Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

domenica 7 marzo 2010

Terzani, per una politica di testa e di cuore


Non ho conosciuto Tiziano Terzani personalmente, ma solo attraverso i suoi libri e le interviste che ha rilasciato. Mi piacerebbe poter dire che quello che scriviamo sulle nostre pagine è nelle sue corde, ma essendo scomparso nel 2004, e non potendo parlare per altri, devo limitarmi a dire che molto di quello che ha scritto lui è nelle mie.

“All'età di trentatré anni, quando doveva ancora iniziare la sua esperienza in Asia, Terzani scrisse l’Introduzione all'edizione italiana del libro La vita di Gandhi di Louis Fischer. Era il 1971 e Terzani criticava lo spirito conservatore del Mahatma, che si traduceva, in sintesi, nella sua ostilità alla lotta di classe, nella sua opposizione alle macchine e alla tecnologia, e nella sua fede nel rapporto fiduciario tra ricchi e poveri. All'epoca, il confronto tra l'obbiettivo politico di Mao, che voleva creare una società rivoluzionaria moderna, e l'atteggiamento conservatore di Gandhi appariva a Terzani schiacciante, ma La posizione di Gandhi, per cui «in nessun caso bisogna ricorrere alla violenza e che per mutare i rapporti sociali bisogna aspettare che cambino i cuori», significava per Terzani «rimandare all'infinito il problema dell'ingiustizia della società indiana». Negli anni seguenti, però, Terzani avrà l'onestà intellettuale di cambiare posizione, ribaltandola a tal punto che la si potrebbe sintetizzare proprio con la frase « in nessun caso bisogna ricorrere alla violenza e per mutare i rapporti sociali bisogna aspettare che cambino i cuori ». In questo ribaltamento c'è l'intera evoluzione di pensiero compiuta da Terzani. C'è l'abbandono della visione scientifica del mondo - che individua le cause e le leve del cambiamento nella materia e nei fattori economici — per approdare a una visione globale, non violenta, che vede essenzialmente l'evoluzione dell'uomo in chiave di crescita interiore ed etica”. (G. Germani. La rivoluzione dentro di noi, Longanesi, 2008)

Ma qui, non voglio parlare di pacifismo, non perché non mi interessi, o per scansare un argomento difficile, visto che trovo rischioso dichiararsi pacifisti senza se e senza ma, quando non si sente il sibilo dei proiettili che ti passano vicino e i botti delle bombe che cadono. Ma, soprattutto con uno sguardo alla presente situazione politica e sociale italiana, mantenere viva la riflessione sul fatto che né i partiti né le religioni istituzionalizzate ci porteranno salvezza e che l’unica visione davvero globale di cambiamento non solo è locale (Think Globally, Act Locally), ma addirittura intima, personale, per cui diventa critica la qualità del proprio “tempo vissuto”.

All’inizio Terzani ha una sorta di ammirazione per il comunismo, per la forza che infonde, ma avverte anche il seme del dubbio, qualcosa di inquietante:

“Come spesso mi successe nei tre mesi che passai nel Vietnam liberato, gli appassionanti incontri con certi rivoluzionari mi lasciavano sentimenti che non riuscivo a conciliare: una grande ammirazione ed una sottile paura. Trovavo in questa gente che usciva dalle galere o dal maquis una forza e delle qualità che mi pareva ormai difficile incontrare nel mondo da cui venivo; la gente qui aveva dentro un fuoco che faceva delle loro vite una esperienza compiuta e non casuale. Eppure queste stesse qualità, queste capacità di superare le naturali, accettabili inclinazioni dell'uomo, mi parevano condurre la stessa Rivoluzione ad un limite di disumanità” (Pelle di leopardo, Feltrinelli, 1973)

Poi al dubbio seguirono nei decenni le conferme, lasciando però quel retrogusto di occasione sprecata e di rammarico per l'omologazione occidentale capitalista, che cominciò a manifestarsi come unica superstite, con la caduta del muro di Berlino. In Buonanotte Signor Lenin (Longanesi, 1992) scrisse:

“Il comunismo finito! Mi addormento pensando a un vecchio amico, fisico, Remo Ruffini, che un giorno mi diceva quanto secondo lui è pericolosa l'attuale tendenza della scienza a usare della sua capacità di manipolazione genetica per eliminare dalla natura la diversità delle varie specie e produrne una che si pretende perfetta.

Diceva che ormai lo si fa con certi animali e con la frutta, e mi portava l'esempio delle mele.

La scienza è ormai in grado di produrre un tipo di mela che ha le migliori qualità di tutti i vari tipi di mele e nessuno dei loro difetti.

Tranne uno: che anche quella superspecie di mela, come tutte le specie, ha un suo arco vitale e che un giorno però arriverà anche la sua fine.

A differenza del passato, avendo noi nel frattempo eliminato tutte le altre specie, quando la supermela morirà, non ci sarà un altro tipo di mela, cresciuta in concorrenza, a prendere il suo posto e a far continuare la specie.

Dopo la mela perfetta non ci saranno semplicemente più mele.

Per questo, diceva quel mio amico, bisogna fare attenzione a non eliminare la concorrenza nella natura e a mantenere le differenze.

Se è vero delle mele, sarà vero anche delle idee! Il comunismo, con la sua sacrilega aspirazione a cambiare l'uomo, ha ucciso milioni di uomini e ha, come un moderno Gengis Khan, seminato vittime di ogni tipo lungo il percorso della sua conquista.

Eppure è anche vero che là dove non era al potere, ma restava come un'alternativa d'opposizione - nei paesi dell'Europa Occidentale, per esempio -, il comunismo non è stato solo distruttivo, ma anzi ha contribuito al progresso sociale della gente.

Come sistema di potere, fondato sull'intolleranza e sul terrore, il comunismo doveva finire.

Ma come idea di sfida all'ordine costituito? Come grido di battaglia di una diversa moralità, di una maggiore giustizia sociale? Che succederà ora che il mondo capitalista resta l'unica specie del suo genere? Che cosa succederà ora che tanti potenti, tronfi di vanagloria per aver vinto la guerra contro il comunismo, restano senza concorrenza, senza sfida, senza stimolo?”

C’è un appiattimento e un impoverimento, anche in chi fa informazione e dovrebbe in qualche modo vegliare sulla “verità” e sulla “giustizia”.

“Mi si dice che con l'avvento dei mezzi elettronici il mestiere cambia, che il giornalismo-spettacolo ha inquinato l'etica della professione e che presto scompariranno quelli come me che vanno ancora a giro per il mondo con la pretesa d'inseguire qualche piccola verità. Certo: è tutto vero e mi dispiace” (In Asia, Longanesi, 1998). Ed in effetti l’entusiasmo per la sua professione di giornalista lo abbandona, tanto è vero che pochi anni dopo dichiarerà: “Ho perso l'abitudine di leggere i giornali e, anche quando vengo in Europa, ne faccio volentieri a meno: le storie si ripetono e mi pare di averle già lette anni fa, quando erano scritte meglio” (Da Lettere contro la Guerra, Mondolibri, 2001).

Ma forse sarebbe più corretto dire che fu Terzani ad abbandonare l’entusiasmo per la professione, come disse in un’intervista, a Federica Morrone (Regaliamoci la pace, Nuovi Mondi, 2002);

“Tu conosci la mia storia. Avevo chiuso con il giornalismo, avevo chiuso con la quotidianità. Le abitudini mi pesavano ormai, la vita era diventata una sorta di piovra con mille braccia che mi portava sempre nel banale, il telefono, i conti, le stesse situazioni.. Volevo dedicarmi ad altre cose. Ed è anche comprensibile, trent'anni di viaggio "fuori", sono voluto andare a vedere se potevo viaggiare ‘dentro’ [..]

Io non sono mai stato un cattolico, sono scappato dalla chiesa da piccolissimo, certo ho il crocifisso dentro di me, ma non a livello cosciente. Non avevo mai visto prima Padre Alex Zanotelli, eppure mentre lo ascoltavo scoprivo che le sue erano le mie stesse parole. Vuol dire che in qualche modo c'è qualcosa dentro di noi, chiamala anima, che anela a identiche cose. Specie alla fine della vita ti accorgi che hai sempre di meno di personale da perseguire perché hai capito che non è questo che conta ormai, tutto l'individualismo lo hai già attraversato. Era curioso che anche questa persona non pensasse più al suo, abbiamo fatto lo stesso cammino. [..]

Tutta la mia vita sono stato appartato, da giovanissimo avevo anche l'illusione che il giornalista dovesse essere obbiettivo, sai queste idee che si hanno sempre all'inizio. Poi mi sono accorto che, non solo non sarei stato obbiettivo, ma che mi piaceva essere soggettivo. E lo confessavo anche: non fidatevi di me, ho due occhi, due orecchi, un naso, una bocca, è chiaro che selezioni, che veda le cose a modo mio, però te lo dico con sincerità. Istintivamente mi sono sentito sempre intrappolato nelle cose organizzate. Sono sempre stato uno che va per conto suo, un solitario, i miei più grandi compagni nei viaggi sono stati i libri, non gli altri uomini”.

Questo suo essere solitario non proveniva da una sua pretesa posizione elitaria, e cioè da una fondamentale svalutazione, se non diprezzo, del prossimo; ma proprio la sua costante e dichiarata attribuzione di valore alla soggettività, la propria come quella di chiunque altro, costituiva la base del suo atteggiamento altruista. Ce ne diede un’altra dimostrazione negli ultimi anni della sua vita, quando, essendosi già ritirato nella sua baita sull’Himalaya, di fronte alla nuova guerra del 2001, non rimase ripiegato su di sé ma si ributtò nella mischia con lettere, interviste e tanti incontri con la gente, giovani soprattutto. Un impegno, potremmo dire, genuinamente politico, perché dall’altruismo, non moralista, potesse rinascere un’etica. La stessa intervista continua così infatti: “trovo fondamentale riportare l'etica nella politica. La politica non può essere soltanto il giochino delle tre carte per fregare chi ti sta davanti. Se la politica diventa solo uno strumento per non andare in galera, allora abbiamo rinunciato alla civiltà. Il termine civiltà, viene anche dal fatto che si fonda una città, si sta tutti assieme, ci si danno delle regole etiche, cioè si toglie l'animalità al convivere. Per cui si supera la vendetta, tutti i miti dell'occidente sono fondati sul superamento della vendetta, che in fondo potrebbe essere un istinto naturale, "tu ammazzi, io allora ammazzo". La politica nasce proprio dal superamento di questo atteggiamento naturale. Se non riportiamo l'etica, cioè una serie di valori su cui tutti siamo d'accordo nella politica, allora facciamo solo del piccolo cabotaggio, tornando a vivere senza nessuna regola.

L'etica è importantissima, il grande problema della sinistra, su cui tutti si arrovellano, è che ha rinunciato alla propria etica. I comunisti poi, hanno fatto un errore madornale rinunciando ai principi sui quali avevano fondato un partito glorioso di cui mio padre era membro. Io non sono mai entrato nel partito, forse proprio perché già ci stava mio padre o perché c'era l'Unione Sovietica. Ma questa gente credeva in dei valori. Il mio babbo per tutta la vita ha creduto nella possibilità di una società più giusta, e come lui tanti altri.

L'errore è stato buttare il bambino con l'acqua sporca. Quel bambino andava tenuto, bastava lavarlo e gettare, semplicemente, via l'acqua. Ora è necessario tornare a dei valori. Qui voglio essere chiaro. Non sono i valori di una religione, né quelli di una ideologia marxista leninista, anche se chi ci credeva è giusto continui a crederci. Così come vorrei tanto che i cattolici credessero ai propri valori e che tutti trovassero una propria identità alle radici della loro storia. Ma, secondo me, i valori su cui possiamo metterci d'accordo non sono quelli scritti nei libri, non appartengono a nessuna biblioteca, ma vivono nel cuore di tutti. Sono i più semplici. Esiste forse una civiltà che odia i bambini? È comune fare bambini e amarli. E allora mettiamoci d'accordo: tu non ammazzi mio figlio, io non ammazzo il tuo. Se vogliamo scriviamolo pure, ma non ce ne sarebbe neanche bisogno, questi valori li capiamo tutti. Vivo in un mondo così diverso da noi, incontro le donne col burqa, gli uomini con le barbe, eppure quando si arriva al dunque siamo tutti uguali”.

Mi piace pensare che anche Terzani avrebbe esteso l’idea di “ammazzare un bambino” fino a farlo crescere senza le dovute cure [cfr. Cuccioli umani], senza rispettarlo o come un incapace [cfr. Fisica dell’educazione], in modo che non ci sia più bisogno di istruire o ri-istruire una persona alla non-violenza, ma che questa faccia già parte del suo DNA acquisito.

Marcello

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