Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

sabato 26 giugno 2010

Libertà e autorità nella società e nella famiglia

Su queste due parole si sono dette immense sciocchezze. In malafede, ma a volte anche in buona fede. Il liberalismo è il più grande imbroglio ordito ideologicamente in relazione al concetto di libertà, perché l’attribuzione di eguali libertà in una società di diseguali si traduce automaticamente in una giustificazione dello sfruttamento e dell’incremento delle disuguaglianze. Il principio d’autorità (soprattutto nelle società totalitarie, ma, in certa misura, anche nelle democrazie) è la seconda grande fregatura. Esso ovviamente calpesta la dignità delle persone quando nel totalitarismo l’autorità non è istituita dai cittadini, ma anche in democrazia ogni imperfezione della democrazia stessa si traduce in una parziale manifestazione di autoritarismo. Ovvio è il caso dell’autorità giudiziaria che può operare secondo un mandato legittimamente ricevuto e può agire in modo equo, ma le disparità tra i cittadini determinano il fatto che ai giudici giungono elementi che riflettono le disuguaglianze fra gli imputati. Come esempio ovvio di tale fatto si può considerare la differenza tra il piccolo delinquente che ha un difensore d’ufficio e il grande delinquente che ha uno stuolo di avvocati-avvoltoi esperti in cavilli e riesce a far finire in prescrizione il proprio procedimento e quindi a farla franca. L’autorità del giudice, anche se applicata in modo impeccabile finisce per manifestarsi in modi non giusti.

Quindi, in ambito sociale e politico l’autorità e la libertà vengono pensate ed esercitate in modi più o meno razionali, più o meno rispettosi, più o meno accettabili, a seconda del modo in cui la società è organizzata. Gli orrori politici, in altre parole trasformano in caricature due principi importanti come quelli di libertà e di autorità.

A mio avviso, infatti, in una società organizzata come una comunità e non come un territorio di caccia per poche persone che hanno e gestiscono il potere, la libertà dei cittadini sarebbe sacra come il ruolo delle autorità regolarmente incaricate di svolgere certi uffici. Il nucleo “sano” del principio di autorità è infatti lo svolgimento di un servizio. Il poliziotto che previene un crimine, il magistrato che dirime una contesa fra cittadini, il parlamento che emana leggi sensate svolgono un servizio importante, almeno in una società abbastanza vasta e complessa da non potersi autoregolare dal basso sulla base delle consuetudini e della solidarietà fra conoscenti.

Se, di fatto, la follia sociale normalmente impone modelli bizzarri e violenti di “libertà” e di “autorità”, la follia individuale normalmente produce analoghe aberrazioni in privatissimi ambiti come le relazioni interpersonali nei rapporti di amicizia ed in famiglia.

Il rispetto per la persona, per i suoi bisogni, i suoi sogni, il suo tempo renderebbe ovvio in famiglia rapporti di reciproca attenzione, di promozione della libera espressione di tutti e la tutela dei più deboli (i figli). Purtroppo le cose non funzionano così e sia il bisogno di libertà degli adulti e dei figli, sia il bisogno di autorità dei figli, incontrano ostacoli ingombranti che possiamo ricondurre a due realtà terribili: l’indifferenza e il fondamentalismo.

a) Indifferenza. Le persone si abituano fin dall’infanzia a sentire poco (o a sentire “emozioni-spazzatura”), perché non ce la fanno a reggere sensazioni troppo dolorose di solitudine e di incomprensione. Diventano adulti che non sanno più che fare della loro vita, che fare nel loro tempo, che fare con se stessi e con gli altri. Credono di saperlo, ma finché dicono di volersi “realizzare nel lavoro” mentre si “perdono” nel lavoro [cfr. il POST Lavoro, ozio e tempo vissuto] o di “credere” rapporto di coppia mentre non si interessano nemmeno al sesso [cfr. il POST Perché il sesso non interessa (quasi) a nessuno?] o di attribuire valore ai figli mentre non partecipano minimamente al loro “mondo” [cfr. il POST Cuccioli umani], in realtà “non se la raccontano giusta”. Le persone si dicono delle cose, ma non si dicono le cose importanti: evitano di parlare con se stesse rispettosamente e realisticamente delle loro esperienze dolorose e irrimediabili, dei loro sogni e della loro fragilità. Quando sfiorano cose delicate si illudono subito di avere solo desideri “facili” (la partita, le chiacchiere, ecc.) e così soffrono poco, ma sentono poco. Sentendo poco NON POSSONO IMMAGINARE che gli altri sentano molto e quindi trattano gli altri in modi superficiali: fanno sesso ma non fanno l’amore, stanno coi figli davanti alla TV, ma non giocano con loro. DEVONO restare indifferenti al bisogno di contatto del/della compagno/a o dei figli perché se cominciassero a sentire “quelle robe” sprofonderebbero nel mare dei propri bisogni da sempre calpestati da tante persone (e dai loro stessi genitori). Quindi, “semplificano” i rapporti. Organizzano i dettagli della settimana bianca, ma non mettono in valigia le carezze. E se proprio devono affrontare esplicite richieste di contatto rispondono “sì, certo!” e poi tirano dritto. In compenso se ricevono richieste fasulle di “comprensione” da parte di chi esprime lagne, pretese e svalutazioni rispondono con impegno sforzandosi (inutilmente) di essere “persone che sanno ascoltare”.

L’indifferenza alle autentiche manifestazioni di coinvolgimento, contatto, voglia di vivere, di giocare, di stare (davvero) assieme, distrugge la vita di coppia: non come un fulmine che stronca un albero, ma come una fonte che si secca e lo alimenta sempre meno.

b) Fondamentalismo. Il fondamentalismo, nelle religioni, negli stati teocratici e in famiglia si realizza quando si considera “ovviamente giusto” ciò che in realtà costituisce una semplice preferenza. Il fondamentalista non dice cosa desidera, ma afferma cosa “va fatto”. Messo alle strette giustifica la sua preferenza con la volontà di Dio, di Allah, del Partito o, più semplicemente affermando “perché è giusto così!”.

La violenza dell’affermazione dell’ovvietà (quando in realtà non si parla di nulla di ovvio) è enorme nei confronti di persone non attrezzate emotivamente per “stanare” il fondamentalismo. “Bisogna dare lo straccio e questa volta tocca a te!” In questa “ovvia pretesa” non si chiarisce perché “tale operazione vada fatta con tanta urgenza” e perché spetti proprio all’altra persona. E’ abbastanza scontato che, in un rapporto di coppia basato sulla passione e sul rispetto i lavori domestici vengano ripartiti in proporzioni eque (tenendo conto ad esempio di quante ore ognuno lavora e non di quanto denaro ognuno porta a casa). Non è invece scontato che due persone con differenti standard di ordine e di pulizia debbano dedicare lo stesso tempo alla casa: io ad esempio ho avuto sempre meno voglia delle mie compagne di dare lo straccio a terra e, di fatto, ho svolto molto raramente tale operazione, sia perché la polvere non mi disturba, sia perché il secchio e lo straccio mi annoiano. Spesso ho invece lavato i piatti perché in molti casi il secchiaio pieno di pentole dava più fastidio a me che alle mie compagne. Tuttavia non ho mai né evitato né fatto alcun lavoro di casa nella logica fondamentalista del “si deve fare”. Quando ho voglia di fare una cosa la faccio e la faccio a modo mio. Le mie compagne si sono sempre regolate nella stessa maniera. In pratica, l’idea (maschilista) che i lavori di casa spettino alle donne è stupida come l’idea (aritmetico-femminista) che i lavori di casa vadano divisi a metà o come l’idea (aritmetico-ossessiva) che gli standard di ordine e pulizia siano “ovvi”.

In realtà, a parte i casi estremi della nevrosi ossessiva o del culto della discarica, le persone hanno esigenze diverse di ordine e di pulizia. C’è chi si fa molte docce e chi si lava più spesso “a rate”. C’è chi tiene più all’igiene che all’ordine e chi più all’ordine che all’igiene. C’è chi è ordinato nello studio ma non in cucina, chi tiene in ordine i libri ma non gli abiti, chi tiene in ordine i libri, gli abiti ma non le stoviglie. C’è chi cucina per sei persone senza “fare casino” e c’è chi cucina una frittata e trasforma la cucina in un campo di battaglia. E così via. Non sta scritto da nessuna parte che si debbano stirare le camicie e tanto meno le mutande! Soprattutto non sta scritto da nessuna parte che se una persona (ciò capita soprattutto alle donne) ha la mania di stirare e stira anche cose che al partner vanno bene non stirate, pretenda poi da lui i lavori forzati in qualche altro settore. La differenza inevitabile fra le persone rende ogni convivenza limitante anche se gradita. La prevalenza dell’amore sulle pretese irrazionali fa sì che il principio ottimale risulti quello per cui ognuno gestisce le proprie cose e per gli spazi comuni ognuno fa ciò che si sente e non “ciò che è giusto” (ovvero ciò che è giusto per chi è più rompiscatole). Di fatto le situazioni prevalenti sono le seguenti:

a) x stabilisce ciò che è giusto e y subisce la regola, ma poi “si scorda” molte cose


b) x stabilisce ciò che è giusto e y subisce la regola, ma poi accumula rabbia e medita vendetta


c) x pensa che la tal cosa sia “giusta”, ma non lo dice e accumula rabbia quando y ha violato la regola (non concordata e ignota a y)


d) x pensa che la tal cosa sia giusta e y obbedisce alle regole in casa, ma poi si fa l’amante.


e) ci si riempie la testa di regole, di obbedienza e di disobbedienza e poi “ci si rimette in armonia con “L’isola dei famosi”.


Indifferenza e fondamentalismo ammazzano i rapporti di coppia, ma anche altri atteggiamenti possono dare un valido contributo alla trasformazione di un innamoramento in una grande rottura di palle: sessuofobia, vittimismo, violenza verbale (o fisica), tradimento, menzogna, svalutazione, attaccamento morboso alla famiglia d’origine, gelosia, possessività, mania del risparmio e mania dello shopping, e così via. Una lunga lista di atteggiamenti normalmente folli che non “esplodono” perché vari rituali (la televisione, gli impegni lavorativi, le fatiche domestiche, la messa alla domenica e le vacanze in agosto) mitigano il senso di noia e di falsità che caratterizza la normale vita famigliare.

Se passiamo dal rapporto di coppia al rapporto fra genitori e figli, possiamo vedere come l’indifferenza ed il fondamentalismo, anche in assenza di violenze conclamate o trascuratezze gravi, possano rendere la vita di un bambino un vero inferno. Un mio amico mi ha raccontato che alle elementari, un giorno aspettò con trepidazione che la madre lo venisse a prendere, perché aveva avuto problemi con i compagni. Andò incontro alla madre dicendole “Mamma, finalmente sei qui, oggi stavo per telefonarti e chiederti di venire prima”. La mamma ha risposto “Sono qui, andiamo a casa”. Se l’indifferenza ferisce, il fondamentalismo raffredda il rapporto. Quando i genitori pensano che i figli siano in grado di mettere le cose in ordine (nel proprio ordine), in genere cominciano a sentenziare su ciò che i figli “devono fare”. Non si capisce perché se i genitori hanno bisogno di un certo ordine non provvedano di persona, dato che nei casi in cui i figli hanno bisogno di un certo ordine provvedono di persona. Un bambino che gioca ai soldatini non dice alla mamma “devi dispormi i soldati in ordine”: lo fa e basta. Quando però ha finito la mamma interviene dicendo “devi riporre i soldatini nella scatola”.

Il passaggio dal “vorrei che tu …” al “tu devi perché così va fatto” costituisce un crimine logico e psicologico. Consiste in una mancanza di rispetto per la persona e in una violazione del buon senso. Io mi sono sempre fatto il letto da solo (o valendomi della collaborazione di una compagna) ogni volta che ho cambiato i lenzuoli. Non ho mai fatto il letto negli altri giorni perché non ho mai trovato in ciò alcuna significativa soddisfazione estetica o pratica. Solo nel periodo del servizio militare, tutte le sante mattine ho fatto il letto (anzi, “il cubo”, piegando persino a metà il materasso) senza alcun motivo tranne quello secondo cui “andava fatto”. Ci si aspetterebbe che i bambini in famiglia vivessero in un clima diverso da quello di una caserma, ma evidentemente ciò non è scontato.

I compiti “si devono fare” (o “si fanno”): ma perché si nega ai bambini la libertà di non fare i compiti, di andare a scuola impreparati e poi di voler fare i compiti? Oppure la libertà di essere bocciati. Senza raggiungere gli estremi della bocciatura ci sono tanti modi per favorire nei bambini l’interesse per lo studio. Conta molto la disponibilità a parlare coi figli della scuola, delle cose che è importante sapere e del pericolo di essere “disarmati” (cioè “privi del sapere”) in una società in cui c’è chi sfrutta l’ignoranza altrui. I genitori però, proprio perché sono indifferenti ai figli, preferiscono guardare la TV a tavola anziché parlare con loro e quindi diventano fondamentalisti sentenziando sul fatto che i compiti “vanno fatti”.

Il problema del fondamentalismo sconfina con il problema del principio d’autorità, anzi del bisogno d’autorità. I bambini possono scoprire da soli che la stufa scotta, ma non che cadere dal settimo piano fa male alla salute. Quindi i bambini hanno bisogno di un’autorità che impedisca di fare gli equilibristi sulla ringhiera del terrazzo e il conseguente “volo in caduta libera”, dato che tale libertà non è opportuna. Se l’autorità è però esercitata con spirito di servizio non si esplica in termini “autoritari”, ma con autorevolezza.

Il miglior modo per risultare autorevoli e quindi per farsi obbedire volentieri è farsi stimare (non farsi temere!). Se un genitore impone troppe norme e troppe proibizioni risulta poco stimato dai figli. Sorge a questo punto una domanda: quando le norme o le proibizioni sono “troppe”? Quasi sempre! Esse sono infatti imposizioni gratuite in tutti i casi in cui non sono in ballo gravi pericoli o questioni importantissime. Se il bambino insiste per giocare con la presa elettrica occorre farlo desistere, partendo dal suggerimento, insistendo sulla spiegazione e, se necessario, arrivando alla imposizione. Se i genitori devono andare a firmare un atto notarile e il bambino non vuole andare dalla nonna, egli “deve” andare dalla nonna, sia che ne abbia voglia, sia che non ne abbia voglia. Questi sono i casi in cui l’autorità va esercitata. Non va esercitata se i bambini non vogliono mangiare i cavoli: cresceranno egualmente mangiando altre verdure!

L’autorità va esercitata con gradualità e con efficacia. Prima di imporre un divieto con estrema fermezza si devono utilizzare altre alternative.

a) La prevenzione: è meglio coprire le prese elettriche piuttosto che vietare ad un bambino di due anni di toccarle ed è meglio svuotare i cassetti in basso piuttosto che impedirgli di aprirli e tirare fuori tutto.

b) La spiegazione: se il bambino è abbastanza grande da capire un ragionamento relativo ai pericoli, basta spiegare che la presa elettrica è pericolosa: gli si mostra un corto circuito, gli si fa capire che quella scintilla “pizzica” e produce conseguenze gravissime. Il bambino capirà.

c) Se si arriva agli strilli o alle punizioni evidentemente si è agito inopportunamente nelle due fasi precedenti.

Se una regola o una proibizione non è stata rispettata, quasi sicuramente i genitori hanno esercitato l’autorità in modi inopportuni. In ogni caso, se c’è trasgressione si fa un ulteriore errore “lasciando correre” perché i bambini così apprendono che l’autorità oltre a non essere apprezzabile è anche inefficace. Ciò è deleterio perché di fronte ad una autorità che (in casi estremi) non esercita il suo potere, il bambino “impara” che ogni regola o proibizione è solo un suggerimento, mentre di fronte ad un’autorità che a volte si impone e a volte non lo fa il bambino “impara” che l’autorità è incoerente e quindi inaffidabile. La gravità di ciò si evidenzia nel fatto che quando davvero il genitore deve dare dei limiti i figli sono pregiudizialmente orientati a non dar peso alla questione.

Purtroppo spesso i genitori riescono a commettere tutta la sequenza degli errori: danno divieti superflui, non li giustificano ma li impongono e di fronte ad una trasgressione si mostrano “comprensivi”. Poi, stabiliscono che se i figli nell’adolescenza sembrano degli idioti ciò dipende dalla “età difficile”. L’idea che dei bambini rispettati, accuditi con amore e non violentati sul piano psicologico, diventino degli adolescenti ragionevoli e rispettosi (oltre che naturalmente esuberanti) non sfiora molta gente, eppure è un’idea validissima [cfr. il POST I figli dei miei amici che include anche un rinvio ad A. S. Neill].

I disastri famigliari rispecchiano, d’altra parte, i disastri sociali anche sul piano dell’esercizio dell’autorità. Chi ignora un autovelox viene “fucilato sul posto”, mentre chi intrattiene rapporti con i mafiosi fa carriera politica.

Di fatto, il superamento dell’autoritarismo sociale non è facile da realizzare perché la maggioranza delle persone è facilmente manipolata dai mezzi di comunicazione di massa (che sono nelle mani da chi ha il potere e lo esercita in modo autoritario). Il superamento dell’esercizio irrazionale dell’autorità nei confronti dei figli incontra invece degli ostacoli più “interiori” che “ideologici”: la paura dei genitori. La paura di sentire che i figli hanno bisogno di un’autorità intesa come un servizio; la paura di sentire che i figli hanno bisogno sia di amore, accudimento e complicità, sia di autorità; la paura di sentire che i figli rischiano ogni giorno di sentire quella solitudine che i genitori hanno già sentito e “dimenticato” e che li perseguita come un debito non pagato.


Gianfranco



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