Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

sabato 24 ottobre 2009

George Orwell e il totalitarismo


George Orwell (1903-1950), il cui vero nome era Eric Arthur Blair, nacque a Motihari, nel Bengala, dove il padre era impiegato nell'Indian Civil Service. Lì trascorse la sua infanzia fino al 1907, anno in cui si trasferì con la famiglia in Inghilterra.
Fin da bambino pensò di diventare scrittore e, in seguito, collegò questa sua iniziale aspirazione al senso di isolamento ed all'impressione di essere sottovalutato che lo accompagnarono fino all'adolescenza. Particolarmente dolorosa fu per lui la permanenza presso il collegio di St.Cyprian a cui fu iscritto nel 1911. Conclusi gli studi nella prestigiosa Public School di Eton, alla quale era stato ammesso con una borsa di studio, rinunciò agli studi universitari per arruolarsi nella Indian Imperial Police in Birmania e nel 1929, dopo circa cinque anni di servizio si congedò e ritornò in Europa per iniziare la sua carriera di scrittore.

Per molti anni scrivere romanzi non gli diede alcuna sicurezza economica e solo nel 1945, con la pubblicazione de La fattoria degli animali, raggiunse una fama internazionale ed anche una tranquillità finanziaria che gli permise di scrivere esclusivamente quello che voleva. Negli anni precedenti, infatti, si era guadagnato da vivere svolgendo del lavoro giornalistico per varie riviste e curando trasmissioni per la BBC; ancor prima aveva fatto il lavapiatti a Parigi, era stato commesso di libreria a Londra, aveva insegnato presso scuole private, aveva gestito per un breve periodo un negozio, era stato bracciante nei campi di luppolo ed aveva persino vagabondato con i mendicanti.
Questo elenco di attività è indicativo non solo della precarietà economica che Orwell, come molti scrittori, sperimentò agli inizi della carriera letteraria, ma anche di un interesse personale a condividere, a sperimentare personalmente le condizioni di vita degli strati sociali più umili. L'assidua analisi dei miti della borghesia e la sofferta comprensione dei drammi degli sfruttati e dei poveri segnarono in maniera evidente il percorso interiore ed intellettuale di Orwell, ma nonostante i continui riferimenti al piano politico, questi non ridusse mai il suo impegno esclusivamente a tale piano.
Molti critici di sinistra rimproverarono ad Orwell una concezione etica o umanistica più che "teoricamente rigorosa" del socialismo. Tuttavia, non solo a tanti anni di distanza queste critiche risultano decisamente datate, ma sembrano del tutto infondate. La concezione orwelliana, infatti non riflette una delle varie "anime" del socialismo, ma costituisce una lettura più che politica dei problemi sociali. Anche se Orwell si è sempre schierato politicamente, al punto di dichiarare di aver scritto "libri senza vita" quando gli era mancata una chiara "intenzione politica" (Why I Write, CEJL, vol. I, p.30), ha sempre sottolineato soprattutto l'intreccio fra il conformismo sociale e le tensioni interne all'individuo. Nel 1948, alle prese con la seconda stesura del suo ultimo romanzo, 1984, uno dei più significativi sul piano politico, Orwell scrisse a George Woodcock di essere convinto che nella vita degli uomini fosse presente una solitudine irriducibile alle circostanze esterne socialmente definite (Cfr.: Letter to George Woodcock, in CEJL, vol. IV, p.480); possiamo considerare questa convinzione una prima ed approssimativa indicazione del fatto che nella concezione orwelliana l'uomo non è tanto un animale sociale quanto un individuo inserito in una realtà sociale. Per questo, Orwell non è stato solo (come spesso sembra) uno dei primi intellettuali di sinistra a denunciare lo stalinismo; egli ha da un lato denunciato il totalitarismo nelle sue manifestazioni storiche e nei suoi potenziali sviluppi, e da un altro lato ha descritto con acutezza i fattori che possono rendere le persone complici dell'autoritarismo sociale.

Il totalitarismo non consiste nella semplice negazione delle libertà individuali, ma anche nella capacità di condizionare le persone in modo che esse non desiderino esercitare alcuna libertà [cfr. il POST I pregiudizi "liquidi" e la cultura del nulla]. Le opposizioni puramente politiche al totalitarismo erano per Orwell destinate al fallimento nella misura in cui si opponevano solo alle sue manifestazioni più evidenti ed esteriori. Per Orwell gli esponenti della sinistra commettevano l'errore di "essere antifascisti senza essere antitotalitari" (Arthur Koestler, in CEJL, vol.III, p.273), sottovalutando o non comprendendo il fatto che il totalitarismo non è violento solo per ciò che nega, ma soprattutto per il suo operare in positivo: "Esso non solo proibisce l'espressione –e talvolta la stessa formulazione- di certi pensieri, ma indica anche cosa si dovrebbe pensare, crea una ideologia per le persone, tenta di governare la loro vita emozionale ed anche di stabilire precisi codici di condotta. (…) Lo stato totalitario tenta in ogni caso di controllare i pensieri e le emozioni dei cittadini almeno quanto controlla le loro azioni" (Literature and Totalitarism, in CEJL, vol.II, p.162).
In questa comprensione profonda delle possibilità di manipolazione psicologica della stato totalitario, va individuata la vera specificità di 1984, il romanzo più famoso di Orwell. Nell'incubo fantascientifico lì descritto, l'autorità dell'Oceania è programmaticamente orientata ad imporre un linguaggio inadatto all'espressione delle potenzialità critiche del pensiero. Cerca quindi di abituare le menti umane all’indifferenza verso le contraddizioni logiche che caratterizzano la propaganda politica del Grande Fratello, e cerca di canalizzare l'emotività individuale nelle sole direzioni utilizzabili per la riproduzione dell'ordine sociale. Orwell ha presentato in modo così accurato processi mentali ("bipensiero") e strutture linguistiche ("neolingua") funzionali all'irrazionalismo sociale totalitario, che 1984 è diventato una citazione d'obbligo negli studi sulla comunicazione interpersonale.

Finora abbiamo però individuato solo la prima metà della concezione orwelliana del totalitarismo: la tesi secondo cui questo manipola le masse oltre a reprimerle. Orwell ha tuttavia notato anche che gli individui sono effettivamente un terreno fertile sul quale il seme dell'irrazionalità sociale riesce a svilupparsi. Questa "seconda metà" della concezione orwelliana afferma quindi che il totalitarismo non crea dal nulla gli atteggiamenti gregari, ma li attiva appoggiandosi al terrore inconscio delle persone per la loro autonomia di giudizio e di espressione. In altre parole, i (dis)valori del totalitarismo vengono veicolati dalla manipolazione psicologica delle persone e tale processo è possibile in quanto le persone in qualche misura vogliono proprio questo.
Orwell non ha mai approfondito né discusso le teorie relative alla formazione della personalità; ciononostante, ha dimostrato di capire con molta chiarezza varie tendenze psicologiche e di cogliere i modi in cui il potere può utilizzarle per ottenere il consenso. Indicative di tale consapevolezza sono le sue considerazioni relative al fascino esercitato da Hitler sulle masse: "Hitler, in virtù della sua mentalità estranea alla gioia … conosce che gli esseri umani non vogliono solo comodità, sicurezza, orario di lavoro ridotto, igiene, controllo delle nascite e in generale ciò che è sensato desiderare; essi vogliono, almeno di tanto in tanto, lotta e sacrifici, per non parlare di tamburi, bandiere e parate. (…) I tre grandi dittatori [Hitler, Mussolini e Stalin] hanno accresciuto il loro potere proprio imponendo intollerabili fardelli ai loro popoli" (Review- Mein Kampf by Adolf Hitler, in CEJL, vol.II, p.29).

Proprio per questo tipo di analisi, la posizione di Orwell è risultata particolarmente scomoda nell'ambito della sinistra, dato che presentava gli individui, oltre che come vittime del totalitarismo, come potenziali creatori di esso [cfr. il POST Critica della ragion massificata]. Consapevole del proprio isolamento, Orwell non rinunciò a criticare la miopia delle contestazioni puramente esterne al totalitarismo, sostenendo che esse non prevenivano adeguatamente la possibilità di sviluppi autoritari nell'ambito delle stesse organizzazioni politiche di sinistra.

Per Orwell, la repressione sessuale si associa alla cultura di un sistema totalitario, non in quanto semplice moralismo, ma in quanto generale programma di avvilimento dell'individualità e di impoverimento sia delle capacità critiche, sia di quelle emozionali. Il totalitarismo blocca la spontanea ricerca del piacere e dell’intimità sessuale, ma incoraggia la sessualità asetticamente procreativa, la prostituzione e la pornografia. Con il sesso ed il piacere devono essere paralizzati "tutti i possibili impulsi naturali" (1984, p. 91). Per Orwell, un'intensa e fluida vita emotiva, leggibile nella "grazia" dei movimenti corporei, rende possibile un interiore senso di libertà incompatibile con l'ottusa accettazione dell'ordine costituito e dell'irrazionalismo ideologico, mentre la miseria emozionale e sessuale, intuibile dalla rigidità degli atteggiamenti e dalla stessa rigidità muscolare rende gli individui incapaci di sentirsi vivi, interi, e li induce facilmente a sentirsi privi di dignità e bisognosi di appartenere ad un gruppo rappresentato da un'autorità.

La concezione del socialismo espressa da Orwell riflette più l'aspirazione ad un mondo giusto che un'adesione al marxismo, o ad una rielaborazione teorica di tale dottrina. Il tempo ha dato ragione ad Orwell sul fatto che il socialismo inteso come prospettiva etico-sociale ha più ragioni del socialismo inteso come teoria "scientifica" delle trasformazioni sociali [cfr. il POST Destra e sinistra come categorie politiche ed etiche]. Gli ideali di Orwell sono rimasti, mentre le previsioni del materialismo storico non sono state confermate.
Orwell evidenzia il fatto che forti istanze distruttive sono presenti in tutti gli schieramenti politici e che le tendenze irrazionali ed autoritarie possono essere presenti nelle stesse persone politicamente impegnate a favore della democrazia, della libertà e del socialismo. Tuttavia, se pure non ci si può liberare di questo fardello solo con la ragione, occorre considerare come un vero "impegno etico" lo sforzo di controllare tali spinte emotive con una lucida "accettazione della realtà" (Cfr.: Notes on Nationalism, in CEJL, vol. III, pp.430-431). Per Orwell, è compito specifico dell'intellettuale politicamente impegnato l'uso della ragione contro l'irrazionalismo di massa e contro le componenti irrazionali che in lui stesso possono annidarsi (Cfr.: Letter to Richard Rees, in CEJL, vol. IV, p.539).

Pochi fra gli studiosi di Orwell hanno riconosciuto che la la sensibilità di Orwell andava oltre il piano sociale e politico. Bernard Crick afferma che se anche l'opera di Orwell "non è stata sempre direttamente politica sul piano degli argomenti affrontati ha sempre rivelato una consapevolezza politica" (Crick, 1982, p.16); più esplicitamente Keith Aldritt ha sostenuto che la concezione politica è stata in Orwell creata e sostenuta da una forte istanza morale. In tal modo George Orwell avrebbe forzato Eric Blair, fondamentalmente incline a cogliere gli elementi di crisi nell'esistenza individuale, in accordo con la tendenza più diffusa fra gli scrittori del tempo (Alldritt, 1969, pp.176-177).
I dibattiti ed i saggi su Orwell pubblicati su riviste specializzate come su periodici "di largo consumo", hanno spesso concentrato l'attenzione sui pregi ed i limiti della "profezia orwelliana" (nonostante 1984 non fosse stato concepito come una profezia), ed in alcuni casi Orwell è stato un pretesto per affermare specifiche tesi politiche. Ma anche nei contributi più apprezzabili in quanto analisi complessive dell'opera di Orwell, la riconduzione dell'impegno umano e letterario di Orwell alla problematica sociale è risultata quasi unanime. Merita invece di essere sottolineata la costante attenzione rivolta da Orwell sia alle tendenze autoritarie della società, sia alle tendenze autoritarie individuali, ovvero alla propensione delle persone a subire e addirittura cercare manipolazioni e illusioni socialmente indotte.

Gianfranco

Bibliografia

K.Alldritt (1969), The making of George Orwell, Edward Arnold Ltd., London
B.Crick (1982), George Orwell – A Life, Penguin Books Ltd., Harmondsworth
G.Orwell (1933), Senza un soldo da Parigi a Londra, tr.it. Mondadori, Milano, 1981
G.Orwell (1934), Giorni in Birmania, trad.it. Longanesi, Milano, 1975
G.Orwell (1935), La figlia del reverendo, trad.it. Garzanti, Milano, 1976
G.Orwell (1936), Fiorirà l'aspidistra, trad.it. Mondadori,Milano, 1975
G.Orwell (1937), La strada di Wigan Pier, trad.it. Mondadori, Milano, 1982
G.Orwell (1938), Omaggio alla Catalogna, trad.it. Il Saggiatore, Milano, 1975
G.Orwell (1939), Una boccata d'aria, trad.it. Mondadori, Milano, 1966
G.Orwell (1945), La fattoria degli animali, trad.it. Mondadori, Milano, 1977
G.Orwell (1949), 1984, trad.it. Mondadori, Milano, 1976
G.Orwell (CEJL) - The Collected Essays, Journalism and Letters of George Orwell, Penguin
Books Ldt., 1970:
Volume 1 (1920-1940), An Age Like This, reprinted 1982
Volume 2 (1940-1943), My Country Right or Left, reprinted 1980
Volume 3 (1943-1945), As I Please, reprinted 1982
Volume 4 (1945-1950), In Front of Your Nose, reprinted 1980

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