Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

sabato 22 agosto 2009

Cultura del controllo e cultura del rispetto

Uso l’espressione “cultura del controllo” per indicare convinzioni e convenzioni che producono in situazioni personali e soprattutto interpersonali o sociali una tendenza inappropriata e dannosa al controllo. La distinzione fra l’attivazione di funzioni di controllo in situazioni di pericolo e la filosofia (irrazionale) del controllo è quindi fondamentale.
Credo che la questione sia importante e non un vezzo da anarchici snob, una mania da ragazzini incazzati o una fissazione da ex-sessantottini. Credo inoltre che a livello sociale la cultura del controllo abbia conseguenze devastanti, anche se non immediatamente osservabili come la repressione violenta di una manifestazione pacifica.

Per “cultura del rispetto” intendo ciò che sta agli antipodi della (non)cultura del controllo. La cultura del rispetto parte dall’idea che le persone (ma anche gli animali e la natura) siano importanti, sacre e che quindi la politica debba tutelare l’esistenza delle persone e garantire il loro sviluppo armonico. Obiettivi come il lavoro per tutti, o la lotta all’inflazione sono ovviamente giustissimi (a patto che diventino impegno reale anziché lagna rituale). Ma sono punti di partenza, non punti d’arrivo.
L’esistenza reale delle persone non coincide con l’orario di lavoro o con il tempo dedicato a fare la spesa al supermercato. Comincia dopo.

La cultura del rispetto è l’unica alternativa alla violenza che serpeggia nei vari ambiti in cui i rapporti fra le persone e fra le persone e la società sono regolati da norme e nei vari ambiti in cui si realizza la crescita e la formazione delle nuove generazioni. Gli adulti, soffocati dalla cultura del controllo, tendono a ribellarsi in modi inconcludenti o ad adattarsi in modi ossessivi.
I giovani, invitati ad entrare in una società controllata, ordinata in modi irrazionali e ostile alla vita, tendono a bloccarsi in una oppositività superficiale, a detestare l’idea di crescere, ad accumulare una rabbia cieca per poi, normalizzarsi diventando adulti ribelli e inconcludenti o adulti acriticamente conformisti.

L’indipendenza dalla cultura del controllo richiede, purtroppo una forte stabilità emotiva e una buona elasticità mentale, che sono qualità difficili da acquisire in un mondo ostile ai sentimenti profondi oltre che al pensiero critico.
In un mondo in cui tanti obbediscono e tanti si ribellano confusamente è difficile parlare della sacralità delle persone. Per questo, una cultura del rispetto, anche se dilagasse come un virus benefico nel mondo delle idee, non potrebbe diventare un tendenza prevalente nella società. Tuttavia tale virus benefico è l’unica arma utilizzabile a livelli sovraindividuali e anche se non può essere davvero vincente può almeno limitare i danni e favorire aperture forse parziali, ma autentiche, in ambiti circoscritti.

La cultura del rispetto, nell’accezione che svilupperò, è davvero una cultura, una concezione della realtà, che trascende la generica e rituale affermazione dei “valori democratici” e dei “diritti civili”. Oggi i valori e i diritti sono fottuti, anche senza i carri armati in piazza: sono fregati dai reality, dai giochi a quiz demenziali, dai telefilm lacrimosi, dai politici di sinistra che amoreggiano in TV con i fascisti riciclatisi come “democratici di destra”, dal radicamento di idee religiose non comprese, non accettate ma considerate ovvie.
La cultura del rispetto è una cultura che disturba chi è attaccato a pregiudizi, abitudini, tradizioni, rituali sociali, perbenismi, chiusure mentali. Ma è anche uno stimolo affascinante per i neuroni non del tutto addormentati che in qualche misura funzionano persino nelle teste più rigide o più vuote. Essa è un anticancro che disturba la cultura cancerosa di massa. E’, o almeno può diventare, una spina nel fianco di un mondo che non vuole né la ragione né le emozioni.

La cultura del rispetto attribuisce valore alle persone, a tutte le persone e disturba ogni idea che toglie valore alle persone. Essa è quindi in antitesi con la “cultura della famiglia” che è fatta apposta per nascondere le profonde ferite normalmente inferte alle persone più deboli (i bambini) e per razionalizzare l’incompiutezza emozionale e comportamentale dell’essere uomini e donne nella società.
Nonostante la retorica famigliare, moltissimi matrimoni diventano divorzi (anche pesantemente conflittuali) e moltissimi matrimoni stabili sono relazioni in cui i coniugi condividono solo la TV. Sono nove milioni al mese i clienti di prostitute, di cui l’80% sposati (http://www.repubblica.it/ del 10.06.2008) e la violenza subita dalle donne in famiglia è tanto grave quanto taciuta (http://www.repubblica/.it/ del 28.05.2005).
L’unica famiglia che serve davvero è una reale (rarissima e non dipendente dal matrimonio) vicinanza fra uomini e donne e una loro reale collaborazione nell’accudimento dei bambini: in opposizione a ciò la società e le persone ideologicamente smarrite sottolineano invece i rituali famigliari (il matrimonio, il Natale, la festa della mamma e del papà), calpestano le identità maschili e femminili e colpiscono l’integrità psicologica dei bambini (ad esempio con uno svezzamento imposto al sesto mese di vita ai figli delle donne lavoratrici).
Una cultura del rispetto difende la “famiglia dei bambini”, cioè quella realtà interpersonale che può garantire ai bambini l’accudimento di cui hanno bisogno. Punto. Il resto è propaganda reazionaria anche se di sinistra.

Una società egualitaria e veramente rispettosa dovrebbe tutelare tutte le persone in quanto persone e non in quanto membri di una famiglia, dato che spesso le relazioni più significative per le persone non sono quelle con la moglie, il marito o i genitori. Cosa ovvia, ma che non viene recepita dalla sinistra, tutta intenta a rassicurare i benpensanti sul fatto che “crede” nella famiglia. Se votassero anche i bambini, i partiti di sinistra giurerebbero di credere anche a Babbo Natale, per non perdere voti e magari finirebbero per crederci davvero.

La cultura del rispetto comporta un’affermazione consequenziale del laicismo nella società. Il rispetto della società per la religiosità delle persone non dovrebbe ridursi ad un pluralismo di principio e ad un rapporto di fatto privilegiato fra Stato e Chiesa cattolica. Se la religione cattolica ha più fedeli in Italia che altrove ha già un vantaggio e non ha con ciò diritto al “premio di maggioranza” consistente nel diritto di essere “più uguale delle altre”. Questo è un punto di vista che i cattolici più seri hanno sempre affermato, anche se non è il punto di vista delle gerarchie dello stato e della chiesa. Tra l’altro questa situazione di privilegio creerà presto dei problemi gravissimi quando altre religioni (con la crescita dell’immigrazione) presenteranno il conto, dimostrando di avere un certo numero di fedeli. A quel punto solo due alternative (entrambe folli) risulteranno possibili: un’esplicitazione del non laicismo con l’affermazione di un rapporto privilegiato fra Stato e Chiesa cattolica, oppure un riconoscimento di analoghi privilegi a tutte le religioni (o a quelle che supereranno un “quorum”!). Alternative folli perché entrambe rafforzeranno le componenti più reazionarie della società: la prima darà ancor più potere ai bigotti e ai razzisti e la seconda alimenterà l’insofferenza dei bigotti e dei razzisti.

La cultura del rispetto comporta una coerente affermazione dei diritti dei bambini i quali hanno bisogno di sicurezza, protezione e sollecitazioni della società commisurate alla loro capacità di sentire e capire. I bambini non possono essere protetti solo dai maltrattamenti più gravi (quelli segnalati alla polizia dai vicini di casa), ma anche da quei maltrattamenti “normali” che genitori, insegnanti e parenti praticano alla luce del sole. Una tutela integrale della vita psicologica dei bambini non può essere imposta per legge o attuata con la forza, ma può essere almeno favorita dall’affermazione di una cultura del rispetto nella scuola e dallo sviluppo di un dialogo costante negli ambienti in cui i bambini crescono.
I bambini sono inevitabilmente affidati a genitori normalmente inadeguati a svolgere il loro ruolo perché cresciuti a loro volta in una società malata, ma possono essere in qualche modo “sostenuti” da una società “meno peggiore” di quella presente, se tale società comincia a pensarsi come insieme di persone anziché come “espressione” degli interessi prevalenti.
Una cultura del rispetto dei bambini comporta il riconoscimento dei loro bisogni, la comprensione e la discussione delle abitudini famigliari che li fanno soffrire, il rifiuto di qualsiasi svalutazione della loro spontaneità e il rifiuto di indottrinamenti ideologici, e quindi di un’educazione religiosa in un’età in cui i principi filosofici di qualsiasi religione non possono venir compresi (ma in cui i concetti di rifiuto, colpa, esclusione sono purtroppo ben chiari). Sull’argomento, la sinistra tace e la chiesa ovviamente tace per mantenere il suo dritto a far propaganda fra i bambini indifesi. Presto invece parleranno gli islamici pretendendo privilegi statali nell’indottrinamento religioso analoghi a quelli garantiti ai bigotti nostrani.

La cultura del rispetto porta a fare considerazioni serissime sulla responsabilità delle persone nei confronti della società e quindi anche sul prelievo fiscale: essa comporta sia l’idea che pagare le tasse sia un onore anziché una sfiga, sia l’idea che la società non possa esigere in modi irrispettosi (dovuti alla cultura del controllo) i contributi fiscali.
Essa implica una riconsiderazione della sicurezza stradale come esigenza e come impegno dei cittadini e non come persecuzione o controllo ossessivo dei comportamenti di chi si sposta con il proprio veicolo da un posto ad un altro.
Essa implica un rifiuto dei modi (assurdi) in cui la legge attualmente regola la convivenza fra uomini e donne, fra adulti e anziani, fra persone nei condomini, fra fumatori e non fumatori (cfr, http://www.forcesitaly.org/), fra chi ha dei bambini e chi non ne ha, fra chi ha degli animali e chi non ne ha, fra chi fa uso di droghe e chi non ne fa uso.
Chi ha difficoltà con le droghe leggere è perseguitato come chi ha problemi con le droghe pesanti e chi ha problemi con le droghe pesanti viene punito e perseguitato per legge, anche se il rapporto 2009 Unodc (l’Ufficio del’ONU su droga e crimine) ha dimostrato che la politica attuale del controllo non sta funzionando e porta più che altro vantaggi economici al crimine organizzato (www.repubblica.it/ del 25.06.2009). Questo studio non arriva a trarre conclusioni antiproibizionistiche, ma porta elementi a favore di tale approccio al problema.

I problemi sono ovviamente tanti, se si pensa alla qualità della vita delle persone. I disastri ambientali voluti dai comuni che hanno cementificato (per stupidità o per tangenti) grandi aree verdi sembrano problemi da poco, ma gli uffici tecnici degli stessi comuni fanno impazzire il privato cittadino che vuole semplicemente ristrutturare un casolare. Una quantità desolante di norme e cavilli burocratici impediscono di ristrutturare nel modo più semplice una casa e finiscono per incidere notevolmente sui costi e sul risultato di chi desidera realizzare una cosa tanto semplice. Poi si costruiscono ospedali con più sabbia del dovuto, nessuno se ne accorge e l’ospedale crolla se c’è un movimento sismico.

Ma anche se una persona è riuscita a costruire una piccola casa lontana dalla città, per stare in pace, subisce l’invasione di persone armate anche tutti i giorni in certi periodi dell’anno. Dove non recinta i cacciatori hanno diritto di passare, con i loro cani e i loro fucili. Perché? Perché la sinistra non interviene? Teme di perdere i voti dei cacciatori?

La cultura del rispetto implica la tutela delle persone nei loro rapporti con società o enti che hanno un potere immenso esercitato in modo arbitrario. Il singolo ad esempio firma contratti di cui non capisce nulla con le banche, paga bollette incomprensibili per qualsiasi terrestre e paga a volte tasse o multe ingiustificate semplicemente perché non ha il tempo ed il denaro per combattere battaglie legali costosissime in sedi lontanissime e con tempi impensabili.

La cultura del rispetto richiede ovviamente il superamento della paralisi del sistema giudiziario. Tuttavia, questo obiettivo, che è già arduo da raggiungere (in un paese in cui essere condannati sembra un titolo preferenziale nel curriculum di un deputato o di un senatore), non è altro che un obiettivo minimo: le persone che hanno subito delle ingiustizie hanno bisogno non solo di procedimenti non troppo lunghi e con esiti tangibili, ma hanno bisogno di sentirsi protette e garantite nella situazione di debolezza sperimentata subendo una violenza o un danno di qualsiasi tipo.

La cultura del rispetto presuppone il raggiungimento di alcuni obiettivi intermedi, riconducibili ai “grandi temi” sui quali (almeno a parole) la sinistra afferma la necessità di riforme; ha tuttavia come vero obiettivo il riconoscimento del valore delle persone e la effettiva tutela della loro dignità e del libero sviluppo delle loro più profonde potenzialità.
Gianfranco

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