Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

sabato 12 giugno 2010

Evoluzione biologica e irrazionalità


Il termine “neotenia”, ha il significato etimologico di “prolungamento della gioventù” ed indica un fenomeno evolutivo grazie al quale permangono negli adulti di una specie le caratteristiche morfologiche e fisiologiche che appartenevano le forme “immature” dei loro antenati. E’ stato l’anatomofisiologo olandese L. Bolk a considerare l’uomo come un caso di neotenia. In Messico, ad esempio, si trova un animale (denominato axolotl) che assomiglia ad un girino gigante, ma che NON è una rana immatura, dato che può riprodursi. In esso abbiamo un caso evidente di “immaturità” nell’aspetto che si associa ad una piena maturità sul piano fisiologico-riproduttivo. L’idea che l’uomo (senza peli e con varie caratteristiche tipiche degli embrioni dei mammiferi) sia quindi un altro esempio di neotenia è abbastanza sensata.

Si deve tener conto di una cosa molto importante: l’uomo ha una maturazione biologica e psicologica molto lenta dopo la nascita. Il sistema nervoso è inizialmente molto carente e comincia a funzionare al meglio solo in alcuni anni. Le funzioni psicologiche iniziali del neonato sono terrificanti: il neonato sente tutto e non capisce niente. Per questo ha bisogno di un accudimento molto protratto nel tempo.

Ciò sollecita molte riflessioni e voglio partire da quelle tratte da un libro che, molti anni fa, mi sollecitò a studiare varie cose, tra cui il nesso fra la fragilità psicologica degli esseri umani e l’irrazionalità tanto radicata nell’organizzazione sociale di tutte le fasi della nostra “civiltà”.

“La comunicazione in cui Bolk espone la sua teoria della neotenia –o della nascita prematura dell’uomo- è del 1926. L’anno stesso in cui Freud pubblica Inibizione, sintomo e angoscia, dove appunto tra i fattori che causano la nevrosi è annoverata la nascita precoce dell’uomo, che lo rende impreparato di fronte ai pericoli del mondo esterno, lo espone all’angoscia e genera in lui il bisogno di essere amato, donde l’instaurarsi della relazione privilegiata con la madre. Curiosamente Freud –che io sappia- non ha mai avvertito questa coincidenza. Doveva essere Roheim, antropologo e psicoanalista, a connettere le due visuali molti anni dopo. Dal 1926 non poche osservazioni di Bolk sono state corrette, ad esempio dal biologo svizzero Portmann, ma il nucleo dell’intuizione resta intatto, anzi ha ottenuto ulteriori conferme dalla paleontologia e dall’antropologia. Si vedano gli accertamenti di Washburn, dei coniugi Leakey, di Clark da cui emerge come il processo che porta all’avvento dell’homo sapiens sia dovuto alla convergenza ed all’interazione del bipedismo, dell’uso degli utensili e della nascita prematura, da cui ha origine il sociale (con a fondamento l’accresciuta responsabilità materna a causa del lento sviluppo dei piccoli e la combinazione dell’impegno materno con i compiti del maschio adulto)” (Luigi Pagliarani, p. 7 della Presentazione al libro di Georges Lapassade, 1963, trad. it. Il mito dell’adulto, Guaraldi Editore, Bologna-Firenze, 1971).

Ho riportato questa lunga citazione di Pagliarani perché ricapitola e collega varie idee. Nelle pagine successive il discorso di questo studioso procede ulteriormente e merita di essere nuovamente riportato perché conduce ad un collegamento interessante fra temi biopsicologici e temi psicosociali.

“Perché è così difficile il cambiamento? La difficoltà non è chiarita invocando soltanto la contrarietà del potere costituito e l’ostilità della conservazione politico-economica. C’è una resistenza al cambiamento più vischiosa e più subdola, anche perché è talora attiva (…) nei fautori stessi della rivoluzione che alla realtà antepongono le loro illusioni. E’ la paura. Una paura che ha le sue radici nella prima angoscia infantile del trovarsi soli al buio, derivante dal fatto –esclusivo della specie umana- che nasciamo prematuri, inadeguati, ritardati nella nostra capacità di autonomia. Da questa paura ci salva –neonati- la madre o chi la sostituisce. Ma ce la portiamo dentro. E quando siamo cresciuti (…) la riviviamo nelle situazioni sociali ed il rifugio questa volta sta nelle istituzioni, da noi usate spesso come il kanguro usa il marsupio: abitacoli rassicuranti per difenderci dai pericoli, dall’isolamento, da ogni sorta di angoscia” (L. Pagliarani, Op. cit. p. 9).

Queste riflessioni, abbastanza datate e di ispirazione “sessantottina” partono dall’integrazione della teoria di Bolk e di quella freudiana, procedono introducendo il tema dell’ansia nella riflessione politica (marxista ed anche maoista) e approdano alla prospettiva di una critica psicologica e politica del mondo “adulto” nel capitalismo. Pagliarani e Lapassade non concordano al cento per cento, ma condividono questa critica psicologica e politica alle istituzioni sociali.

Ciò che trovo non condivisibile in questa analisi è l’innesto della teoria della neotenia nella psicoanalisi perché facilita l’idea bio-psico-sociale di un’angoscia “radicale” da trattare sia a livello psicologico, sia a livello politico. Infatti, purtroppo, il “trattamento” psicoanalitico è discutibile e quello “politico” è fallito in tutte le sue realizzazioni, compresa quella della “rivoluzione culturale” cinese.

Credo vada spiegato sia il fatto che tante persone vivono in preda ad un’ansia irrazionale (e sono alla ricerca di rassicurazioni illusorie), sia il fatto che alcune persone invece riescono a vivere in armonia con i loro sentimenti e quindi ad agire in modi razionali e costruttivi. Non solo: va tenuto presente che quando le persone approfondiscono in chiave psicologica i loro vissuti, non si confrontano con paure “ancestrali”, ma con il dolore di rapporti famigliari carenti sul piano affettivo.

Queste considerazioni rendono quindi necessaria una correzione dell’intero discorso in modo da collegare in modo rigoroso l’idea della neotenia, le conoscenze davvero valide in ambito psicologico e l’analisi dell’irrazionalità sociale e dell’autoritarismo.

Come accennavo, il neonato ha una capacità di sentire (e quindi di soffrire) che non corrisponde alla sua capacità (praticamente inesistente) di gestire la sofferenza. Questo fatto carica la madre di una responsabilità che non appartiene alle cavalle o alle gatte o alle cagne. Il ruolo materno nei vari mammiferi è importantissimo, ma in fondo ben circoscritto e per questo “facile”: con un po’ di istinto è abbastanza facile per una cavalla accompagnare il suo puledrino al limite della maturità. Una cavalla dovrebbe essere ben strana a sbagliare qualcosa, dato che deve fare pochissime cose in un breve arco di tempo. La situazione è ben diversa per le mamme degli esseri umani. Queste povere creature (le madri) devono fare un mucchio di cose per anni ed anni e appena si distraggono un attimo lasciano il loro “cucciolo” in una situazione di totale vuoto e disperazione.

Cosa succede in conseguenza di tutto ciò? Una cosa molto spiacevole, ma praticamente inevitabile: i cavalli, o i cani [cfr. il POST Razionalità canina e irrazionalità umana] sono esseri molto equilibrati, mentre gli umani sono inclini a sentire poco, a capire pochissimo di ciò che si collega al sentire, ad agire distruttivamente e a non capire proprio niente della loro irrazionalità. Gli umani in pratica sono dei disgraziati e purtroppo sono gli animali più intelligenti, potenti e organizzati di tutto il globo terrestre. Grazie a questa loro condizione sono riusciti a “progredire” nel modo più assurdo distruggendo i loro simili e l’intero pianeta. Il mix di grande fragilità psicologica e grande capacità mentale è praticamente devastante e i risultati sono inevitabili. Proprio per questo gli umani sanno fare cose intellettualmente molto complicate con la facilità con cui rovinano rapporti interpersonali decisamente semplici. In altre parole, se una cagna riesce normalmente ad essere una “buona madre”, una donna normalmente fa dei disastri. Inoltre, grazie al “supporto” del suo compagno (pure tenuto ad essere un padre impeccabile per un lunghissimo periodo) riesce a fare dei megadisastri. E i risultati sono davanti ai nostri occhi: basta vedere chi siamo capaci di scegliere come rappresentanti politici.

L’oggettiva impossibilità per i genitori di fornire un accudimento adeguato in un periodo tanto lungo a dei figli tanto bisognosi [cfr. il POST Cuccioli umani] produce come effetto molti stati d’animo difficilmente gestibili da parte dei neonati e dei bambini, che devono quindi trovare il modo di “corazzarsi”, cioè di limitare la loro sensibilità emotiva. I bambini crescono quindi sentendo poco, oppure sentendo emozioni strane (ed agendo di conseguenza) e con una forte propensione ad agire in modi irrazionali per obiettivi illusori. Questo scarto fra competenze intellettive e miseria emozionale caratterizza l’essere umano, tanto da renderlo “sapiens” solo in linea di principio. Tale scarto determina anche un’altra conseguenza: se sarebbe comunque difficile per i genitori fornire un accudimento adeguato ai loro figli, è ancor più difficile tale impresa per genitori che a loro volta si sono dovuti “corazzare” nell’infanzia. Ciò spiega l’ampiezza e la gravità dell’accudimento inadeguato dei bambini e la pessima qualità del funzionamento psicologico e sociale degli esseri umani adulti.

Tuttavia, anche i genitori più in difficoltà hanno momenti di grazia e tutti i cuccioli umani ricevono, quindi, anche cose belle. Gli esseri umani sono, in ultima analisi, un mix di ricchezza interiore e di miseria emozionale. Ciò spiega, infatti, che alcuni esemplari continuino a manifestare spontaneamente saggezza, capacità empatiche e ricchezza interiore e che tutti (anche gli esseri più incasinati) riescano a manifestare in certi momenti o in certi ambiti una loro genuina umanità.

Per chi vuole trarre da ciò conseguenze sociali e politiche, la strada è quindi tutta in salita. Più un progetto politico è balordo, più è socialmente gradito. Più un progetto politico è profondo, più è impopolare. Ciò ha delle conseguenze gravi, dato che il miglior sistema politico è quello democratico e che quindi qualsiasi governo decente dovrebbe raccogliere il consenso della maggioranza. Cosa possono quindi fare le persone interessate a favorire un cambiamento sociale fondato sulla giustizia sociale e sulla libertà? Non certo “diluire” le buone idee per renderle gradite alla maggioranza del manicomio socio-politico. La “diluizione” è già stata fatta fino a risultati praticamente omeopatici.

L’unica cosa fattibile è, da un lato, un forte appello alla razionalità (dato che l’intelligenza dei cittadini è comunque intatta) e, da un altro lato, un forte e accorato appello a sentimenti profondi che, per quanto temuti e controllati, non sono mai annullati. Se di più non si può fare è meglio ammetterlo e restare pronti ad una possibile irrimediabile decadenza. Se di più non si può fare è meglio (mentre si continua ad optare per il “meno peggio” sul piano politico) “fare ciò che si può”, salvando piccoli ambiti di socialità e di cultura, sui quali la società non può estendere il suo controllo. Se di più non si può fare, ci si può dedicare con cura, con amore e con dedizione almeno ai rapporti con le persone più disponibili e soprattutto con i giovani ed i bambini.

Gianfranco

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