Ci sono autori che a distanza di decenni sono ancora attuali per le loro idee e per le indicazioni che suggeriscono. Orwell [cfr. Il POST George Orwell e il totalitarismo] è uno di questi, e non a caso ha illuminato la generazione alle prese con il fascismo e può entusiasmare anche la "generazione del web".
Ci sono altri autori che invece sono stati pietre miliari, senza il cui contributo non capiremmo chi siamo, ma dai quali stentiamo a stralciare una citazione, perché tutto il loro pensiero “complessivamente illuminante” è anche radicalmente datato: possiamo a questo proposito ricordare Karl Marx e Wilhelm Reich.
Oggi mi tocca spendere qualche parola su Emmanuel Mounier (1905-1950), un autore di questo ultimo gruppo, che va ricordato in un’epoca disastrata come la nostra in cui il concetto di persona è stato espunto dal lessico politico. Oggi brancoliamo nel vuoto, fra concezioni dell’uomo (pseudo)scientifiche e concezioni della politica “tecniche” o superficiali o “mafiose”. In questa nebbia in cui tutte le vacche sono grigie, qualche riflessione sui temi e sugli autori “fondamentali” può scuoterci dall’indifferenza o dalla rassegnazione, anche se non può darci ricette facilmente applicabili alla situazione politica del momento. Da Mounier possiamo raccogliere un’idea, da ricollocare nel nostro territorio e da trattare con cura perché produsse risultati preziosi, cioè la centralità del concetto di persona nella psicologia e soprattutto nella politica.
Una politica che non sia ridotta ad amministrazione burocratica di una convivenza fra cittadini, che non sia ideologia staccata dalla realtà e che non sia l’incubo reazionario in cui siamo sprofondati è (e deve essere) un progetto realistico e giusto di convivenza fra persone. Cioè fra individui considerati nella loro totalità e nel loro valore.
In chiave psicologico-filosofica Mounier ha tentato un’operazione di fondazione etico-spirituale dei concetti di persona e di carattere. “Il mio carattere non è ciò che io sono nel senso in cui un’istantanea psicologica fisserebbe tutte le mie determinazioni compiute, tutte le mie linee già ben segnate: è la forma di un movimento diretto verso un avvenire spinto verso un miglior essere” (Trattato del carattere, 1947, trad. it. Ed. Paoline, 1949, rist. 1990, p. 90). Questa commistione fra psicologia e spiritualismo è il punto di forza ed è il punto debole di tutto il pensiero di Mounier. Punto di forza, perché, a modo suo, egli ci parla dell’uomo come di un essere in cammino, di un fascio di potenzialità da sviluppare e da esprimere. Punto debole perché oggi abbiamo bisogno di distinguere ciò che è dato empirico-scientifico e ciò che è progetto o proposta da realizzare, sia a livello personale, sia a livello interpersonale e sociale. Eppure, a modo suo, come a modo loro tutti i pensatori del filone “umanistico” del marxismo e del filone rivoluzionario del cattolicesimo, Mounier ci ricorda che le persone non sono cose, oggetti, “masse”, ma sono realtà cariche di esperienza e quindi sensibili, vulnerabili, capaci di esprimere il meglio o il peggio di sé e quindi da trattare con il massimo rispetto, anche se la politica si occupa dei loro aspetti o dei loro problemi più “materiali”.
Non a caso, in politica Mounier ha promosso con entusiasmo e concretezza dei laboratori di cambiamento che ancor oggi possono essere di stimolo per quei (pochi) politici non rassegnati ad amministrare il presente o a riformarlo nei dettagli. Tentando di definire o circoscrivere il concetto di personalismo, Mounier si è espresso nel 1947 in un linguaggio austero, ma anche toccante. “Questo nome risponde al dilagare dell’ondata totalitaria; da essa è nato e contro di essa, e accentua la difesa della persona contro l’oppressione delle strutture. Sotto quest’angolo visuale corre il rischio di trascinare con sé vecchie reazioni individualistiche, felici di adornarsi di un nuovo blasone: di deliberato proposito l’abbiamo fin da principio associato a ‘comunitario’; ma un’insegna non è una qualificazione completa; e, quando noi ricorderemo le vie maestre della nostra filosofia dell’uomo, vedremo che la persona non è una cellula, nemmeno in senso sociale, ma un vertice, dal quale partono tutte le vie del mondo” (Che cos’è il personalismo?, 1947, trad. it. Einaudi, 1948, rist. 1975, pp. 13-14).
Il concetto di “personalismo comunitario”, per quanto sviluppato in un altro contesto storico ed in un altro ambito problematico, è proprio l’ingrediente che manca oggi, nel nostro paese, per una rifondazione della politica in senso autenticamente democratico, egualitario e libertario [cfr. il POST Destra e sinistra come categorie politiche ed etiche e il POST Sogni e politica]. Tutti gli autori che hanno in qualche modo spinto “in avanti” la riflessione politica, liberandola dalle pastoie dell’economicismo, hanno in un modo o nell’altro pensato alla politica come ad uno sforzo di rispondere alle esigenze delle persone in una società intesa come comunità [cfr. il POST Terzani, per una politica di testa e di cuore].
Per questo, al di là delle radici religiose del suo pensiero e di tutti i suoi limiti, abbiamo deciso di includere Mounier fra gli “amici e maestri” del nostro blog.
Gaetano