Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

sabato 9 ottobre 2010

DivertiMenti

“Oggi la gente pensa solo a divertirsi!” Questa frase spesso compare sulle labbra di persone infelici, lacerate interiormente, consumate dalla rabbia e fondamentalmente invidiose, perché divenute incapaci di divertirsi dopo anni ed anni di allenamento. Questa frase può avere versioni intellettualizzate come quella di un “pastore d’anime” che disprezza i gaudenti che non odiano la vita come lui, soprattutto quando giura di “amarla”. Più spesso ha versioni rozze, come quelle delle persone anziane e inacidite che vorrebbero piegare i giovani al culto del lavoro e dei sacrifici.

Il disprezzo per il divertimento, il gioco, il piacere sessuale, l’ozio [cfr. il POST Lavoro, ozio e tempo vissuto] e per le “eccessive” o “sdolcinate” manifestazioni di tenerezza [cfr. il POST Coccole e barche] si sviluppa lentamente fin dall’infanzia. Le persone “malate di serietà” iniziano, come ogni persona, nell’infanzia a cercare il piacere ed il divertimento, ma incontrano sguardi severi di genitori che non si divertono più e che sentono una reazione allergica a quella vitalità dei figli, troppo simile a quella che essi hanno sepolto. Per questo motivo, e non per amore della cultura, proferiscono strani comandamenti in base ai quali si devono fare i compiti e non si deve “solamente” giocare. Per una sorta di stanchezza interiore e non per una “folgorazione metafisica” negano ai figli la loro complicità nelle manifestazioni ludiche. Vogliono i figli “tranquilli” e i figli iniziano a spaccarsi interiormente fra il bisogno di giocare, di oziare, di cercare coccole e il bisogno di essere approvati. Mentre tracciano questo solco nella loro anima, i bambini ridimensionano la loro vitalità ed iniziano a disprezzare gli amichetti che manifestano un'esuberanza che hanno in parte cancellato; si stanno già preparando a diventare genitori capaci di negare attenzione e amore ai figli.

C’è una bellezza toccante nelle manifestazioni della giocosa spontaneità degli animali, dei bambini, degli amanti. Una bellezza che non si coglie più quando ci si è “corazzati” per non sentirsi soli e rifiutati. Una bellezza che però resta tale anche se disprezzata e che a volte anche le persone più rigide riconoscono, almeno in certi ambiti. Ci sono amanti del conflitto o della disciplina o del lavoro che riescono a vedere la bellezza della natura selvaggia, almeno nei documentari. Poi, al termine del programma si riallacciano la cintura di sicurezza. Sprazzi di vitalità, di giocosità, di gusto per l’armonia e per la bellezza continuano a illuminare la notte delle relazioni interpersonali morte o moribonde. Questo fatto salva l’umanità dalla totale follia, anche se non la protegge dalla “ordinaria follia”.

Il discorso fin qui svolto non risulta però completo se trascuriamo le forme di divertimento che hanno il sapore di una rinuncia e non di una sentita libertà. Forme “rituali” di (pseudo)divertimento che a prima vista possono essere difficili da distinguere da quelle spontanee e creative. La passione per le donne dei “seduttori incalliti” (come il personaggio del film di Truffaut, meraviglioso e devastante, L’uomo che amava le donne), come pure l’idolatria per la “squadra del cuore” di tanti uomini che “giocano” solo alla TV o (da spettatori) allo stadio, hanno un sapore amaro. Il bisogno di “viaggiare” di persone assolutamente indifferenti ai paesi e ai popoli che abitualmente osservano da turisti è un bisogno di “evasione” da qualcosa e non un desiderio di “partecipazione” a qualcosa. Anche il culto della gioventù (e la dipendenza dai prodotti di bellezza) ha un sapore strano quando è manifestato da donne (e, sempre più, anche da uomini) che non hanno mai fatto sesso con vero piacere e amore e che quindi hanno esibito la loro bellezza per esigenze di "accettazione" o di "affermazione". C’è quindi una diffusa “ricerca del divertimento” che non produce divertimento, ma “stordimento”, che non ha come fine il rispetto della persona, ma l’ottundimento della coscienza.

Il divertimento è quindi, a volte, un aspetto della nostra spontaneità [cfr. il POST SpontaneaMente] e altre volte un chiavistello luccicante, ma solido, che imprigiona. Questo secondo aspetto, coattivo e (auto)repressivo della tendenza al divertimento è molto diffuso e proprio sulla sua presenza fa leva la “società consumistica”.

Il film di Gary Ross Pleasantville mostra in modo delicato e graffiante come l’ordine costituito (famigliare e sociale) alimenti sia i rituali del controllo, sia quelli dell’evasione pur di schiacciare il piacere e la ricerca del piacere delle persone. Mostra anche che il mondo non è diviso fra buoni e cattivi, ma che tutti possiamo essere “cattivi” con noi stessi (e con gli altri) se rinunciamo a sentire. A sentire emozioni. A sentire tutte le emozioni.

L’idea che il divertimento possa essere manifestazione di libertà, ma anche di repressione, non è poi così strana, dal momento che qualsiasi nostra espressione si caratterizza essenzialmente per la finalità che la orienta. Si può desiderare di fare un figlio con un/una partner per allargare l’ambito dell’intimità e della condivisione di esperienze, oppure si può desiderare di fare un figlio per “dare un significato” ad una relazione a cui non si attribuisce alcun significato, o per dare un significato alla propria vita percepita come “vuota”.

I fautori del “divertimento a tutti i costi” e i moralisti che disprezzano chi “si diverte soltanto” hanno in comune la tendenza a vivere “poco”. I primi evitano il coinvolgimento emotivo utilizzando divertimenti finalizzati ad “ammazzare il tempo” e i secondi evitano il coinvolgimento emotivo in modi più noiosi (e solo per la loro rassegnazione al grigiore scambiano l’edonismo superficiale di altre persone per una forma di vera ricerca del piacere). In realtà le persone superficialmente "edoniste" e quelle noiose hanno smesso da tempo di ridere e di piangere. Quelle fissate su (pseudo)divertimenti si limitano a tenersi occupate pur di sentire poco, mentre le altre sentono di dover controllare impulsi pericolosi perché già inquinati dalla distruttività e preferiscono occuparsi di "cose pesanti". Alla radice di entrambi gli atteggiamenti c’è la tragedia di una mancanza di rispetto per sé che ha le sue radici nell’infanzia [cfr. il POST Cuccioli umani].

Cosa succede se la crescita individuale non viene calpestata, sminuita, impedita dai genitori? I bambini continuano a cercare due cose: l’affetto (soprattutto quello dei genitori) e il divertimento. Le manifestazioni dell’affetto dei genitori si declinano in vari modi: prima di tutto con il contatto fisico, poi con l’attenzione e la complicità nella “scoperta del mondo” attuata ogni giorno dai bambini con nuove sfumature.

Il divertimento permane anche se acquisisce nuove complessità: dal piacere di tenere stretto un orsacchiotto al piacere di fare giochi di ruolo, prima con i genitori e poi con altri bambini. Il bisogno di contatto emotivo e fisico e quello di giocare non escludono, tuttavia, la possibilità di apprendere cose nuove, perché lo sviluppo della curiosità procede di pari passo con lo sviluppo affettivo. Il compito degli educatori è quello di coltivare la curiosità dei bambini e di incanalarla in forme adeguate di apprendimento e non è quello di squalificare i bisogni di affetto e di gioco per imporre la disciplina e la conoscenza.

I bisogni di coccole e di divertimento, con la crescita mantengono tutta la loro importanza diventando desideri (in parte sessualizzati) adulti. L’esperienza del vivere trasforma però i desideri elementari, senza bisogno di repressione, in desideri più complessi. Se il dolore viene elaborato (inizialmente con il sostegno dei genitori) e non escluso dalla coscienza, i desideri elementari acquisiscono una profondità che non potevano avere nei primi anni. Gradualmente i bambini ed i ragazzi cominciano a trattare gli altri come soggetti e non come oggetti.

Questo sviluppo spontaneo e non la passiva assimilazione di doveri imposti sta alla base dei comportamenti eticamente significativi. Crescendo, i bambini continuano a cercare il divertimento ed il contatto, ma imparano anche a conoscersi, rivolgersi a se stessi, a dialogare con se stessi. Gradualmente, essendo desiderosi di esperienze piacevoli, SE sono accolti e sostenuti dai genitori nei momenti dolorosi, imparano ad aver cura e compassione per se stessi e a formarsi l'idea di essere delicati e preziosi ... e imparano anche a rispettare gli altri. SE, invece, sono trascurati o umiliati o indottrinati, imparano a dissociarsi dal dolore e tendono a trascurare le proprie emozioni ... e quelle degli altri. L'empatia si sviluppa spontaneamente in un clima di accettazione e di rispetto e produce un'attenzione agli altri ed una capacità di trattarli come soggetti e non semplicemente come oggetti.

Questo processo (ostacolato e non favorito da istanze "educative" di tipo moralistico) porta i bambini a crescere con una spiccata sensibilità per gli altri e porta i bambini anche ad interessarsi di cose che non sono immediatamente divertenti, ma egualmente importanti. Le basi dell'interesse per espressioni creative più complesse di quelle semplicemente ludiche e per forme di impegno che non producono un piacere "immediato" derivano da questa maturazione. Non eliminano certo il desiderio di contatto affettivo e di divertimento, ma danno "spessore" alle esperienze interpersonali. Solo in questo modo i bambini possono diventare adulti capaci sia di spassarsela alla grande, sia di dedicare energie agli altri disinteressatamente. E capaci sia di ricevere che di dare affetto e comprensione.

Fuori da questo sviluppo lineare i comportamenti sociali costruttivi e moralmente validi derivano nei bambini (e nei bambini divenuti ormai adulti) solo dalla paura di essere considerati "egoisti" o "superficiali" e non da una genuina "apertura" nei confronti degli altri, della realtà e della società. [Cfr. il POST Alexander Neill e la scuola di Summerhill]. Per questo motivo il divertimento nelle persone cresciute con poco affetto finisce per essere "poco divertente": è cercato come compensazione ad una vita poco vissuta o è addirittura negato in nome di doveri e tragedie rassicuranti.

Gianfranco

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