il “salto televisivo” cioè a quella sempre crescente parte dell’elettorato che è indifferente alla società, “attorcigliata su temi privati” non chiari e orientata a “non pensare e non sentire”. Questa fetta “drogata” dell’elettorato, in parte prende per buone le idiozie “politiche” di destra e in parte prende per buone le risposte educate o anche maleducate dei politici “sinistri”. Questi cittadini trattano la politica come una partita fra due squadre per cui non fanno nemmeno il tifo: seguono distrattamente il gioco, apprezzano un goal e finiscono di mangiare il gelato.

Tuttavia, una parte di questo elettorato non è irrimediabilmente atrofizzata sul piano intellettuale, emotivo e morale: potrebbe (se opportunamente sollecitata) destarsi dal sonno profondo indotto da dosi massicce di sedativi televisivi. Esiste anche un’altra parte dell’elettorato che non è affatto atrofizzata e sente esigenze materiali e/o esigenze morali e/o esigenze culturali di lotta politica costruttiva. Gente che non vorrebbe stare a guardare le partite degli altri, ma scendere in campo o almeno vedere in campo la squadra del cuore … se ci fosse un campo vero e non solo un vuoto.
C’è quindi una maggioranza potenziale di persone che semplicemente non viene svegliata (se dorme) e non viene interpellata se è già sveglia. E’ la maggioranza (ampia e non ristretta) che ha sempre affrontato situazioni di emergenza (colpi di stato, guerre) a testa alta, ma che potrebbe affrontare anche l’emergenza del grigiore, se trovasse interlocutori.
Interlocutori politici validi, portatori di progetti legati a valori e non semplicemente indifferenti o critici nei confronti dei progetti reazionari legati a disvalori.
Interlocutori interessati cioè a far politica e ad affermare i valori della solidarietà, dell’egualitarismo e della libertà. Interlocutori di sinistra nella mente, nel cuore e non solo “sulla carta” (ove la carta è la scheda elettorale).

Il momento è estremamente crtico per vari motivi.
a) Le forze conservatrici hanno il controllo dell’informazione, oltre che dell’intrattenimento, dello spettacolo e della pubblicità.
b) Molti imprenditori non si accontentano più dei profitti, ma vogliono i lauti extra ottenibili con la corruzione.
c) Molti imprenditori sono stati sostituiti da entità giuridiche impersonali e indefinite che guadagnano sia sul lavoro di altri sia sulla ricchezza di tutti, grazie alla corruzione, a operazioni finanziarie improduttive e alla frantumazione dei processi produttivi (esternalizzazione della produzione all’estero e quindi utilizzazione di lavoro minorile o di manodopera sottopagata) con conseguente crollo dell’occupazione.
d) I nuovi capitalisti straccioni (corrotti) legano i loro interessi a quelli della criminalità organizzata, del Vaticano, degli amministratori locali che si lasciano corrompere, dei ministri e dei deputati (anche di opposizione, a volte) che controllano le regole di questo nuovo gioco perverso.
e) I partiti di sinistra sono ormai inesistenti come movimenti di cultura alternativa e a volte sono anche deboli sul piano organizzativo ed elettorale; se sono forti fanno tante fesserie da perdere la fiducia degli elettori.

Non è affatto scontato che la situazione politica debba migliorare. Se però l’esigenza di cambiamento (sentita da molti e potenzialmente percepibile da moltissimi) trovasse interlocutori politici realmente disponibili a fare politica, quale progetto politico potrebbe risultare vincente?
Sicuramente NON un progetto politico moderatamente riformista.
Sicuramente NON un progetto politico ridotto a onesta amministrazione del presente.
Sicuramente NON un progetto politico confuso proposto da un’accozzaglia di partitini ed ex-partiti (come l’Ulivo), sostenuto in parlamento da una maggioranza parlamentare “tiepida” e sostenuta elettoralmente da una maggioranza di elettori non convinti, ma semplicemente esasperati dagli errori del governo precedente.

Un cambiamento profondo e stabile della società può derivare solo da due condizioni:

A) una leadership moralmente limpida, portatrice di una cultura del cambiamento, determinata ad attuare riforme radicali e molto disturbanti per la classe dominante, disposta a correre i rischi che tale impegno comporta,
B) una sentita e appassionata esigenza di rinnovamento sociale, culturale e politico da parte dei cittadini.
Partendo da questa premessa, risulta indispensabile un lavoro culturale molto profondo, che produca un nuovo tipo di quadri politici e che conquisti i cuori e le menti dei cittadini.

Le “contraddizioni materiali” di cui parlano i sacri testi del marxismo non possono portare da nessuna parte. Sia perché il capitalismo è cambiato (è diventato più “cattivo”, ma anche proteiforme, indefinito). Sia perché la cultura dominante non è più una cultura “di classe” in senso stretto (e quindi non è contestabile da parte della “classe dominata”), ma è semplicemente una non-cultura dell’idiozia. Sia perché gli stessi contorni della classe dominata sono ormai indefiniti. Non è il caso di tornare a categorie interclassiste o moraliste (il “popolo”, ecc.), ma è il caso di dire ad alta voce che il capitalismo non è più un tumore solido (operabile), ma una nube di metastasi.

In questa situazione il primato del cambiamento spetta alla cultura: una cultura del cuore, della mente, dei sogni collettivi e non solo una cultura “classista”. Non servono i nostalgici della falce e del martello e nemmeno i buonisti della dottrina sociale della chiesa. Serve una grande cultura del cambiamento capace di includere tutte le micro-culture ricche di ideali e capace di diventare pratica legislativa e sociale. Oggi che il classismo non può essere annullato, ma può essere solo attenuato, occorre una fortissima coesione nella definizione di un progetto politico capace di unire le persone in un umanesimo radicale, comunitario antitetico rispetto alla logica del potere manifestata dal capitalismo impersonale e globale.

Dove sono oggi i capitalisti? Ha più capitali un industriale che possiede dieci ettari di capannoni e magazzini o una finanziaria che raccoglie i risparmi di cento capitalisti, diecimila impiegati e centomila operai? Ha più potere un industriale che paga il pizzo o una famiglia di dementi che gira con la pistola e riscuote il pizzo contando sull’appoggio di grigi funzionari dei “palazzi della politica”? Ha più potere un artigiano che ha cinque operai e paga le tasse o un professionista che non le paga?
Non solo. Ha più potenzialità “rivoluzionarie” un operaio specializzato non credente che guadagna 1600 € al mese o un bracciante nelle mani del caporalato mentalmente “preso” da angosce religiose? Ha più potenzialità rivoluzionarie uno studente del ceto medio che studia davvero o uno studente di famiglia proletaria che passa il tempo libero a farsi canne o ad ubriacarsi?

Le carte sono tutte rimescolate. Dobbiamo avere fiducia nella voglia di vivere delle persone, di tutte le persone, perché solo questa può risultare più forte della “voglia di dormire” iniettata direttamente nel cervello dalla non-cultura del post-capitalismo.
I privilegiati, i corrotti, i mafiosi, gli alti prelati non sono recuperabili e nemmeno è recuperabile quella fetta della “classe lavoratrice” completamente ipnotizzata da ideologie regionaliste o bigotte o razziste. Tutti gli altri sono però recuperabili, se si comincia a parlare PROPRIO delle cose che tutti temono, ma che tutti vogliono (da qualche parte) farsi ricordare: sentimenti forti, ideali condivisi, progetti creativi, cambiamenti radicali, voglia di vivere. Oggi una “rivoluzione proletaria” sarebbe una barzelletta, con buona pace dei gruppetti che ancora attaccano falci e martelli alle loro bandierine, ritenendo di interpretare le esigenze di un proletariato che in molti casi è più reazionario della borghesia e vuole solo prendersela con gli extracomunitari o guardare il Grande Fratello. Oggi è possibile solo una rivoluzione culturale che spezzi alcune delle tante catene ideologiche che le persone da un lato vogliono, ma in fondo detestano. Solo questa può avvicinare i proletari che si sentono lavoratori e non solo “poveri” e le altre persone che si sentono parte della società e non entità numeriche.

Non si batte la disoccupazione con la cassa integrazione diffusa, ma con scelte economiche veramente innovative. Non si batte il razzismo con la moderazione, ma con una cultura libertaria e laica che emargini gli integralisti cattolici e quelli di altre religioni. Non si batte il patriottismo comunale o regionale con il patriottismo nazionale, ma con una cultura umanistica forte capace di avvicinare le persone al di là del loro certificato di residenza e del colore della loro pelle. Non si batte la corruzione e il malcostume solo cercando di processare ladri e puttanieri di stato, ma liberando idee di partecipazione sociale ad una grande comunità.

Nessuna leadership “progressista” preoccupata di elemosinare i voti dei moderati o preoccupata di denunciare solo le illegalità o preoccupata di promettere un’amministrazione meno indecente degli enti locali, può catalizzare le energie disponibili, anche se temporaneamente surgelate. Serve una leadership che in qualsiasi movimento o partito “progressista” rimetta in gioco “l’anima” della politica: l’idea di essere, tutti assieme, “comunità”. Serve il disgusto per una società anonima di individui indifferenti ai loro simili. Serve l’insofferenza verso la paralisi del tempo vissuto delle persone.
La politica non può modificare i disastri psicologici delle persone, ma può recuperare gli entusiasmi comunque disponibili nelle persone per la partecipazione ad un sogno più grande dei loro piccoli sogni privati. Serve nuova linfa al dibattito politico. Roba genuina e a lunga conservazione.

Ma dove sta scritto che “rompere gli schemi”, pensare in grande, progettare cambiamenti mai immaginati comporti delle sconfitte?! Dove sta scritto che progettare dei sogni non porti a nulla?! E’ vero, “la fantasia al potere” è stato uno slogan bellissimo che non si è tradotto in una vittoria, ma molti sogni hanno avuto gambe e non solo cuore.

Muhammad Yunus, un giovane docente universitario avviò nel 1976 un processo materiale, economico che oggi è la Grameen Bank facendo una semplice ricerca e rilevando personalmente un prestito di 27 dollari contratto da 42 persone con gli usurai: nemmeno un dollaro a persona. Le Banche non erano interessate né a fare prestiti così modesti (e poco redditizi), né a fare prestiti a persone che non potevano offrire garanzie. Quella semplice azione è stata ripetuta in altri villaggi, in altre zone del Bangladesh e in altri Stati. Scrive Yunus “Quando parliamo di persone povere, non parliamo di materiale inerte; le persone non sono cose inanimate, sono esseri umani, non animali, ma esseri creativi. Tutto ciò di cui hanno bisogno è un modello istituzionale che permetta loro di realizzare la loro vita” (citazione tratta da Il credito come diritto umano, CNS-Ecologia Politica, nn. 1-2, gennaio-giugno 2004, Anno XIV, fascicoli 57-58. PDF). Il sistema impostato da Yunus si è diffuso in oltre cento paesi, anche se le banche di tutte il mondo rifiutano di imitarlo. Il ritorno del denaro supera il 99% e ciò consente alla Grameen Bank di incrementare i suoi profitti, di espandersi geograficamente e di aumentare i servizi offerti. Nel testo della conferenza appena citata, Yunus scrive parole che dovrebbero comparire nello statuto di ogni partito democratico: “Ai giovani direi dunque: che tipo di istituzioni vorreste costruire? In che genere di mondo vorreste vivere? Perché se iniziate a immaginarlo fin d’ora il genere di mondo che vorreste avere, fra 30, 40 anni può diventare realtà. L’immaginazione è fondamentale. Lasciatela dunque libera, e create il vostro mondo”.

Costruire una banca mondiale di questo tipo è un po’ più complicato che fondare un partito capace di sconfiggere la Banda Bassotti che governa un solo balordo paese. Eppure è stato possibile grazie all’impegno di un uomo che ripete concetti come “persona” e “immaginazione”. In genere, i politici e gli economisti rimuginano ossessivamente su percentuali (di voti o di miliardi), su individui (elettori o consumatori), su “programmi” (di inerzia legislativa e di sfruttamento economico). L’unico vantaggio della democrazia sta nel fatto che le persone possono eleggere un governo e non solo le persone ricche o i loro studiosi o burocrati o servi. Se i partiti della sinistra non smettono di ragionare con il pallottoliere in mano e non iniziano a ragionare con il cervello ed il cuore, potranno solo continuare ad essere perdenti dopo una sconfitta elettorale o continuare ad essere perdenti dopo una vittoria elettorale.

M.L.King è partito proprio da un sogno nel suo famoso discorso del 1963 al Lincoln Memorial di Washington: “I have a dream!”. Un grande sogno, cioè che l’intera nazione condividesse l’idea dell’eguaglianza di tutti gli esseri umani.
King ha vinto. Non ha vinto chiedendo solo interventi giudiziari per chi maltrattava “troppo” le persone di colore. Non ha vinto chiedendo che i neri fossero considerati “quasi uguali”. Ha vinto pretendendo che una cosa giusta, sensata, umana, diventasse il sogno di tutti e cancellasse l’incubo del razzismo.
La sinistra non può più limitarsi a “protestare energicamente” per ogni stupidaggine governativa o a suggerire di contenere una cosa, o limitare un’altra cosa o migliorare altre cose. Deve coltivare il sogno di una società incondizionatamente laica, effettivamente pluralista e realmente promotrice di benessere sociale per tutti e di cultura. Deve unire le persone reali attorno a questo sogno facendo sentire la passione per la realizzazione di tale sogno.

La sinistra deve aprire un dibattito e cambiare molte cose. Non servono, nei partiti, persone che non hanno mai fatto altro che gli affari propri prima di “mettersi in politica”. Nei partiti servono persone che prima di immaginarsi deputati o consiglieri comunali si stavano già impegnando: facevano volontariato, scrivevano libri attinenti alle questioni sociali, militavano distribuendo volantini. E’ ovvio che non serve una deputata che ha fatto solo lap dance, ma non dà garanzia nemmeno un deputato che ha fatto solo l’industriale o il parrucchiere o il commercialista. Non serve nemmeno un deputato che ha fatto pubblicazioni sui coleotteri o sugli etruschi. Gente che non si è mai impegnata socialmente può anche iniziare a fare politica, ma in ruoli di supporto ai politici veri, cioè alle persone che già prima di entrare in parlamento o in un consiglio regionale si occupavano fattivamente di ambiente, di educazione, di emarginazione, e così via.

Mancano in politica uomini sognatori disposti a incoraggiare le persone ad impegnarsi PER qualcosa. Se qualcuno può far proprie le parole di Chaplin, si faccia avanti prima che le stupidaggini immobilizzino definitivamente le idee, le voci e le aspirazioni delle persone ancora interessate a vivere una dignitosa e solidale partecipazione alla società.

Gaetano e Gianfranco

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