Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

domenica 19 luglio 2009

Critica della ragion massificata


Henry Miller cita una frase attribuita a Confucio: “Se al mattino un uomo vede la Verità, può morire la sera senza rimpianti” (H. Miller, 1957, p. 36). Bella frase: una di quelle che possono mettere radici nei nostri neuroni e farci riflettere per anni.

La verità tormenta gli esseri umani, perché essi non possono rinunciare a qualche spiegazione di ciò che vedono accadere e di ciò che loro stessi fanno. Tuttavia la verità è spesso scomoda.
Molte verità sono complesse, anche se vorremmo verità semplici. Molte verità sono dolorose, anche se vorremmo verità rassicuranti. Molte verità sono negate dalla comunità di cui facciamo parte e con cui vorremmo sentirci in armonia.
Le spiegazioni della scienza saziano la fame di verità, ma sono programmaticamente provvisorie. Le conoscenze logiche sono cristalline, ma vuote di contenuti. La consapevolezza dei nostri sentimenti più profondi rende piena la nostra vita interiore, ma ci allontana da chi non tollera sentimenti profondi e non vuole relazioni umane autentiche. In generale, la conoscenza di noi stessi e della realtà ci aiuta a vivere, ma ci costringe a considerare i nostri limiti personali, i limiti delle altre persone, la precarietà costitutiva dell’esistenza umana, la certezza della morte.
Per questi motivi siamo attratti e infastiditi dalla verità e dalle conoscenze che ci avvicinano a qualche verità.
Per questi motivi, la storia della filosofia e della scienza è una storia di idee illuminanti, ma anche di idiozie esposte con intelligenza. Idee “vendute” da alcuni e “comprate” da molti allo scopo di avere un’illusione di conoscenza meno inquietante della conoscenza vera.

Possiamo quindi riassumere la storia del pensiero in 3 filoni:

1) TENTATIVI più o meno riusciti di conoscere la realtà.

2) CONCEZIONI filosofiche, o pseudoscientifiche demenziali, ma rassicuranti, comode, capaci di distogliere dalla comprensione dei lati più complessi o dolorosi della realtà.

3) RIFLESSIONI filosofiche o scientifiche di tipo critico, volte a contestare, sul piano logico o sulla base dei dati empirici, specifiche concezioni infondate e pregiudiziali dell’uomo e della realtà. Le riflessioni critiche della filosofia analitica anglosassone agli inizi del ‘900 tendevano a “demolire” affermazioni speculative non rispettose della logica e dei fatti: “Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere” (Ludwig Wittgenstein, 1921-1922, p. 82). Oggi la filosofia analitica tende in modi meno “aggressivi”, a comprendere l’uso nel contesto linguistico di certi concetti, riuscendo comunque a mostrare che certe idee, per molti scontate, tali non sono.

Molte concezioni della realtà a dir poco bizzarre si diffondono nella società e favoriscono sia gli interessi materiali di settori privilegiati, sia gli interessi (materiali o semplicemente psicologici) di sottogruppi organicamente dipendenti dal più ampio ambito sociale: sciocchezze reazionarie, banalità “politicamente corrette”, lagne vittimistiche ideologizzate, pregiudizi, concezioni moralistiche, idee religiose abbracciate nell’infanzia e solo per quel motivo mantenute nell’età adulta.

Le persone accettano idee, ideologie, conoscenze fondate o infondate in una certa misura per placare la loro sete di verità, in una certa misura per ignorare verità scomode e in una certa misura per sentirsi parte di un gruppo sociale.
Infatti, molti gruppi si formano sulla base di idee che non hanno nulla a che fare con la realtà e con la conoscenza della realtà, ma che sono semplicemente rassicuranti. Per questo le persone hanno una doppia difficoltà a pensare in modo razionale, ad avere una buona apertura mentale e a provare sentimenti corrispondenti alla vita reale: da un lato temono certe verità scomode e da un altro lato temono di sentirsi isolati per via delle loro idee.

Queste considerazioni aiutano a capire il motivo per cui le ideologie irrazionali e i sentimenti ad esse corrispondenti molto spesso dilagano, seducono e travolgono, determinando una spirale in cui il buon senso diventa una merce rara, sia nell’ambito della discussione filosofica e scientifica, sia nell’ambito più diffuso della vita quotidiana, del dibattito politico, delle ideologie socialmente veicolate dai mezzi di comunicazione di massa.

La storia della filosofia occidentale, a partire dalle origini in cui abbracciava tutti gli ambiti del sapere, è senz’altro caratterizzata da una progressiva erosione del suo “spazio” da parte di discipline scientifiche interessate a sostituire le concezioni speculative con teorie rigorose, falsificabili e controllate. I settori della filosofia rifiutati dalla scienza in quanto “metafisici” delimitano un ambito in cui si può dire (e si dice) tutto e il contrario di tutto. Tuttavia, mentre la conoscenza metafisica può solo essere accettata o respinta in blocco, quella scientifica è cumulativa: ha ovviamente dei limiti (di metodo, di paradigma e di contenuto) che però la comunità degli studiosi discute e di volta in volta supera grazie alla possibilità di un confronto sulla coerenza delle deduzioni svolte, sulla validità delle osservazioni fatte, sulla utilità dei modelli delineati.
“Il metafisico crede di muoversi in un ambito riguardante il vero e il falso. In realtà, viceversa, egli non asserisce nulla, ma si limita ad esprimere sentimenti come un artista. (…) I metafisici non sono che dei musicisti senza capacità musicale”.(Rudolf Carnap, 1932, pp. 530-531).

Una linea separa il pensiero speculativo dal pensiero scientifico: il primo vuole affermare delle (presunte) “evidenze”, mentre il secondo vuole chiarire, spiegare e dimostrare, ma soprattutto ha una voglia matta di trasformarsi, rivoluzionarsi, buttare via vecchie certezze per abbracciarne altre (provvisoriamente) più valide: “… la scienza non fa sforzi positivi per giustificare o fondare il fatto che una teoria sia degna di essere creduta. Al contrario, si occupa soprattutto di criticarlo. Considera o dovrebbe considerare lo scalzamento delle teorie, anche delle più ammirevoli e delle più belle, come un trionfo, un progresso. Infatti non è possibile scalzare una buona teoria senza imparare una enorme quantità di cose da essa e dal suo fallimento” (K. R. Popper, 1963, p. 149).

Gli approcci logico-linguistici, critici, analitici mirano ad evidenziare le debolezze intrinseche delle concezioni speculative e aprono la strada a riflessioni propriamente psicologiche sulle ragioni soggettive per cui ci si aggrappa ad idee non adeguatamente fondate.
“La storia della filosofia speculativa è la storia degli errori compiuti da uomini che si sono posti quesiti per loro insolubili e le cui risposte possono venir spiegate in base a motivi unicamente psicologici” (Hans Reichenbach, 1951, p. 119).
Idea acuta e condivisibile: poiché i filosofi in genere non sono imbecilli è ragionevole immaginare che qualche disagio interiore porti molti autorevoli pensatori a formulare o abbracciare e razionalizzare idee difficili da giustificare. Da ciò si arriva facilmente a immaginare che la psicologia possa giungere dove la filosofia critica o analitica deve arrestarsi, ma purtroppo la psicologia si è dedicata più a produrre nuove idee speculative che a chiarire i motivi per cui le persone abbracciano concezioni assurde, pregiudizi, pseudovalori che non hanno solide fondamenta. Ha in pratica fallito nel mostrare come i disagi emotivi non risolti possano produrre e consolidare concezioni della realtà fragili, confuse, contraddittorie, oltre che disturbanti sul piano soggettivo.

La curiosità e l’apertura mentale producono conoscenza autentica (e ostacolano le convinzioni irrazionali che attivano stati emotivi altrettanto irrazionali).
Non credo che esista alcuna opposizione fra approccio razionale e approccio “emotivo” alla realtà. Quando si sente un’emozione si ha un’idea (ragionevole o sciocca) su ciò che sta accadendo e quando si ha un’idea (ragionevole o sciocca) su ciò che sta accadendo si sente inevitabilmente qualcosa, perché lo stato di cose è in qualche modo e misura piacevole, spiacevole, pericoloso, oltraggioso, ecc.
Abbiamo quindi idee balorde che (se accettate) ci smuovono emozioni non appropriate alla realtà e alle nostre esigenze e abbiamo idee sensate che ci rendono comprensibile la realtà e ci sollecitano emozioni comprensibili.
Per questo, da un lato i pregiudizi vengono prodotti e accettati per via di situazioni emotive non risolte, mentre da un altro lato, la via della conoscenza, intrapresa con metodo, passione e cura è una via che tocca anche il cuore: rendendoci comprensibile la realtà ci fa sentire di più e quindi produce più gioia e più dolore.

“Tutte le strade sono uguali; non portano da nessuna parte. Sono strade che passano attraverso alla boscaglia o che vanno nella boscaglia. Nella mia vita posso dire di aver percorso strade lunghe, molto lunghe, ma io non sono da nessuna parte. La domanda del mio benefattore ha adesso un significato. Questa strada ha un cuore? Se lo ha la strada è buona. Se non lo ha, non serve a niente. Entrambe le strade non portano da nessuna parte; ma una ha un cuore e l’altra no. Una porta a un viaggio lieto; finché la segui sei una sola cosa con essa. L’altra ti farà maledire la tua vita. Una ti rende forte; l’altra ti indebolisce” (Carlos Castaneda, 1968, p.88).

Sherwood Anderson ha ricapitolato la propensione a tradire la conoscenza aderendo con rigidità a singole verità in un modo davvero splendido:

“Erano le verità che trasformavano la gente in caricature grottesche. Il vecchio aveva una sua complessa teoria a questo proposito. Era sua opinione che quando qualcuno s’impadroniva di una verità e diceva che quella era la sua verità e si sforzava di vivere secondo essa, allora costui si trasformava in una caricatura, e la verità che egli abbracciava, in una menzogna” (Sherwood Anderson, 1919, p. 10).

Il bisogno di conoscere la realtà e la ricerca della verità fanno parte della nostra vita. La conoscenza è quindi un aspetto essenziale della vita umana: produce appagamento e può essere anche emotivamente sconvolgente se fa crollare convinzioni irrazionali a cui eravamo aggrappati e che ci permettevano di sentirci parte di un gruppo o in armonia con consuetudini e convinzioni irrazionali socialmente accettate. Tuttavia, anche quando ci fa sentire smarriti, ci impedisce di smarrirci davvero.
Gianfranco


Libriamici

Sherwood Anderson (1919), Racconti dell’Ohio, trad. it., Torino, Einaudi, 1950, rist.1971

Richard Bach (1970), Il gabbiano Jonathan Livingston, trad. it. Milano, Rizzoli, 1977

Rudolf Carnap (1932), Il superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio, trad. it., A. Pasquinelli (a cura di), AA. VV. Il neoempirismo, Torino, UTET, 1969

Carlos Castaneda (1968), A scuola dallo stregone, trad. it., Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1970

Henry Miller (1957), Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch, trad.it., Torino, Einaudi, 1968

Karl R. Popper (1963), Problemi, scopi e responsabilità della scienza, trad. it. in K.R.Popper, Scienza e filosofia, Torino, Einaudi, 1969

Hans Reichenbach (1951), La nascita della filosofia scientifica, trad. it., Bologna, Il Mulino, 1972

Ludwig Wittgenstein (1921-1922), Tractatus logico-philosophicus, trad. it., Tractatus logico-psilosophicus e quaderni 1914-1916, Torino, Einaudi, 1979


Filmamici

Hall Bartlett, Il gabbiano Jonathan Livingston

Gary Ross, Pleasantville

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