Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

martedì 23 novembre 2010

Etilometro, cittadini e società



Dal 13 novembre i locali che forniscono alcolici ai clienti hanno l'obbligo di mettere a disposizione un etilometro per la misurazione del tasso alcolemico. Devono inoltre affiggere le nuove tabelle alcolemiche nel locale.

Si tratta, in fondo di un piccolo aggiornamento delle complesse normative già in vigore e ufficialmente finalizzate alla riduzione degli incidenti stradali, o almeno di quelli dovuti ad ubriachezza. Restano fuori controllo gli incidenti dovuti a stupidità, a nevrosi, a stanchezza, a scarsa attenzione, all’età e a congiunzioni astrali segnalate dagli oroscopi. Si tende ad affermare che per la sicurezza si deve pur fare qualcosa.

Purtroppo le cose non sono così semplici. Ciò che è in ballo non è la sicurezza sulle strade ma il rapporto fra cittadini e Stato. Questa normativa, come mille altre, implica che non siamo considerati responsabili delle conseguenze di ciò che facciamo (un principio indiscutibile), ma che dobbiamo adeguarci a norme che stabiliscono al posto nostro cosa è opportuno fare e non fare per ridurre il rischio di causare danni di cui eventualmente saremmo responsabili. Ciò che è in ballo è quindi l’intrusione del sociale nella nostra soggettività e quindi nella nostra responsabilità personale.

Vengono contrastati dei comportamenti non già perché distruttivi ma perché ritenuti tali da aumentare il rischio di eventuali conseguenze distruttive. La logica di tali imposizioni costituisce una sorta di “possessione spiritica”, in cui la società si sostituisce a noi. La possessione sociale dell’individuo è alla base di ogni autoritarismo ed è un fenomeno violento anche se viene “venduto” come prevenzione e viene attuato senza i militari al potere. La prevenzione è un’idea spesso sensata, ma, a mio parere, sta alle persone decidere quando farla. La legge, in pratica, viola la libertà di fare valutazioni personali (giuste o errate) arrogandosi il compito di imporre particolarissimi schemi di valutazione (giusti o errati). Io so bene che con un bicchiere di spumante divento un po’ “troppo allegra” e non bevo nemmeno quel po’ di alcol se devo guidare, mentre ci sono persone che bevono quantità per me devastanti di superalcolici restando perfettamente lucide. Il punto della questione è il diritto dello Stato di sostituirsi alle persone nella valutazione della loro capacità di guidare.

C’è un confine che non dovrebbe essere valicato e che è regolarmente valicato fra le responsabilità della società e le responsabilità del cittadino.

Non dico che il problema sia facilmente risolvibile, ma affermo che debba essere posto in modo esplicito.Ad esempio, la società esprime esplicitamente i valori su cui si fonda e quindi organizza anche degli eventi collettivi: realizza la commemorazione della liberazione e non quella della marcia su Roma. Tuttavia non si permette di controllare se le persone leggono e approvano libri antifascisti o reazionari. I cittadini hanno la responsabilità di ciò che leggono e finché non organizzano dei raid fascisti restano cittadini liberi di dirigere la loro mente.

La società può anche organizzare delle campagne informative su una corretta alimentazione, tuttavia non si permette mai di decidere quali cittadini possano comprare cioccolata. E’ scontato che i diabetici non dovrebbero mangiare dolciumi e che chi soffre di cirrosi non dovrebbe consumare alcolici, ma le persone acquistano sotto la loro responsabilità cibi e bevande e non devono esibire alla cassa del supermercato un certificato medico.

Queste distinzioni sono ovvie: sono gli stati fascisti che bruciano i libri “sbagliati” e sono i genitori che autorizzano o vietano le caramelle ai figli piccoli ritenuti (giustamente) non completamente responsabili.

Ci sono però delle questioni in cui non è affatto ovvio il confine che separa l’ambito del controllo statale e l’ambito della libertà individuale.

In Italia, ad esempio i singoli cittadini non hanno la libertà di tenere in cantina un arsenale di armi automatiche. Anche una pistola e un fucile da caccia possono essere acquistati solo a certe condizioni. Negli Stati Uniti, invece si possono acquistare armi come si acquistano profumi. Là si arrestano le persone che hanno fatto un cattivo uso delle armi, mentre in Italia si è fuori legge per la semplice detenzione illegale di armi. Sul piano dei principi non è affatto scontato chi abbia ragione, ma una discussione sull’argomento merita di essere collocata, appunto sul piano dei principi e non delle abitudini. Io non vorrei che la gente girasse armata, ma non voglio nemmeno essere trattata come una minorata. Lo Stato, quindi, deve darsi dei limiti perché oltre certi limiti diventa uno stato autoritario anche se la gradualità del processo abitua i cittadini a sopportare una cappa sempre più fitta di norme.

Da anni si è allargata , secondo una logica di “sviluppo tumorale” anziché sulla base di un esplicito dibattito, la sfera delle competenze dello Stato a scapito della sfera della responsabilità individuale. Nei luoghi pubblici, ad esempio, non si può fumare e la giustificazione non è di tipo sanitario: non solo non si può fumare in una stanza chiusa in cui si trovano dei non fumatori, ma non si può nemmeno fumare negli spazi aperti delle stazioni ferroviarie. In pratica la società stabilisce che è meglio non fumare e che non si può fumare [cfr. il POST Il fumo è dannoso quasi come la lotta al fumo]. Sanziona i comportamenti individuali e non i comportamenti dannosi per gli altri cittadini. Da non fumatrice sono poco disturbata da tale “allargamento” della sfera di controllo sociale, ma da cittadina sono terrorizzata. In questa logica lo Stato potrebbe avanzare la pretesa di controllare altre mie abitudini o inclinazioni o preferenze.

La logica degli etilometri è la stessa. Essa, di fatto, sul piano individuale non mi limita in nulla, perché comunque io non guido nemmeno se bevo un bicchiere di vino: da prima della normativa, o guidavo o non bevevo. Tuttavia, ora non posso nemmeno cenare in un locale pubblico con il mio compagno che è perfettamente in grado di tenere impeccabilmente la strada anche se beve. Certamente non è un alcolista, ma l’etilometro non”colpisce” solo gli ubriaconi. La legge in vigore, di fatto, mi vieta una cenetta intima: non possiamo cenare in due, ma solo in tre: io, il mio compagno e l’ombra di un ministro. Reeta però il fatto che se esco con un uomo ho in mente cose più interessanti del suo tasso alcolemico.

Quando lo Stato diventa genitoriale (cioè si arroga il diritto di sindacare sulle abitudini e non solo di colpire i crimini), diventa automaticamente uno stato autoritario. Il film Fahrenheit 451, di Francois Truffaut, che riprende questioni poste da George Orwell in 1984 [cfr. il POST George Orwell e il totalitarismo] mostra, in chiave fantascientifica la linea di tendenza delle attuali società “democratiche”. Nel film la società fa irruzione nella vita privata delle persone incoraggiando la dipendenza da psicofarmaci e proibendo la lettura dei libri. Di fatto, oggi, siamo ancora liberi di leggere ma non di decidere se bere un bicchierino al ristorante. Decide l’etilometro se dopo un bicchiere di vino “ci sta anche il digestivo”. Ora, al ristorante sono a casa mia: pago il coperto (cioè un affitto) e quel tavolo è per un’ora mio come la casa in cui abito. In auto sono a casa mia. A casa mia lo stato controlla ciò che faccio: non lo fa con una perquisizione volta ad accertare se ho un libro in tasca ma con una perquisizione del mio sangue.

Lo sconfinamento fra “i fatti nostri” e i “fatti della società” è sempre più massiccio. Si è realizzato nel tempo, gradualmente, sotto l’indifferenza di tutti e senza che nessuno individuasse la portata ideologica e politica di tale processo [cfr. il POST Il controllo dell’infanzia e del traffico]. Già quando ero piccola esistevano i “limiti di velocità”, per i quali non era considerato reato solo il fatto di investire qualcuno ma semplicemente il fatto di procedere ad una velocità superiore a quella stabilita “dalla società”. Tuttavia erano praticamente assenti i limiti di parcheggio: non si poteva parcheggiare davanti ad un cancello o in modo da bloccare il traffico, ma negli altri casi si poteva scendere dall’auto oltre che salirvi a casa. Oggi è invece vietato parcheggiare ovunque, tranne nei luoghi in cui il parcheggio è autorizzato (e a pagamento). In pratica siamo liberi di girare in auto ma non di fermarci. Come se fossimo liberi di mangiare ma non di andare al cesso. E questa assurdità è considerata ovvia da tutti: una seccatura ovvia. Addirittura è considerata giusta dagli ecologisti, come se la soluzione al problema dell’inquinamento stesse nella persecuzione degli automobilisti anziché nella produzione di mezzi non inquinanti e nell’organizzazione di servizi pubblici davvero validi.

Siamo così assuefatti all’intrusione della società nella nostra sfera privata che consideriamo normale uscire di casa un’ora prima per parcheggiare chissà dove o accendere una sigaretta solo nei luoghi consentiti. Presto considereremo normale anche fare una cenetta romantica con l’etilometro. Non diremo più, al lume di candela, “mi perdo nei tuoi occhi, amore mio”, ma “hai un tasso alcolemico meraviglioso”.

L’autoritarismo sconfina facilmente nella nevrosi e nella stupidità, dato che i sintomi sociali sfumano regolarmente in sintomatologie individuali. Dobbiamo diventare idioti e pazzi furiosi per aderire all’idiozia e alla pazzia divenute Stato, legge e ordine.

La progressiva dilatazione della sfera normativa desensibilizza le persone rispetto alla loro esigenza di scegliere e, nella direzione opposta, la nevrosi delle persone consente alle “autorità competenti” di assumersi responsabilità che riguardano solo le persone.

In questa logica può sparire la libertà didattica (sostituita dalla didattica “giusta”), il libero amore (sostituito da procedure socialmente approvate di corteggiamento e accoppiamento), la libertà di pensiero (sostituita dai protocolli standardizzati di pensiero). Si può quindi arrivare alla “neolingua” di Orwell, cioè ad un linguaggio bizzarro adatto a canalizzare i processi di pensiero nella “direzione giusta”.

E’ molto preoccupante che giornalisti e intellettuali “progressisti” siano così pronti a citare Orwell quando viene limitata la libertà di informazione e siano così restii a farlo quando viene umiliata la libertà di vivere a modo proprio senza far male a nessuno. Il male fa notizia se colpisce movimenti e partiti politici, ma non fa notizia se umilia i singoli trattandoli come fantocci.

Persino su questioni con drammatiche ricadute sul piano sociale, come il proibizionismo applicato al settore “droghe pesanti” i “progressisti tacciono”. Il proibizionismo negli Stati Uniti ha prodotto un popolo di ubriaconi e il proibizionismo delle droghe alimenta il mercato illecito della droga creando circoli viziosi terrificanti fra l’autodistruttività individuale e la criminalità organizzata. Eppure l’idea di liberalizzare le droghe (che assesterebbe un bel colpo agli affari della mafia) non è proclamata ad alta voce dai progressisti, ma solo da quattro gatti di tradizione radicale.

Che la libertà delle persone e la dignità delle persone siano temi trascurati dalla destra non stupisce. Tuttavia le trascuratezze della sinistra per quanto riguarda la qualità della vita delle persone sono inquietanti. Purtroppo nemmeno tali trascuratezze stupiscono più. Come ci stiamo rassegnando ad una società che decide per noi ci stiamo rassegnando ad una opposizione che oltre a non affrontare in modo deciso le questioni economiche e sociali più drammatiche considera del tutto normale che la qualità della vita delle persone debba scorrere lungo binari approvati socialmente.

Silvia


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