Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

sabato 16 ottobre 2010

Fiori per Algernon



“Il dotor Strauss dicie che dovrei skrivvere quello che penso e riccordo e tutto quello che mi sucederà dora inavanti. Non lo so il perché ma lui dicie che importante perché così vedranno se potrò servire a cualcosa. Spero di sì perché Miss Kinnian dicie che forse riusiranno a farmi diventare inteligiente. Vollio esere inteligiente. Michiamo Charlie Gordon e lavvoro nela paneteria di Donner indove che il signor Donner mi dà 11 dollari a la setimana e pane o torta se volio. Ho 32 anni e il mese prossimo sarà il mio compleanno. O detto al dotor Strauss e al profesor Nemur che non so skrivvere bene ma non a importanza dicono loro doverei soltanto skrivvere come che parlo e come skrivvo comprosizzione al centro scollastco per addulti ritardatati, nela clase de la Miss Kinnian dove che vado tre volta a la setimana ne le mie ore libbere. Il dotor Strauss dicie di skrivvere tanto di tuto quelo che penso e di tuto quelo che mi suciede ma a me non mi vene in mente altro perché non ci ho gnente da skrivvere e così perogi chiudo… il vostro a fezionato Charlie Gordon”.


Questo brano costituisce l’inizio di un libro molto prezioso, scritto da Daniel Keyes nel 1966 (Fiori per Algernon, trad. it. Longaesi, Milano, 1973). Uno di quei “libri-amici” che mi fa compagnia da molti anni e di cui oggi parlerò un po’.


Il testo ha avuto un’anticipazione nel 1959: la pubblicazione con lo stesso titolo, di un racconto breve (una trentina di pagine). Il racconto vinse il premio Hugo per il miglior racconto breve nel 1960 e ciò motivò l’Autore a sviluppare quel tema con poche variazioni e molti approfondimenti psicologici facendolo diventare un libro. Anche il libro ha avuto un certo successo ma, a mio avviso, non quello che meritava. Troppo profondo per piacere agli intellettuali e troppo commovente per piacere al grande pubblico, anche perché collocato nel settore editoriale della fantascienza. Il racconto breve è stato infatti pubblicato da Einaudi nel 1973 in un’antologia della fantascienza intitolata Le meraviglie del possibile.


La storia è in fondo semplice. Charles Gordon, che tutti chiamano Charlie, è un ritardato a cui viene offerta la possibilità di sviluppare l’intelligenza con un nuovo tipo di intervento chirurgico fino ad ora sperimentato solo su animali. All’inizio della storia Charlie è molto frustrato perché il topolino Algernon (che ha triplicato la sua capacità intellettiva con l’intervento) lo supera sempre nella prova del labirinto.


L’operazione riesce bene e i resoconti di Charlie (che costituiscono il tessuto del libro) mutano sia sul piano della grammatica, sia su quello della comprensione dei fatti, sia perché includono sempre maggiori collegamenti con le conoscenze gradualmente assimilate. Dalla vetta raggiunta, però, Charlie comprende prima degli studiosi che lo avevano operato e seguito, che Algernon sta regredendo e che egli stesso dovrà inevitabilmente ritornare al suo livello originario di intelligenza.


Nel libro, più che nel racconto breve, viene descritto nei dettagli il mondo interno di Charlie in tutte le sue sfumature e viene analizzato con cura il rapporto fra Charlie e la sua famiglia d’origine ed il rapporto fra Charlie e Alice Kinnian, l’insegnante che lo accompagna sia nella scuola per ritardati all’inizio, sia nei suoi studi successivi. Tra i due nascerà un amore struggente, complicato ovviamente dalla stranezza di tutta la situazione e dai cambiamenti manifestati da Charlie.


La storia è intrigante e non è strano che sembri un valido spunto di riflessione su alcuni temi: il rapporto fra le persone che hanno dei deficit intellettivi e le persone normali, i codici etici della ricerca scientifica, le ambizioni personali dei ricercatori scientifici, l’attesa della morte (che nel caso del personaggio è l’attesa del ritorno alla condizione di ritardato). Dallo scritto di Keyes Ralph Nelson ha stato tratto un film (I due mondi di Charly, 1968). Nonostante l’ottima interpretazione di Cliff Robertson (premiato con un Oscar), il regista non è riuscito però, a mio parere, a cogliere lo spessore umano e la delicatezza del “mondo interno” di Charlie, e nemmeno la complessità dei sentimenti di Alice.


Cercherò ora di “scavare” un po’ nel testo di Keyes (facendo citazioni dal romanzo, non dal racconto breve) sia per riconoscerne i pregi, sia per evidenziare alcuni temi importanti abitualmente ignorati da filosofi e psicologi, ma importanti per il nostro cammino personale.


Il libro si presta ad un equivoco, ovvero all’idea secondo cui la nostra lucida e profonda partecipazione alle esperienze della vita dipenda dalla nostra intelligenza, poiché le vicende narrate si sviluppano in relazione allo sviluppo ed all’involuzione del quoziente intellettivo di Charlie. Tuttavia tale lettura sarebbe superficiale e fuorviante. In realtà, tutti conosciamo persone indiscutibilmente intelligenti o anche superiori alla media, ma decisamente “povere” sul piano umano. Tutti conosciamo anche persone che sicuramente non brillano per il loro Q.I. o per la loro cultura, ma sono profondamente sagge [cfr. il POST Crimini di tempo]. Ci si deve chiedere quindi se implicitamente l’Autore voglia davvero suggerire l’idea banale secondo cui le nostre “capacità umane” sono riconducibili alle nostre capacità intellettive. Alcuni brevi passaggi possono indurci ad appoggiare questa interpretazione: Alice percepisce, quando Charlie è diventato un genio, di essere distante da lui come quando egli era uno stupido e quindi di non poter avere un rapporto sentimentale con lui. Inoltre, i due si amano proprio nella “fase discendente” di Charlie, quando intellettivamente si ritrovano sullo stesso livello. Tuttavia, sarebbe riduttivo attribuire all’Autore una sopravvalutazione dell’intelligenza nelle relazioni interpersonali. Di fatto, Alice non si concede a Charlie nella sua “fase ascendente” per due motivi ben diversi: in tale fase Charlie è “scombussolato” dai continui cambiamenti e soprattutto egli stenta a raggiungere una maturazione emozionale analoga a quella intellettiva. I due si incontreranno, quindi nel momento in cui Charlie avrà acquisito una maggior consapevolezza di sé ed anche un profondo rispetto di sé.


La comprensione del declino in corso rende Charlie meno superficiale e più compassionevole, cioè più “umano” e quindi capace di amare se stesso e una donna. Solo in questa nuova, dolorosa ma intensa e positiva situazione, Alice sente di potersi fidare di lui e di manifestare un affetto che c’era da sempre e che era già divenuto attrazione, ma non era stato espresso.


All’inizio Charlie risultava privo di fascino, non perché “meno intelligente” di Alice, ma perché non abbastanza intelligente da essere consapevole di sé e degli altri. Egli rideva con i suoi colleghi di lavoro quando gli facevano scherzi crudeli perché non comprendeva le loro intenzioni. Non era “meno intelligente”, ma era come un bambino. D’altra parte, anche se molte persone sono così disturbate emotivamente da non rendersene conto, ciò che rende buono un rapporto di coppia o di amicizia o un rapporto fra genitori e figli non è una simile condizione intellettiva, ma una buona capacità di contatto emotivo, di rispetto e di empatia.


Purtroppo l’idea che elevati standard di intelligenza (o, in altri casi, elevati standard di bellezza o di successo) ci rendano amabili è un’idea molto diffusa. Le persone hanno “ambizioni” proprio perché normalmente, in un mondo normalmente folle, credono di poter essere amabili per via di qualità che le rendono semplicemente stimabili.


E’ ovvio che per certi incarichi si richiedano competenze intellettive e conoscenze superiori alla media; è pure ovvio che le persone di bell’aspetto cerchino in genere dei partner fisicamente attraenti o che una banca conceda prestiti più alti a chi ha più ricchezza, ma questo non dimostra che gli Enti amino i loro funzionari o che le donne belle amino i loro compagni (e viceversa) o che le banche amino i loro clienti. Questa idiozia di massa che porta tanta gente a sentirsi in imbarazzo con persone “superiori” sotto qualche aspetto o che porta tanta gente a leggere un certo libro solo perché “lo hanno letto tutti”, come ogni idiozia, non sta in piedi. Resta in piedi pur non avendo solide basi, perché ha basi psicologiche profonde, anche se irrazionali: i genitori, quando detestano i figli, non conoscono il motivo della loro ostilità e quindi trovano delle scuse: “sei il solito stupido”, “fatti onore”, “non deludermi”, “non far soffrire la mamma”. I bambini, proprio perché sono piccoli preferiscono credere a queste stronzate [cfr. il POST Stronzate e analisi filosofica] piuttosto che sentirsi non amati. Vogliono credere che se saranno più bravi a scuola, più buoni con la nonna o più ordinati, poi saranno anche amati. Si aggrappano (inconsapevolmente) a queste stronzate e ne fanno una ragione di vita, sia nell’infanzia, sia nelle epoche successive: cercano amore “sgomitando” prima a scuola o nello sport e poi sul lavoro, cercano amore “parlando difficile” anche se non serve, cercano amore “ritoccandosi le rughe” quando invecchiano. Il libro di Keyes è quindi, in fondo, proprio un antidoto per questa “droga mentale”, dal momento che quando Charlie diventa un genio ci tiene a precisare che era un essere umano anche prima e che meritava quindi lo stesso rispetto.


Nel romanzo è chiarito bene che l’attaccamento di Charlie all’idea di diventare “inteligiente” ha profonde radici nella nevrosi di sua madre, una donna fragile emotivamente ed incapace di accettare il ritardo mentale del figlio. Una donna orientata a scaricare sul figlio la propria mancanza di rispetto per se stessa. Il padre è molto più sereno nei confronti dei limiti del figlio, ma non riesce a “fare il padre” e ad intervenire quindi in modi opportuni. Charlie comprende il nesso fra il proprio passato e la propria esigenza di “progredire”: “Ma io, suppongo, non smisi mai di desiderare di essere il bambino intelligente che lei avrebbe voluto, affinché potesse amarmi” (p. 128).


Se vediamo il libro da questa angolazione, riusciamo a trovare in esso proprio un profondo riconoscimento del valore delle capacità “umane” degli esseri umani, al di là dei loro pregi o limiti intellettivi.


Non a caso, quando Charlie inizia a sentire attrazione sessuale per Alice, si accorge di non avere una “solidità interiore” paragonabile alla solidità culturale ormai raggiunta e riflette sulla cosa in questi termini: “Come fa un uomo a imparare il modo di comportarsi con una donna? I libri non servono un gran che” (p. 75). Si impara infatti crescendo in un ambiente famigliare emotivamente equilibrato e intenso. Si impara prima ad essere amati e poi ad amare. La capacità di amare sessualmente si sviluppa in seguito, naturalmente.


Quando Charlie si accorge di avere poco tempo prima di tornare nel “buio”, nella “non consapevolezza di sé” da cui era emerso, si accorge di dover “vivere la propria vita”. Sente di aver poco tempo, ma di dover fare alcune esperienze che gli mancano, e tra queste l’esperienza di amare una donna. Questa esperienza gli sembra importante perché, pur essendo riuscito a fare sesso con un’amica, non si era mai lasciato andare ad una persona veramente amata. Dopo aver fatto l’amore con Alice, scrive queste parole: “Non pretendo di capire il mistero dell’amore, ma questa volta è stato più del puro sesso. Mi sono sentito sollevare dalla oscura cella della mia mente e sono divenuto parte di qualcos’altro” (p. 255). Non a caso –e questo è un altro punto a favore dell’Autore- questa “elevazione interiore” è resa possibile a Charlie dall’esperienza di lasciarsi andare ad un donna, e non dagli studi compiuti.


La felicità ha a che fare con la nostra capacità di volerci bene, di farci compagnia, di accettarci per quello che siamo, ma ha molto a che fare anche con “l’abbraccio fiducioso ad un’altra persona” che è possibile solo nell’amore. Questa è la vera “scoperta” di Charlie, la vera scoperta di questo ingenuo divenuto un uomo eccezionale che comprende l’importanza di essere semplicemente un essere umano.


Lo sviluppo intellettivo eccezionale porta Charlie a capire cose che nemmeno gli studiosi che lo avevano seguito riuscivano a capire, ma ciò che di meraviglioso egli raggiunge, uscendo dal tunnel della propria ottusità iniziale, è soprattutto la capacità di accettare sia ciò che è, sia ciò che era. Di accettare Alice. Di accettare Alghernon anche sulla via del declino e dopo la sua morte. Assistendo al declino di Algernon egli prova compassione per quell’animaletto che gli era stato tanto vicino. E decide che il topolino suo amico non deve finire nell’inceneritore del laboratorio. Dopo la sua morte lo seppellirà nel proprio giardino e continuerà a deporre fiori sulla piccola tomba. Da qui il titolo del libro.


Questa ricchezza interiore diventa un elemento stabile di Charlie e questi manterrà l’affetto per Alice e per Algernon anche nelle settimane dell’involuzione, in cui tornerà a scrivere dei rapporti sgrammaticati. L’ultimo di questi (e l’ultima pagina dell’intero libro) riguarda proprio il suo sentimento per l’amico sepolto nel giardino: “per piacere se posono metano cualke fiore su la tomba di Algernon nel kortile”.


Gianfranco

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