Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

domenica 26 luglio 2009

Cavalli e libertà

Nel numero 263 della rivista Cavallo Magazine (Ottobre 2008), Mario Palumbro riporta nella sua rubrica di apertura (La lettera) alcune riflessioni molto sensate sul concorso letterario Il mio regno per un cavallo riservato a bambini delle scuole elementari e medie venete indetto da Fieracavalli di Verona. Facendo parte della giuria, oltre a sperimentare il disagio di non poter dare un premio a tutti, è stato colpito dalla frase di una bambina (ripresa da una poesia di Helen Thomson):
Quando saliamo sui cavalli
chiediamo in prestito la libertà.

Palumbro giustamente sottolinea che se i bambini esprimono un’idea di questo tipo hanno già percepito nella loro vita la mancanza di libertà che caratterizza la nostra vita relazionale e sociale.
Non voglio qui toccare il tema della libertà in generale, né analizzare i limiti molto spesso insensati posti dalla società alla libertà degli adulti. Voglio fare poche stringatissime considerazioni sulla libertà dei bambini in un mondo fatto per adulti quasi sempre folli (anche se non diagnosticati da psichiatri e psicologi).

Gli adulti sono turbati dai bambini, perché questi non hanno ancora acquisito i pregiudizi, le rigidità mentali, le abitudini demenziali con cui condiscono normalmente i loro pensieri i loro discorsi e le loro relazioni. Sono turbati a maggior ragione dal fatto che i bambini esprimono proprio quella sensibilità, quell’apertura, quella capacità di gioire e di soffrire che con l’età e un esercizio metodico imparano a soffocare.
Tale turbamento spinge gli adulti a intervenire in vari modi nella vita dei bambini.

Il modo apparentemente meno preoccupante è l’indifferenza: spezza il cuore, ma in dosi omeopatiche.

Un altro modo, spesso considerato positivamente, è il bisogno di alcuni genitori (spesso, le madri) di seguire costantemente la crescita dei bambini; purtroppo, proprio le persone così “attaccate” ai figli hanno una vita vuota e devono riempirla con i figli, almeno fino alle 20.30. Poi c’è la TV. Chi ha una vita vuota non può condividere la gioia di vivere dei bambini.

Un altro modo, più comunemente individuato e (a volte) condannato, è l’approccio autoritario riconducibile allo sforzo metodico di educare i bambini a non essere bambini.

Il modo più subdolo (e in genere trascurato) di agire in modo autoritario con i bambini consiste nell’esercizio indiretto o manipolativo dell’autoritarismo. Non si grida “devi fare questi compiti se no ti spacco la testa”; si sussurra “come fai a sentirti bene se non fai i compiti che sono una responsabilità tua?”. Il bambino non solo sta male (come se avesse ricevuto una sberla), ma non capisce nemmeno perché sta male, dato che ha udito parole soavi. E studia di più, con la morte dentro.

Sono tante le tecniche, ma i bambini sono troppo piccoli per smascherarle. Così perdono pezzi di lucidità, di cuore, di voglia di divertirsi. Perdono anche le lacrime.
C’è anche il catechismo. Se venisse proposto a 20 anni anziché imposto a otto, in Italia avremmo una dozzina di cattolici e non ci sarebbero preti per indottrinare nessun altro. Ci sono anche la TV, la pubblicità, lo spirito di competizione “sportivo” o scolastico (quindi, i vari catechismi laici).
Stiamo solo parlando di tecniche socialmente accettate. Quelle su cui alcuni esponenti potrebbero dialogare in un Talk Show. C’è però anche di peggio: dalle liti in famiglia fra adulti, alla violenza sui bambini, alla disoccupazione dei genitori, alle bombe a grappolo.

Gli adulti sono così poco consapevoli dei loro massacri che pensano ai bambini come ad esseri felici, immersi nel mondo delle favole, nella natura, in una sorta di ambito ovattato e protetto dai veri problemi. Quindi portano i bambini allo zoo (una mostruosità che solo gli umani adulti potevano inventare), portano i bambini al cinema, a vedere cartoni animati (in certi casi bellissimi) e a volte portano anche i figli nei maneggi.
C’è però un problema: se i bambini sperimentano realmente un contatto ravvicinato di terzo tipo con un animale (che, per quanto addomesticato, respira, si muove, esprime emozioni vere), riescono facilmente a ricordarsi di essere bambini e hanno reazioni forti. Gioia, desiderio di contatto, ricerca di un rapporto giocoso, attenzioni per l’animale e … senso di libertà. E in certi casi anche una maggior consapevolezza della mancanza di contatto, di comunicazione e di libertà che caratterizza la loro vita quotidiana. Già, quella libertà smarrita, ma mai del tutto dimenticata.


Gianfranco


Libriamici consigliati

J. M. Masson (1995), Quando gli elefanti piangono, trad.it. Baldini & Castoldi, Milano, 1996.
A. Neill (1960), Summerhill, trad.it. Forum Editoriale, Milano, 1971.


Filmamici consigliati

Spirit, cavallo selvaggio
J. J. Annaud, L'orso
C. Ballard, Black stallion
R. Kleiser, Zanna bianca
R. Mulligan, Il buio oltre la siepe
F. Truffaut, I quattrocento colpi

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