Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

domenica 21 marzo 2010

Perché il sesso non interessa (quasi) a nessuno?

Cercherò di fare qualche riflessione basata sul buon senso, schivando quindi le (pseudo)conoscenze sull’argomento abitualmente trasmesse dagli esperti.

Se prendiamo in considerazione le dosi massicce di sesso cercato (avventure o “grandi amori”), di sesso venduto (in strada o in ambienti più raffinati), di sesso raccontato (al bar o nei romanzi) di sesso esibito (nella pubblicità, in TV o nella pornografia), di sesso studiato (dai medici, dagli psicologi, dai sociologi), ecc. siamo portati a ritenere che il sesso sia una specie di chiodo fisso degli esseri umani. Purtroppo, non è così, perché se così fosse nel mondo ci sarebbero meno guerre, meno ingiustizie e meno idiozie.

Se il sesso occupasse nella vita degli uomini il posto che normalmente occupa nella vita dei mammiferi, o un posto più rilevante (giustificato dalla maggior complessità interiore della natura umana) costituirebbe la prova di un compiuto umanesimo, cioè di una profonda accettazione del piacere e dell’amore. Di fatto, le persone sono così indaffarate a gestire male la loro vita emotiva e a schivare emozioni profonde (soprattutto quelle dolorose) che pur di non sentirsi “coinvolte”, pur di non “lasciarsi andare”, pur di non “rischiare” tendono ad evitare la ricerca del piacere sessuale, dedicandosi soprattutto ad amarsi poco e ad amare poco. Se fanno sesso, in genere cercano altre cose “strane”: cercano ammirazione, approvazione, accettazione, cercano di risultare indispensabili o migliori di altre persone.

La ricerca “sincera” del piacere sessuale è rischiosa, dato che il sesso si accompagna comunque alle emozioni (almeno ad una calda simpatia) e il coinvolgimento emotivo rende vulnerabili: la persona desiderata mostrerà inevitabilmente dei limiti, delle esigenze, delle debolezze e ciò renderà “umano” e “reale” l’incontro, ma comporterà anche qualche (grande o piccola) sofferenza.
Anche l’esperienza di amare implica dei rischi: ogni pena della persona amata produce sofferenza anche nell’amante. Inoltre, l’esperienza di amare “davvero” (cioè di voler bene e volere il bene dell’altra persona) presuppone l’esperienza di amarsi e quindi di conoscere la propria vita interiore. Questa conoscenza non è “rischiosa”: è proprio dolorosa. Conoscesi significa conoscere la propria storia (che include esperienze dolorose), conoscere le proprie emozioni (comprese quelle spiacevoli), conoscere i propri limiti (anche quelli molto frustranti).

Non c’è modo di volersi bene senza conoscersi e non c’è modo di conoscersi senza provare compassione. Questa “passione-con-noi-stessi” comporta dolore, ma arricchisce. Io non posso volermi bene perché sono maschio o perché sono romagnolo o perché sono laureato. Queste “robe” non mi inteneriscono. Posso volermi bene se conosco i miei momenti di gioia e di dolore, i miei rimpianti, i miei sogni, i miei legami con gli altri. Tutte cose belle, ma anche dolorose, che mi rendono la persona che sono e che mi rendono quindi amabile. Se temo di sentire questi stati d’animo finisco per ridefinirmi (superficialmente) come “un tipo solare” o “problematico” o “togo”. Purtroppo, se mi percepisco così non posso amarmi. Peggio ancora: se mi percepisco così, non posso certo sospettare che gli altri siano “qualcosa di più” (cioè “persone”), e non posso quindi amare nemmeno gli altri.

Sintetizzando queste prime considerazioni, possiamo dire che la paura di sperimentare dolore ci impedisce di amarci e ci impedisce di amare. Ci limita sensibilmente anche nel far sesso perché, se non si è completamente fuori di testa, facendo sesso “almeno un po’ d’affetto ci scappa”.
Le brutte notizie però non sono finite. Anzi, le peggiori stanno per arrivare. Se molte persone “giocano al ribasso” facendo sesso e facendo all’amore, moltissime persone fanno giochi al ribasso che limitano o bloccano “ a monte” il semplice desiderio. Facciamo qualche esempio.

a) Una velina che si aggira in uno studio televisivo per farsi catturare dalla telecamera e dallo sguardo di anonimi spettatori, può essere eccitata sessualmente? Se lo fosse, farebbe anche di meglio, ma per “arrivare allo scopo con la persona giusta” e non in quella confusione. Perché recita quel copione davanti a milioni di “persone sbagliate”? Non certo per un eccesso di erotismo. Piuttosto, “per il piacere di piacere”. A chi? A tutti. Può anche aspirare a piacere in particolare ad un regista o produttore o conduttore che possa umiliarla in un programma ancor più di successo; ma, con questa variante, la fanciulla mostra ancora il bisogno di “piacere a tutti” (che NON è un bisogno sessuale). A me disturberebbe molto piacere a tutte le donne, eccitarle e lasciarle a bocca asciutta. Se devo incontrare una donna con cui non ho progetti evito di essere seduttivo, perché poi potrei creare un dispiacere inutile. Ragionamento semplice e lineare, ma che include la parola “dispiacere”. La velina invece evita l’idea stessa del dispiacere cercando a tutti i costi di piacere. Con questa determinazione si illude di soddisfare un bisogno che in qualche modo avverte, ma che non è sessuale (e alla sua età non è più nemmeno un reale bisogno). Fa tanti sforzi per trovare un’accettazione “pacificante”, “rassicurante”, “nutriente”. Questo strano bisogno non si spiega a venti o venticinque anni. Si spiega a tre o sette anni, quando ci si sente morire se non si piace alla mamma, al papà, ai nonni, ai fratelli, alla maestra e alla bidella. Anche al gatto dei vicini di casa. La seduttività “programmatica” e “diffusa a pioggia”, quindi, non ha niente a che fare con il sesso, ma con la fame. Fame di conferme che in un’epoca ormai lontana mancarono, ma che ancor oggi è dolorosissimo accettare come irrimediabilmente perse [cfr. il POST Cuccioli umani ed il POST Bambini politici?].

b) Nel film di Francois Truffaut (L’uomo che amava le donne) un uomo affascinante frequenta solo donne. Con garbo, ma soprattutto con un candore travolgente si offre ad ogni donna attraente che incontra quando esce dal lavoro. Il suo modo di proporsi è disarmante e vincente. Riceve molti “sì” e ricambia con una notte di intensa passione, dopo la quale, nascondendo l’insoddisfazione, prende le distanze per tornare alla sua impossibile ricerca. Nel film vengono gradualmente alla luce le esperienze di disperazione che il personaggio copre con la sua ostinata e ottimistica speranza: le lunghe attese di un contatto dolce con la madre, che era una donna bellissima, distaccata, presa dai suoi amanti, irraggiungibile.

c, d, e, f, g, ecc.) Donne che si innamorano perdutamente del loro principe azzurro e che perdono completamente la libido appena raggiungono il loro vero scopo (il “loro” bambino … da sgranocchiare!). Uomini e donne che per nessuna ragione al mondo metterebbero in crisi un rapporto matrimoniale in cui condividono con la moglie o il marito la TV serale, l’attesa delle vacanze e le vacanze. Ragazzini e ragazzine che darebbero un braccio pur di non rinunciare ad un tatuaggio o ad un “chiodo” piantato nel naso (o nel labbro!). Signori e signore che darebbero dieci anni della loro vita pur di non vedere quella ruga … “proprio lì”. Mariti e mogli che dopo essere andati a letto con un’altra persona fanno sesso “in famiglia”, a cadenza mensile, pensando all’altra persona. Donne e uomini con disturbi sessuali che indicano un problema evidente nel rapporto con il/la partner (e magari con tutto il mondo), ma che si ostinano a “rimediare” con un po’ di “autocontrollo” o con il kamasutra o con il Viagra; e così via.

Lista lunga e appena abbozzata. Il massimo comun divisore di questi normalissimi disastri è il bisogno di accettazione, di sicurezza, di “presenza”. Il bisogno di tutti i bambini. Su un piano adulto non è vero che “con qualcuno vicino è meglio”. Su un piano adulto, “per conto proprio va bene e con gli altri va a volte meglio e a volte peggio”: dipende dai casi. Allora quale differenza possiamo trovare fra il giovanotto che non osa chiedere il numero di telefono a quella bonazza e la bonazza che vuol far girare la testa a tutti i giovanotti, ma non proverebbe nulla con nessuno? Certamente lui sembra “bloccato” e lei sembra molto “libera”, ma è poi vero? E anche se lui si fa coraggio e lei riesce a godere un po’, riescono davvero a spassarsela allegramente (o magari di “incontrarsi”) o cercano soprattutto di “farsi apprezzare”?
Anche se togliamo dal conto le piaghe più gravi (pedofilia, sessualità violenta, commercio sessuale, ecc.) la sessualità “normale” è, in pratica, un incubo. La gente non ha “la fissa” del sesso: in genere non ci pensa proprio o ci pensa in termini molto meccanici oppure ci pensa strumentalmente (per raggiungere cose impossibili nel mondo dei grandi).

Possiamo però prendere in considerazione i casi delle coppie che non praticano tradimenti, non hanno problemi sessuali ingombranti e hanno rapporti abbastanza piacevoli e mantenuti anche dopo il primo figlio. Perché in tali coppie a volte si litiga in casa? Perché in genere i lavori domestici riguardano solo la donna anche se lavora? Perché spesso si invitano sempre gli amici pur di evitare “troppa intimità”? Perché si guarda tanta TV (non quel programma particolare, ma LA TV e possibilmente un programma decente)? Perché si sbava per andare in vacanza come se in prigione si attendesse l’ora d’aria? Perché dopo qualche anno si considera “naturale” il calo della libido e ci si concentra sul calcio o sulla politica o sui debiti o sulla mania di cambiare i mobili? Perché chi non riesce ad avere figli sente tanto spesso che la vita di coppia non ha senso? E perché chi ha dei figli non ha la più pallida idea di cosa i figli sentano o pensino? Perché dopo qualche anno (o mese) frasi come “ti amo” si ascoltano nei film ma non si pronunciano più con il/la partner?

Quanto “pesano” nei rapporti di coppia il piacere sessuale, il contatto fisico e il desiderio di vedere il/la partner felice? E quanto pesano la paura della solitudine, del rifiuto, del non “sentirsi a posto”? Quanto pesano nella vita degli adulti i loro desideri e i bisogni non appagati nell’infanzia?

Queste considerazioni portano a concludere che alle persone il sesso interessi davvero poco. Interessa ai bambini. Interessa moltissimo agli adolescenti, ma “nell’età difficile” il sesso oltre ad imporsi “per motivi ormonali” è già complicato da timori, illusioni e pregiudizi dovuti alle esperienze infantili spiacevoli sul piano dell’accettazione. Nell’età adulta il sesso interessa quanto basta per “catturare” un/una partner e per avere una “stabilità”. Dopo di che ci si può dedicare ad altro: al lavoro, alla “vita sociale”, ad ammazzare il tempo. E il tempo passa, non vissuto, non capito, non sentito.

Il problema è grave e non ci si può “sforzare” di aver voglia di far sesso. Possiamo però dire che più comprendiamo il nostro bisogno antico (non soddisfatto e non più soddisfacibile) di “essere amati e quindi salvati dalla solitudine”, più accettiamo con tenerezza e compassione questa nostra fragilità, più miglioriamo il rapporto con noi stessi nel presente. Più stiamo nel presente e più funzioniamo da adulti. E da adulti, finiamo per interessarci alla sessualità perché, a occhio e croce, far sesso è più piacevole che giocare a rubamazzo. Senza quella conoscenza e quel rispetto di sé, però, il sesso non interessa ed i passatempi sono gettonatissimi: rabbie, gelosie, invidie, depressioni, sensi di colpa, avidità, competizione, pregiudizi e così via fino alla mafia ed al passo dell’oca.

Dobbiamo però considerare altri elementi che contribuiscono a limitare o bloccare la nostra libertà sessuale. La sessualità non viene solo disturbata prima del suo compiuto sviluppo grazie alla superficialità degli scambi emotivi fra genitori e figli, ma viene sabotata anche in seguito, dopo il suo (confuso) sviluppo: viene colpita attraverso convinzioni sballate, ideologie confuse e pregiudizi. Le idee più idiote, una volta classificate come punto di vista “etico” o addirittura “religioso” acquisiscono un’aura di “autenticità” difficilmente contestabile da chi non vuol risultare “amorale” o “insensibile”.

Se il governo vietasse la vendita degli spinaci tutti i cittadini (tranne quelli che non li digeriscono) insorgerebbero e i giornali (anche di destra) denuncerebbero tale intervento autoritario. Se qualcuno invece dichiara, da secoli, che per qualche settimana non si può mangiare quando c’è il sole per volontà di Allah, tutti i fedeli si angosciano solo all’idea di masticare una carota alle 16.45. Oggi la Chiesa cattolica si è ammorbidita sull’etica culinaria, ma io ricordo benissimo che da piccolo non potevo mangiare carne il venerdì (mentre ovviamente nessun vescovo si scandalizzava se molti si facevano spanciate di pesce e altri “fedeli” non avevano né carne né pesce da mangiare).
Ora, sul sesso valgono le stesse cose. Se un docente universitario scrivesse un libro sull’importanza di fare sesso solo la domenica e di non farlo mai nei giorni feriali, perderebbe la cattedra. I preti invece possono “spiegare” che è molto importante non fare sesso prima del matrimonio. Questa idea (che non ha alcuna base nel Vangelo, tra l’altro), non è cosa da poco. Infatti, anche se tutti trasgrediscono tale norma (tranne quelli tanto “inchiodati” che non farebbero sesso comunque), la norma in questione è come un virus che colpisce anche i portatori sani: essa implica, infatti, che il sesso (cioè il piacere, il desiderio di contatto fisico e il desiderio di manifestare fisicamente l’amore) non abbia un valore intrinseco e lo acquisisca solo in rapporto ad un impegno di tipo non sessuale. Questo virus colpisce e consolida sensi di colpa già strutturati nell’infanzia, in famiglia, dando ad essi una giustificazione ideologica.
Frasi come “lui pensa solo a quello” o “lei è una ragazza facile”, hanno senso solo all’interno di una svalutazione del piacere e dell’amore. Nessuno classificherebbe come “un insegnante facile” un professore che prende molto sul serio l’impegno didattico. Perché? Perché l’amore per lo studio ha un valore, ma l’amore non ha tale valore nelle sue manifestazioni fisiche. Queste stronzate [cfr. il POST Stronzate e analisi filosofica] vengono assorbite passivamente e attivano pensieri idioti ogni volta che si cerca di ragionare su questioni importanti.
In sintesi, la versione “morale” della normale follia sessuofobica consiste nel dare il colpo di grazia alle persone che hanno mantenuto un po’ di libertà interiore nonostante le limitazioni nel contatto emotivo sperimentate in famiglia.

Tra le ideologie moralistiche va annoverata anche la filosofia femminista, che si è sviluppata a margine di sacrosante affermazioni della dignità e dei diritti delle donne. Dove i preti vedevano il diavolo per giustificare l’astinenza dal sesso e dall’amore fisico, le più “coerenti” studiose femministe (sostenute anche da stuoli modesti, ma crescenti, di maschi “pentiti”) vedono la tragedia della “donna oggetto”.
Nella loro logica manichea, ovviamente, omettono il vero nocciolo del problema, cioè che sia per le donne, sia per gli uomini, non è un problema l’essere trattati come oggetti, ma semmai l’essere trattati solo come oggetti. Quando compro il giornale tratto l’edicolante come un distributore e non mi interrogo sul suo stato d’animo; lui mi ricambia considerandomi un “tizio” che gli fa guadagnare qualche centesimo. La cosa non ci umilia e riflette semplicemente il fatto che non siamo diventati amici.
E’ umiliante per una donna essere trattata solo come oggetto-passatempo da parte di un marito privo di sentimenti, ma è umiliante anche per un uomo essere trattato solo come un oggetto da sopportare. Si deve però ricordare soprattutto che in questo dramma della “donna oggetto” la donna, non essendo minorata, ha le sue responsabilità anche se magari non ne è cosciente. Nelle (frequenti) relazioni di coppia sballate, la donna prima di “essere trattata” come semplice oggetto, “si lascia trattare” come semplice oggetto. Tra l’altro, le persone (donne o uomini) che in generale autorizzano umiliazioni lo fanno per accumulare odio e trattare gli altri come oggetti di rivendicazioni (altrettanto umilianti, anche se non sessuali).

La cosa più grave che le femministe non accettano (per via del loro manicheismo) è che le donne che si lasciano trattare come oggetti non lo fanno per incapacità o perché “costrette dal marito” ma perché continuano a manifestare un vittimismo costruito nell’infanzia proprio per confermare, imitare e ripetere gli atteggiamenti delle loro madri. Ogni donna vittimista mantiene una (illusoria) “vicinanza” con una madre vittimista. Di fatto, è più vittima della madre respingente che del partner maschilista. Le figlie di donne innamorate del loro compagno, ben difficilmente trattano i loro partner come dei sultani da sopportare: o apprezzano i loro partner o li scaricano. Le “donne-vittime” invece sono molto determinate nello svolgimento della loro missione simbiotica (riguardante il rapporto con la madre): scelgono uomini insopportabili e se li tengono ben stretti; se per errore trovano un uomo “in ordine”, si inventano ingiustizie, prevaricazioni e svalutazioni inesistenti pur di “tenere alta la tensione”. La cosa non è buffa, ma tragica e meriterebbe di essere capita, come andrebbe capito che gli uomini “zotici” e “ottusi” (in gergo “maschilisti”) non sono dei furbi malvagi, ma sono incasinati quanto le loro povere “vittime”. Ciò giustificherebbe un cambiamento davvero radicale nei rapporti di coppia di tipo libertario (da parte di donne e uomini) e non di tipo “femminista”. Ma questo processo è ancora lontano ed è difficile proprio perché le donne (come gli uomini) vogliono in genere combattere contro qualcuno e non per qualcosa.

C’è però dell’altro. Dove non arrivano i filosofi, i teologi e le bigotte laiche, arrivano i pubblicitari, gli ideologi della “comunicazione di massa”, i guru della società postmoderna. Gli effetti del loro “impegno” superano i limiti della decenza e colpiscono facilmente i bersagli perché “non fanno rumore” come le invettive ideologizzate e cariche di spirito polemico. Chi non è già “caduto sul campo” sotto i colpi del moralismo, viene … ipnotizzato: viene fatto fesso senza che possa nemmeno rendersene conto.
Ovviamente, se non ci sono ricatti affettivi famigliari negli anni dell’infanzia, il moralismo “non attacca” e la pubblicità non svuota il cervello. Però, mentre ad un moralista che afferma un dogma è sempre possibile rispondere “non sono d’accordo”, come si fa a “rispondere” ad un “clima” infestato da una “cultura demenziale”? Ci si può forse mettere a litigare con la TV? Si scrive una mail di protesta ad una concessionaria di pubblicità? Si spacca un CD con canzonette idiote per “far pentire il CD”? [cfr. il POST I pregiudizi liquidi e la cultura del nulla].

La cultura della banalità è sessuofobica anche se è colma di allusioni sessuali, di sproloqui “erotici” e di immagini sexy. La sessualità è trattata come uno dei tanti ingredienti di quella “grande lasagna” costituita dalla necessità di ammazzare il tempo senza capire, senza sentire, senza entrare in contatto con se stessi e con gli altri. I mezzi di comunicazione di massa non solo nascondono notizie importanti e non solo falsificano dei fatti, ma descrivono fatti irrilevanti e drammi sociali con un distacco che cancella la percezione delle differenze. Si passa dal traffico di rifiuti tossici ad un privatissimo fatto di sangue (che però intriga tanta gente), all’arresto di un boss mafioso, ad un progetto di legge che mira a devastare il sistema giudiziario, al quarto matrimonio di una “bonazza”, all’ennesima fabbrica che chiude i battenti, alla dieta mediterranea. Le immagini si susseguono: un tir che scarica veleno, la scena di un delitto, le manette ai polsi, il politico che firma una proposta di legge, le tette della “bonazza”, gli operai sui tetti, una “bellezza mediterranea” che fa l’occhiolino mentre mangia gli spaghetti. Mancano solo le istruzioni per diventare stupidi, ma chi non ha la forza di indignarsi diventa stupido senza leggere un manuale.

Si è parlato molto della mercificazione del corpo femminile nelle TV commerciali, ma il discorso va portato alle estreme conseguenze se non si vuole restare all’ennesima lagna vittimistica. Le donne fanno la fila per andare in TV. Se non dovessero essere giovani, aspetterebbero cinquant’anni pur di fare “un passaggio” in TV. E le mamme spingono le ragazzine a “mettere a frutto” la loro bellezza. Non sono solo i “consumatori finali” ad architettare tutto. Una bella fetta di responsabilità spetta al “consumatore finale” che “compra etere a prezzo stracciato e vende prodotti indecenti a peso d’oro”, ma personaggi di questo tipo fanno piovere comunque sul bagnato. Una bella fetta di donne è ancora arretrata culturalmente e gli uomini (i tanti consumatori finali di spettacoli balordi) non sono fermi al “maschilismo guardone” ma al terrore di pensare e di sentire emozioni: danno una sbirciatina allo spacco di una minigonna ma guardano anche il presentatore “spiritoso” senza pensare a nulla. Non riescono né a compatire quella povera ventenne con la testa di una bambina, né a compatire quel poveraccio che ammicca, allude e sghignazza, senza accorgersi di esibire una virilità semplicemente vergognosa.

La banalità ammazza la sessualità più della repressione perché esclude implicitamente il dissenso. Chi mostra uno stimolo erotico in modi assimilabili solo alla pubblicità di una bistecca non “afferma” nulla, anche se implica molte cose. Non lascia spazio ad obiezioni del tipo “e perché?” semplicemente perché non ha né descritto né prescritto nulla. L’unica obiezione possibile esula dalla comunicazione: si può obiettare qualcosa solo mettendo in discussione tutta la comunicazione in quanto tale. E questa operazione è molto difficile perché richiede che lo spettatore non guardi solo la scena, ma consideri l’intero spettacolo e … senta qualcosa. In assenza di strumenti culturali ed intellettuali, in assenza di una forte accettazione della propria dignità di persona e della dignità delle altre persone e soprattutto in assenza di una sentita valutazione positiva della sessualità, queste esibizioni da baraccone “passano”, entrano come un batterio e contagiano ciò che ancora è vitale, razionale e passionale. Il telespettatore “debole” assorbe tutto, si fa un frullato di sensazioni indefinite e di pensieri impliciti e poi va a nanna impoverito, confusamente soddisfatto e vagamente perplesso.

Che fare? Si può fare ben poco quando il “nemico” è dentro e fuori. Ovviamente più si veicolano nella cultura idee limpide e riflessioni razionali, più si contrasta la marea dilagante. Il contrasto più efficace, però è quello che riguarda la comprensione della sfera emotiva. Infatti è vero che le persone hanno voglia di sentire poco e trascurano o combattono la sessualità per paura di sentire. E’ però vero che hanno anche una gran voglia di sentire. Sono stanche di vivere all’asilo e vorrebbero esprimere proprio ciò che temono.

La responsabilità maggiore di un possibile cambiamento, a questo punto, è delle persone che “fanno cultura”. Ma chi può fare buona “cultura di mente, di cuore e di sesso”?
Se escludiamo i politici che non trasmettono passionalità nemmeno quando parlano di problemi drammatici e oggettivi come la crisi economica, se escludiamo gli intellettuali che sembrano sempre in procinto di addormentarsi mentre parlano o si elettrizzano solo opponendosi a un degno avversario, se escludiamo le femministe che stanno ancora combattendo i maschi cattivi e se escludiamo i bigotti di tutte le religioni, restiamo con “pochi relatori”. Le persone colte hanno più nozioni, ma non necessariamente più passione e vitalità delle persone che “assorbono” cultura.

Eppure gli intellettuali che in tutte le epoche hanno catalizzato aspetti positivi delle persone motivandole al cambiamento sono stati passionali. Ci hanno messo il cuore. Non hanno fatto solo invettive rabbiose e non hanno solo discusso “con i loro simili” in convegni riservati. Gesù e Lenin, Gandhi e Don Milani, Wilhelm Reich ed Erich Fromm, Jack London e George Orwell hanno pensato con entusiasmo, hanno “stimolato la voglia di cambiare tutto”, hanno “sognato in grande [cfr. il POST Sognare realisticamente in grande].
In un periodo così critico della nostra vita sociale che non sconvolge solo l’economia, ma la cultura, l’informazione, i rapporti interpersonali e sociali e quindi anche la sessualità, possono essere di stimolo e di aiuto solo le voci che uniscono un’analisi razionale dei fatti ad un profondo amore per la vita e ad una sentita compassione per la fatica che tutti facciamo a vivere. Ogni parola che illumina e commuove può “toccare davvero” le persone. E ogni parola o gesto di benevolenza verso i bambini può rendere migliore gli adulti di domani.

Gianfranco

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