Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

giovedì 25 giugno 2009

Destra e sinistra come categorie politiche ed etiche

“Quelli che non si sono mai occupati di politica

perché dicono che la politica l’e una roba sporca – oh yeah”

(Enzo Jannacci, Quelli che)


“L’ideologia, l’ideologia

malgrado tutto credo ancora che ci sia

è la passione, l’ossessione della tua diversità

che al momento dove è andata non si sa

dove non si sa, dove non si sa.

(…)

Il saluto a pugno chiuso

è un antico gesto di sinistra

quello un po’ degli anni Venti, un po’ romano

è da stronzi oltre che di destra.”

(Giorgio Gaber, Destra-Sinistra)



Il marxismo delle origini si è proposto come teoria scientifica della storia, come filosofia della prassi e anche come filosofia generale di tipo dialettico. Non si è presentato come progetto ideale, etico-sociale, pur toccando inevitabilmente delle corde emotive e pur sollecitando delle riflessioni etiche. Infatti, nel quadro di riferimento materialistico-storico, le idee si sviluppavano da sole ai margini dei cambiamenti (necessari) di tipo economico. I movimenti politici ispirati al marxismo hanno fatto battaglie ideologiche anche accese, considerandole tuttavia un completamento delle lotte sociali che erano l’effetto delle trasformazioni sociali in atto.
In realtà il marxismo non stava in piedi. La storia ha smentito sia l’idea del necessario superamento del capitalismo (ancora vivo, vegeto e globalizzato), sia quella della necessità della rivoluzione proletaria, sia quella della transizione ad una società armonica e compiutamente comunista nei paesi post-rivoluzionari (nei quali si sono realizzati incubi autoritari anziché sogni di libertà). Anche la filosofia dialettica non ha mai convinto gli scienziati e non ha influenzato più di tanto la filosofia contemporanea.

Dopo più di un secolo e mezzo, il marxismo è archiviato, ma si discute ancora di socialismo e di sinistra. Paradossalmente, l’unico “arnese” ancora utilizzabile del marxismo delle origini è proprio il sogno che ha alimentato: quello di una società di uomini eguali, liberi, padroni delle loro vite, uniti da un impegno comune, solidali nella realizzazione di un mondo migliore.
Non a caso, solo su un piano il marxismo, il socialismo, le sinistre e i movimenti rivoluzionari hanno avuto in certe fasi dei risultati positivi (anche se transitori o incompleti): sul piano dell’aggregazione di tante persone attorno ad un progetto etico e politico di convivenza sociale basato sull’eguaglianza anziché sulla diseguaglianza, sulla libertà anziché sull’oppressione, sulla cooperazione anziché sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Quando la sinistra si è attivata in questa direzione, non meramente pragmatica ed economicistica, ha risvegliato l’esigenza di giustizia dei lavoratori, il comunitarismo del cristianesimo dei primi secoli, l’anelito alla libertà dei moderati, la spinta alla partecipazione dei democratici assonnati, la rabbia dei giovani, la saggezza dei vecchi e il senso di dignità delle donne. Muovendosi sul piano dei valori la sinistra è stata capace di ottenere dei risultati politici notevoli, anche se circoscritti.
Quando invece la sinistra ha abbandonato questo modo di intendere il suo ruolo nella società, ponendosi obiettivi modesti, anzi, mediocri, di tipo “amministrativo”, proponendosi come una delle tante “forze politiche democratiche” vagamente orientata alla tutela delle fasce sociali più deboli, ha perso. Ha perso battaglie elettorali o le ha vinte per poi sciupare il consenso ottenuto.
Il declino attuale della sinistra in Italia e in Europa rientra in un circolo vizioso che continua ad indebolirla, inducendola ad ulteriori manifestazioni di moderazione che producono ulteriori indebolimenti.



La sinistra, proponendosi come forza di governo dell’esistente anziché come forza di trasformazione politica, sociale e morale della società, ha lasciato un vuoto colmato non già da nuovi movimenti politici più maturi, ma da incubi del passato remoto (riproposizioni aggiornate del fascismo e del razzismo), da incubi del passato prossimo (consumismo esasperato) e da nuovi incubi in cui lo spirito reazionario si associa al culto della stupidità (spinte politiche particolaristiche e locali, appiattimento della cultura, morbosa curiosità per vicende banali, interesse per personaggi intellettualmente miserabili del mondo dello spettacolo, ossessione diffusa per il gossip).
Se la sinistra non scuote il bisogno profondo di una buona convivenza sociale, di un impegno per una società realmente rispettosa delle persone che la compongono, non ha alcuna possibilità di sconfiggere una cultura reazionaria che si è trasformata ed è divenuta “non cultura di massa”. Se la sinistra non si propone come concezione positiva della vita, della società, delle persone è destinata a soccombere per il prevalere di due potenti istanze: quella “attiva” degli strati privilegiati che mirano a consolidare il potere con la manipolazione più che con la repressione (ma, se occorre, anche con la repressione) e quella delle persone sottoposte al potere che tendono alla passività, all’attaccamento alle illusioni, all’evasione, al conformismo, alla superficialità.



Occorre quindi ritornare alla distinzione fra destra e sinistra e sottolineare come queste due ideologie si declinano sul piano etico, ideale, valoriale e quindi anche sul piano dei sentimenti.
Alcuni brani tratti da un libro molto pregevole di Norberto Bobbio possono introdurre nel modo migliore le considerazioni successive.
"Se mi si concede che il criterio per distinguere la destra dalla sinistra è il diverso apprezzamento rispetto all’idea dell’eguaglianza, e che il criterio per distinguere l’ala moderata da quella estremista, tanto nella destra quanto nella sinistra, è il diverso atteggiamento rispetto alla libertà, si può ripartire schematicamente lo spettro in cui si collocano dottrine e movimenti politici, in queste quattro parti:
a) all’estrema sinistra stanno i movimenti insieme egualitari e autoritari (…)
b) al centro-sinistra, dottrine e movimenti insieme egualitari e libertari (…)
c) al centro-destra, dottrine e movimenti insieme libertari e inegualitari (…)
d) all’estrema destra, dottrine e movimenti antiliberali e antiegualitari (…)”
(Destra e sinistra, Donzelli, Roma, 1999, pp. 70-71).



Più sinteticamente, Bobbio scrive: “…ciò che ha caratterizzato la sinistra rispetto alla destra è quell’ideale o afflato o passione, cui sono solito dare il nome di “ethos dell’eguaglianza”." (Op.cit. p. 82).


Queste le considerazioni collegate alla sua esperienza personale: “La ragione fondamentale per cui in alcune epoche della mia vita ho avuto qualche interesse per la politica o, con altre parole, ho sentito, se non il dovere, parola troppo ambiziosa, l’esigenza di occuparmi di politica e qualche volta , se pure più raramente, di svolgere attività politica, è sempre stato il disagio di fronte allo spettacolo delle enormi diseguaglianze, tanto sproporzionate quanto ingiustificate, tra ricchi e poveri, tra chi sta in alto e chi sta in basso nella scala sociale, tra chi possiede potere, vale a dire capacità di determinare il comportamento altrui, sia nella sfera economica sia in quella politica e ideologica, e chi non ne ha. Diseguaglianze particolarmente visibili e – a poco a poco irrobustendosi la coscienza morale col passare degli anni e il tragico evolversi degli eventi - sempre più consapevolmente vissute da chi, come me, era nato ed era stato educato in una famiglia borghese, dove le differenze di classe erano ancora molto marcate. Queste differenze erano particolarmente evidenti durante le lunghe vacanze in campagna dove noi venuti dalla città giocavamo coi figli dei contadini. Tra noi, a dire il vero, c’era effettivamente un perfetto affiatamento e le differenze di classe erano assolutamente irrilevanti, ma non poteva sfuggirci il contrasto tra le nostre case e le loro, i nostri cibi e i loro, i nostri vestiti e i loro (d’estate andavano scalzi). Ogni anno, tornando in vacanza, apprendevamo che uno dei nostri compagni di giochi era morto durante l’inverno di tubercolosi. Non ricordo, invece, una sola morte per malattia tra i miei compagni di scuola di città” (op. cit. pp. 75-76).


L’elemento di riflessione più interessante e condivisibile suggerito da Bobbio, risulta però da quest’ultima frase, in cui egli chiarisce ulteriormente l’idea che la discriminante fra destra e sinistra è essenzialmente etica: “…l’elemento che meglio caratterizza le dottrine e i movimenti che si sono chiamati “sinistra”, e come tali sono stati per lo più riconosciuti, è l’egualitarismo, quando esso sia inteso, lo ripeto, non come l’utopia di una società in cui tutti sono eguali in tutto ma come tendenza, da un lato, a esaltare più ciò che rende gli uomini eguali che ciò che li rende diseguali, dall’altro, in sede pratica, a favorire le politiche che mirano a rendere più eguali i diseguali” (op. cit. p.63).


Se condividiamo queste considerazioni, arriviamo a concludere che tra destra e sinistra non esiste una semplice differenza di punti di vista (come quando si afferma la preferenza per diversi tipi di musica o di abbigliamento) e nemmeno una motivata opposizione teorica (come ad esempio fra sostenitori e detrattori dell’omeopatia). Tra destra e sinistra esiste una differenza fondamentale: la destra difende persone e gruppi privilegiati, difende gli interessi di chi ha delle ricchezze, trascura le esigenze degli strati più deboli della popolazione, salvo nei casi in cui essi, indebolendosi troppo possono ridurre drasticamente i consumi e quindi i profitti. La sinistra invece è per sua natura un ambito in cui nascono e si confrontano dei valori più o meno radicati, più o meno discutibili, più o meno validi per migliorare la convivenza sociale.


La destra in altre parole è la politica di chi ha potere e vuole tenerselo. Quando afferma dei “valori” fa una operazione di seduzione delle persone culturalmente deboli perché afferma quei “valori” (ordine, tradizione, ecc.) che le inducono a non ribellarsi e a lasciare il potere a chi lo ha già.

In realtà quei valori non sono valori: l’ordine non è un valore se non si capisce a quale scopo è subordinato: mettere i libri di una biblioteca in ordine di colore è sicuramente “metterli in ordine”, ma non serve. Anche la tradizione non è un valore perché il passato ci ha lasciato degli elementi di saggezza e di stupidità e quindi una conoscenza del passato può avere un grande valore o essere una semplice superstizione. L’ordine e la tradizione che la destra vende come valori sono in realtà parole ipnotiche volte a disarmare chi potrebbe stancarsi di vivere male; parole che seducono menti poco agili per non far comprendere la realtà, a vantaggio di chi nella realtà attuale ha dei privilegi.


La sinistra ha come vocazione la tutela degli interessi degli strati più deboli della popolazione, ma non ha come obiettivo quello di trasformare i poveri in ricchi e i ricchi in poveri, bensì la costruzione di una società in cui la vita di tutti possa essere dignitosa e soddisfacente. L’egualitarismo della sinistra è quindi un vero valore e come tale circoscrive spazi e di riflessione e di confronto volti ad un miglioramento della convivenza sociale. Le idee di “ordine” e di “tradizione” non sono valori e circoscrivono spazi di non riflessione e di ripetizione di pregiudizi.


Va sottolineato che se la sinistra, per cercare consensi moderati, rinuncia ai suoi valori in nome di un progetto banale di amministrazione efficiente della società, è destinata a perdere perché non può garantire di essere in grado di amministrare meglio se non afferma di avere obiettivi diversi da chi amministra la società nell’interesse degli strati sociali privilegiati. Se la sinistra, per cercare consensi moderati, rinuncia ai suoi valori e accetta di dialogare con la destra COME SE fosse portatrice di “altri” valori, è destinata a perdere, perché proprio in questa perversa ostinazione al dialogo concede alla destra una dignità che non ha e rinuncia a favorire nelle persone quelle riflessioni e quella sensibilità che sono la spinta più forte per un cambiamento.


La libertà non è un valore di destra ma un valore umano che è stato esaltato o calpestato da movimenti politici di ogni colore. L’unica libertà difesa storicamente in modo specifico dalla destra è la libertà della proprietà privata dei mezzi di produzione. Questa libertà non è un valore: indica semplicemente che “loro si vogliono tenere la loro roba” o che “vogliono aumentare la loro ricchezza”. Tutto qui.

Quando si afferma che la capacità di impresa va ricompensata si trascura il fatto che in molte imprese chi dirige e organizza di fatto il lavoro non è il proprietario ma un dipendente, cioè un impiegato molto specializzato e ben remunerato, ma sempre un dipendente. Se poi volessimo ammettere che chi ha una buona idea (capitalista o semplice direttore della produzione o manager) può aver diritto a una ricompensa particolare, come chi scrive un libro e riceve i diritti d’autore a vita, non per questo potremmo giustificare come “diritti d’autore” la montagna di profitti che una impresa accumula. Inoltre, la logica del profitto, sganciata da valori autentici, induce scelte scellerate in chi ha il potere, con conseguenze devastanti per interi strati sociali, per interi paesi e per l’ecosistema. Si afferma a volte che va ricompensato il rischio di impresa, ma anche questa è un’idea bizzarra, poiché se non ci fosse il capitale non ci sarebbe rischio di impresa. Il capitale iniziale non viene portato in dono dalla Befana ai più buoni e per il semplice rischio di impresa basta una buona polizza assicurativa, magari statale. Quindi il mito della proprietà privata è un semplice tentativo di giustificare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e va messo in discussione dalle sinistre dato che le destre esistono solo per giustificare lo sfruttamento.


Quando certe componenti della sinistre affermano che, di fatto, la complessità del capitalismo rende necessaria un’accettazione realistica di questo modo di produzione, fanno una scelta più o meno condivisibile ma comprensibile, soprattutto se volta ad evitare una rivoluzione violenta. La sinistra tuttavia è tale se comunque mantiene l’obiettivo di limitare, contrastare e regolare la logica del profitto. E se respinge l’idea che ci siano valori di destra. La destra non ha valori, ma è il limite dei valori, di qualsiasi valore perché è la razionalizzazione dello sfruttamento sul piano oggettivo e dell’avidità su quello soggettivo e mira semplicemente a garantire il potere politico, culturale e militare di chi ha già un potere economico.

Il capitalismo è diventato globale e anche confuso. Si è ramificato come un cancro. Le società finanziarie amministrano anche i risparmi dei lavoratori. Come li fanno aumentare? Non certo annaffiandoli, ma finanziando iniziative come ad esempio la dislocazione di stabilimenti in aree geografiche in cui la manodopera a costi quasi inesistenti è fornita da bambini che lavorano tutto il giorno, tutti i giorni, tutto il tempo della loro infanzia. Quando l’operaio a fine anno incassa il beneficio economico dei suoi magri risparmi, ha in realtà incassato il denaro tolto ad un bambino che ha lavorato per lui in un lontanissimo angolo di mondo. Questa logica corrompe anche i poveri che sognano di amministrare bene il poco che hanno. E’ una logica perversa e la sinistra non può limitarsi a dire che il capitalismo non è in discussione.


Probabilmente il cancro del capitalismo è così esteso che un intervento chirurgico farebbe morire tutto l’organismo. D’accordo. Vogliamo lasciare da parte i sogni marxiani della rivoluzione proletaria? Possiamo farlo. Però un conto è accettare il capitalismo provinciale e planetario come un bene e un conto è accettarlo come l’inquinamento. Gli ecologisti non si propongono di bloccare tutte le automobili, le fabbriche, le cose che inquinano, ma di indirizzare l’economia e riorganizzare la società in modo che l’inquinamento sia tenuto sotto controllo. Allo stesso modo, se i movimenti e i partiti di sinistra rinunciano all’utopia comunista possono (e devono) almeno mettere in agenda trasformazioni economiche e sociali orientate nella direzione dell’egualitarismo, della giustizia, del bene comune.


Se hanno senso lotte e trattative, scontri e mediazioni con la destra, non ha senso il dialogo, la collaborazione, la “convergenza su alcune idee”. La destra non ha “idee con dei limiti”, ma è il limite delle idee. La destra è il limite (ideologizzato) dell’empatia, della dignità, della socialità, del rispetto per gli esseri umani e dell’amore. La destra è un sintomo, non l’espressione organizzata di una delle tante possibili ideologie. La “non-ideologia” di destra calpesta la dignità umana: la dignità di chi non ha privilegi e anche la dignità di chi ha privilegi e li mantiene. La dignità delle persone non dipende dall’esercizio di un potere e dalla vorace appropriazione di risorse, ma dalla capacità di costruire qualcosa, esprimere qualcosa, condividere qualcosa. La sete di potere oltre a produrre malattie sociali è in sé il segno di un difetto soggettivo di umanità. Le persone che gestiscono il potere non vanno odiate ma capite. La loro gestione del potere però non va “capita”, ma va combattuta, “curata”, almeno limitata. Se la sinistra non fa questo, non ha niente da fare.


La sinistra può rinunciare a sogni rivoluzionari ma non al sogno di migliorare il mondo in una direzione ben precisa. Anche un metro di terreno strappato al nemico ha un grande valore perché promuove un po’ di felicità anziché un po’ di sofferenza.

Ciò ovviamente non implica che tutte le persone che si dichiarano di sinistra siano mentalmente aperte, sensibili, compiutamente “umane”. Magari così fosse! Il punto però è un altro: le concezioni di destra presenti nella società catturano le persone facendo leva sulle loro limitazioni culturali ed emotive mentre le varie declinazioni della cultura della sinistra fanno (o dovrebbero fare) leva su altri aspetti delle persone: il desiderio di rispettarsi rispettando gli altri ed il desiderio costruire una società migliore per tutti.


La destra, da sempre, è una malattia della politica da tollerare (se non diventa violenta e liberticida) solo per rispetto della democrazia che è il quadro di riferimento imprescindibile per qualsiasi convivenza civile. E’ una malattia da riconoscere come malattia, non da confermare come ideologia, sistema di valori, “punto di vista”, ecc. Quelli che facevano il tiro a segno dall’elicottero sparando ai lupi non avevano un “punto di vista” sui lupi; quelli che violentano donne non hanno un punto di vista sulle donne; i pedofili non hanno un punto di vista sui bambini; l’attuale Papa che, prima della sua recente scalata al potere, in una posizione gerarchicamente intermedia, vietava ai bambini di denunciare i preti pedofili (cfr. il post http://www.beppegrillo.it/2007/05/crimen_sollicit.html del 17.05.2007 ) non esprimeva un punto di vista teologico; Pinochet, Mussolini e Hitler non avevano un punto di vista politico nemmeno prima di fare il loro colpo di stato. Certe idee, preferenze, abitudini, inclinazioni, azioni non sono espressione di un "punto di vista", ma sono “sviste” sistematizzate e tali restano anche quando non sono illegali e quindi sono necessariamente da tollerare in democrazia.

Ora, i pedofili devono essere denunciati e arrestati, checché dica il Papa, mentre i “pensatori” di destra e i loro “mandanti” (i capitalisti) non devono essere arrestati (se non diventano responsabili di omicidi bianchi, evasione fiscale, corruzione, ecc.). Non devono essere denunciati o arrestati da nessuno, ma non possono essere “riconosciuti” o “confermati” da partiti o movimenti “di sinistra”, “popolari”, “progressisti”. Il fair play, la moda politicamente corretta di dare pacche sulle spalle a tutti per far vedere che si è “aperti e tolleranti” è un oltraggio ai poveri, agli oppressi, agli sfruttati. Ed è una politica anche inefficace, perché fa recuperare i voti di pochi bigotti o ignoranti e fa perdere terreno con le nuove generazioni che inevitabilmente diventano “apolitiche”, cioè barbare. Il dialogo con la destra rafforza la destra. Fa cioè del male.


L’opposizione intransigente e non “dialogica” nei confronti delle forze economiche e politiche reazionarie non va confusa con una ostilità nei confronti delle persone di destra. Moltissime persone di destra non fanno male a nessuno, salvo quando vanno a votare. E anche in questo caso sono inconsapevoli di fare del male. Ragionano e riflettono basandosi sugli elementi che hanno: le poche cose che sanno, le poche cose che capiscono, le paure di cui non comprendono il senso e l’origine. Riflettono su queste cose e pensano che abbia ragione quel tale che “parla così bene in TV”. Con le persone di destra occorre dialogare perché forse possono rinunciare ai loro pregiudizi, colmare le loro lacune con lo stimolo di un’idea, di un esempio, di una riflessione. Questo è uno dei compiti della politica di sinistra. Un altro compito è quello di combattere i veri nemici, quelli che sanno benissimo perché sono di destra. Un altro compito è quello di acquisire potere e, se possibile esercitarlo, ma non per amministrare la realtà esistente. Per fare ciò bastano i politici di destra. I politici di sinistra hanno la specifica funzione di stravolgere o almeno riformare tutto ciò che rende invivibile la convivenza fra persone e tutto ciò che rende disumana la società.


Gaetano

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