Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

sabato 10 aprile 2010

Recensioni (tardive) e note sul laicismo

La Bibbia, considerato libro della parola divina dalle religioni cristiane e, in una versione ristretta, anche dalla religione ebraica, costituisce un insieme di narrazioni che da un lato mirano a presentare un'ipotetica linea di sviluppo alla presenza dell’uomo sulla terra e da un altro lato mirano a dare un significato trascendente all'esistenza individuale. L’epica del viaggio di liberazione del popolo di Israele ha tradotto in termini materiali e concreti l’idea di un percorso di salvezza. In questo senso il libro dell’Esodo ha raccolto sotto una guida un popolo, così come il Deuteronomio ha regolato la convivenza civile secondo certi precetti.

Si consideri che il periodo in fondo barbaro degli avvenimenti narrati ha reso necessari dei principi organizzativi e dei vincoli unificanti. Così è sempre stato e anche in questo caso la religione ha cementato la socialità e istituito il diritto. Sono risultate quindi necessarie anche norme comprensibili proprio per l’epoca in questione, come la proibizione dell’idolatria (Deut.4,16) allora praticata. E' risultata utile anche l’idea di una protezione divina nel viaggio verso la salvezza: “Abbiate dunque cura di far ciò che il Signore, Iddio vostro, v’ha comandato (…) Allora voi vivrete, anzi godrete prosperità e lunga vita nel paese di cui state per prendere possesso” (Deut. 5,32-33). Ha svolto una importante ruolo anche la minaccia del castigo divino per i trasgressori (Deut. 6,14-15).

Il livello etico dei comandamenti divini (Deut.5) è quindi decisamente elementare: vanno fatte o evitate certe cose per essere premiati e per non essere dannati. I testi si sviluppano in un mondo rozzo e impongono dei principi organizzativi di base. Ovviamente questi testi hanno un notevole valore storico, ma si stenta a capire per quali motivi vengano ancora considerati così importanti da varie religioni cristiane e non cristiane.

Non riteniamo che l’interiorità umana si sia sviluppata nella storia, anche se le epoche hanno favorito o ostacolato l’espressione di sentimenti e pensieri sensati. Di fatto, il Cantico dei cantici o Socrate trasudano humanitas mentre molti poeti e letterati moderni sono più “vecchi” del Vecchio Testamento, trasudando semplici contorcimenti interiori abbelliti (a volte geniali) da pregevoli utilizzazioni della lingua.

Ciò che vogliamo sottolineare è che l’esigenza politico-culturale di fondare su “solide radici” il terrorismo psicologico denominato “etica religiosa” ha portato a tenere collegato il Nuovo Testamento al Vecchio senza reali motivi, come se noi volessimo per oscuri motivi collegare la Banca d’Italia alla California (dove c’è stata a metà del XIX secolo la corsa all’oro).

A poco serve per il Vecchio Testamento (come per il Corano, di cui parleremo più avanti) l’elenco interminabile di studi ermeneutici, dotte riflessioni storiche, acute disamine esegetiche volte a dimostrare che si deve distinguere la “vera sostanza” del messaggio veterotestamentario dalla “materia” di cui tale "sostanza" si è rivestita inevitabilmente nell’epoca della sua tradizione orale e poi scritta. A poco serve, perché queste sottili elucubrazioni che placano l’animo degli studiosi, trascurano il fatto che la reale trasmissione del messaggio biblico ai fedeli, e soprattutto ai bambini suggerisce comunque la repressione della spontaneità, della vitalità e del piacere. Tale messaggio non include una spiegazione dei motivi psicologici della distruttività umana, ma riporta una condanna moralistica del peccato, inteso come espressione di una “innata malvagità”.

Lo stesso va detto per alcuni aspetti rituali-devozionali della religione (sia nella Bibbia, sia nel Corano) che possono anche non essere intesi come ossessiva autopunizione, ma possono essere riferiti ad un’esigenza di ricerca interiore [cfr. il POST Meditazione e preghiera]. Nella realtà effettiva della trasmissione dei “valori religiosi”, la preghiera non è in genere suggerita come pratica meditativa, ma come autocolpevolizzazione e richiesta di perdono.

Il Nuovo Testamento racchiude, di fatto, contenuti molto più profondi di quelli espressi nel Vecchio Testamento. Nei Vangeli, l’idea della fratellanza giustifica il comportamento etico più dell’idea della punizione, che tuttavia è ancora presente. Fratellanza implica tensione positiva verso i propri simili e non l’idea dei vantaggi o svantaggi risultanti dai diversi comportamenti.

Valga per tutti il discorso di Gesù sulla croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Luca, 23-34). E’ limpida, in quest'espressione, la consapevolezza che il male viene compiuto per motivi inconsci e che non è espressione della "natura umana", ma di oscure tensione interne (oggi diremmo di disturbi psicologici). La conoscenza della difficoltà ad agire bene finché persistono conflitti non risolti favorisce una spiegazione dell'autodistruttività e della distruttività. In altre parole, millenovecento anni prima di Freud è stata affermata nel Vangelo l’idea che il male non è un problema etico, ma psicologico. Tale idea è stata affermata senza complesse elaborazioni teoriche, ma anche senza le speculazini freudiane relative ad un presunto istinto di morte. Tuttavia, nel Vangelo, questa luminosa consapevolezza delle radici (psicologiche) del male viene ad intrecciarsi con il concetto di “perdono”: se i carnefici di Gesù non sapevano ciò che facevano, di cosa dovevano essere “perdonati”? Se chi fa il male agisce per mancanza di consapevolezza, non deve, in senso stretto, essere "perdonato". Il perdono significa rinuncia alla vendetta o alla punizione (Devoto-Oli), ma se nel male non c’è vera consapevolezza, non c’è proprio niente da perdonare.

Anche l'idea ricapitolata nella frase "ama il prossimo come te stesso" racchiude la stessa ambiguità: da un lato essa apre la via ad una genuina spiritualità basata sull’amore, e dall'altro, la formulazione in termini imperativi rinvia ad una logica del dovere. Va comunque sottolineata la portata “rivoluzionaria” dell’idea in base a cui proprio amando noi stessi risultiamo capaci di amare il prossimo; essa è talmente innovativa e profonda da far pensare anche in questo caso che la formulazione ambigua sia dovuta più ad una limitata comprensione dell'evangelista che al messaggio di Gesù. In questa visione psicologicamente corretta ed eticamente significativa, l’amore non nasce dalla paura, ma dalla consapevolezza di sé, del proprio valore e del valore degli altri.

Un passo indietro viene invece compiuto, nel “percorso religioso” dell’umanità, con il Corano. Nel Corano si torna ai doveri, alle lusinghe e al terrorismo psicologico. Allah è misericordioso, ma anche vendicativo. Le regole di condotta, inoltre sono sviluppate in termini addirittura ossessivi (fino al dettaglio dei pagamenti e delle multe per matrimoni, divorzi, ecc.) e soprattutto sono “esterne”, “imposte” e sostenute dalla paura del disprezzo e, più "concretamente", dalla minaccia della punizione eterna. Credo che questa burocratizzazione etica, questa onda lunga di norme, divieti e punizioni non favorisca l’introspezione e la comprensione di sé e degli altri. Buono-cattivo, puro-impuro, giusto-sbagliato attraversano tutto il Corano, fino a determinare bizzarre regole per l'abbigliamento e per la dieta. Rileggere, imparare a memoria e recitare un libro del genere, da un lato limita lo sviluppo del pensiero critico e da un altro lato rafforza conflitti psicologici inquietanti.

E’ ovvio che nessuna frase avulsa dal contesto di un intero libro debba essere considerata compiutamente comprensibile, tuttavia certe frasi sono indicative. In un libro di fisica non si troverà mai un’affermazione del tipo “per far riuscire un esperimento tenete un cornetto in tasca, non si sa mai”. Ora, citazioni come le seguenti escludono che la logica premiale/punitiva non sia costitutiva della “filosofia” del Corano.

Il IV capitolo recita: “O uomini! Temete Iddio”. In esso vengono infatti riportate minacce terrificanti verso chi agisce contro il volere divino. Nello stesso IV capitolo vengono riportate norme dettagliate, anche in termini economici, sul matrimonio (poligamico), sulla dote da dare e su divieti, diritti e doveri fra marito, moglie e figli. Una sura è abbastanza inquietante: “Se alcune delle vostre donne avran commesso atti indecenti portate quattro vostri testimoni contro di loro, e se questi porteranno testimonianza del fatto, chiudetele in casa fin che le coglierà la morte o fin quando Dio apra loro una via”(IV,15). Io penso che qualsiasi libro antico vada storicizzato, contestualizzato, interpretato in termini non letterali e che non sia giusto ricavarne conseguenze analoghe a quelle che si ricavano da un libro scritto oggi. Anche nella scienza si studia Storia della scienza. Tuttavia, nelle facoltà di Fisica oggi non si recita cinque volte al giorno “Tutto scorre” di Eraclito, ma ci si concentra su cose un po’ più complesse e fondate, che solo indirettamente derivano anche da quell’idea, non scontata all’epoca, ma in fondo “banale”.

Nel Corano ricorrono idee decisamente discutibili, come quella secondo cui gli uomini sono “un gradino più in alto” delle donne (II, 228), o quella secondo cui Dio “ha preferito i combattenti ai non combattenti” (IV,95), che è inquietante anche se è interpretata nel senso del proselitismo anziché nel senso della "guerra santa". Sono anche presenti idee davvero strane come quella relativa alla proibizione di mangiare “carne di porco” e idee crudeli e inammissibili per qualsiasi animalista come l’ingiunzione di sgozzare gli animali vivi per non mangiare “animali morti”(V,3). Tutti questi passi, non sono in sé preoccupanti. Vanno interpretati e riferiti a situazioni sociali ed economiche storicamente ben precise. Ciò che turba maggiormente è l’idea che un libro come questo sia in gran parte ancor oggi seguito letteralmente (si pensi alle tecniche di macellazione semplicemente indegne di paesi civili o alle relazioni fra uomini e donne regolate secondo le consuetudini islamiche).


D’altra parte si pensi alla gravità delle conseguenze della “cultura concordataria” in Italia: per far contenti prelati e bigotti sono normalmente accordati privilegi alla cultura ed alla chiesa cattolica e poi “in nome” del principio della libertà religiosa, si concedono analoghi privilegi ad altre religioni, autorizzando ad esempio le macellerie islamiche. Al di là di queste conseguenze sociali (dovute più all’inettutudine dei politici che alle idee degli islamici) delle interpretazioni letterali del Corano, vogliamo sottolineare lo spirito che attraversa tutto il testo in questione, cioè la concezione autoritaria del rapporto fra divinità ed esseri umani.

L’espressione “Nel nome di Dio, clemente misericordioso” costituisce l’incipit di tutti i capitoli del Corano, ma il libro è un insieme di imposizioni morali, descrizioni dettagliate dei comportamenti autorizzati e non autorizzati, minacce di castighi e svalutazione dei peccatori e degli infedeli. Questa concezione autoritaria e rigida induce nei fedeli una valutazione “esterna” ovvero “giuridica” dei loro comportamenti e non è di alcun aiuto (ma di ostacolo) per la maturazione di una sensibilità profonda e di una valorizzazione delle persone e delle loro vite. Se si segue la religione si è nel giusto, se no si è nell’errore. In questa prospettiva ci si oppone a qualsiasi comprensione razionale del comportamento umano.

Si sa che Muhàmmad (Maometto) instaurò la sua religione monoteistica in un terreno culturale molto rozzo, cioè quello delle tribù beduine che ad esempio praticavano normalmente la poligamia, giustificavano razzie e guerre continue intertribali. Considerando tale ambiente si può quindi capire che seicento anni dopo la predicazione di Gesù di Nazareth, si sia attuata una così grave “regressione” filosofico-religiosa, dato che in quel contesto culturale probabilmente una morale più “umana” non sarebbe risultata accettabile per troppe persone. L’invenzione della divinità islamica è stata quindi utile per dare un assetto funzionale ad un’epoca e ad una mentalità barbara: una divinità feroce ma a certe condizioni accogliente, ossessivamente dedita a regolamentare tutto e a punire, ostinata a farsi adorare e a non farsi mai dimenticare. Questa comprensione di quel particolare tipo di risposta organizzata all’eterna incertezza esistenziale dell’uomo nell’immensità dell’universo è storicamente interessante. Essa spiega la banalità delle norme “religiose” elencate e da seguire meticolosamente: quelle di tipo alimentare, le 5 preghiere quotidiane, il ramadan, l’abbigliamento ispirato a concezioni sessuonegative, le abluzioni. Essa spiega anche la mancata valorizzazione dell’affettività, la svalutazione irrazionale e moralistica del piacere sessuale e dei rapporti fra uomo e donna. Di fatto quell’insieme di idee trasformò un “non-popolo” di straccioni in un popolo che in un secolo imperò in Asia, Africa settentrionale e Spagna. Il contenuto resta, tuttavia, un contenuto povero, “elementare” sul piano psicologico e filosofico.

A chi ha un sentito interesse per temi spirituali, le religioni fanno uno strano effetto: provocano un fastidio analogo quello percepito da chi ama la musica classica e sente in TV Grieg utilizzato come sfondo per la pubblicità di un olio d’oliva o sente Mozart associato ad un brandy.

Le religioni rispondono in modi banali (doveri, regole, ricatti divini, promesse paradisiache, rituali rassicuranti) alla comprensibile incertezza che le persone sentono di fronte alla certezza della morte, di fronte al dolore, alle ingiustizie e così via. Questioni difficili da risolvere che, solo per essere capite, richiedono impegno intellettuale e che, comunque, impegnano emotivamente. Tali questioni sono invece ricondotte dalle religioni a soluzioni semplici e a norme “rivelate” e a certezze stabilite da una divinità. In questa logica, la verità è “rivelata” e non va cercata; i comportamenti moralmente validi sono imposti e non vanno favoriti, ma imposti con le minacce; la socialità non è il risultato di un impegno condiviso, ma il risultato di una rinuncia al rispetto per se stessi premiato dal fatto di “appartenere” al gruppo degli eletti.

Poche concezioni religiose sono rispettose del travaglio interiore degli esseri umani e, anzi, in genere costituiscono un ostacolo allo sviluppo della cultura e della maturazione psicologica individuale.

Un laicismo "incompiuto" come quello dell’Italia contemporanea, esclude (giustamente) qualsiasi discriminazione nei confronti delle religioni, ma rinuncia anche a favorire la libertà di pensiero e a dare spazio alle concezioni che negano la dimensione spirituale o affermano la dimensione spirituale sganciandola dal moralismo religioso e dalle teologie.

L’idea di Voltaire, secondo cui vale la pena combattere perché idee altrui, anche se non condivise, possano comunque essere liberamente affermate, è divenuta uno dei pilastri della cultura contemporanea, ma è stata associata all’idea implicita (ma terrificante) secondo cui le concezioni religiose sono talmente diffuse da essere “più uguali delle altre” e quindi da costituire parte essenziale della cultura contemporanea.

Non è vero che lo spirito religioso aleggi nella società, perché le persone veramente religiose sono pochissime. Solo l’imposizione di (incomprensibili) idee religiose ai bambini rende “normalmente condivise” da tante persone convinzioni non realmente accettate e nemmeno tradotte in comportamenti ad esse conseguenti [cfr. il POST Bambini religiosi?]. Solo l’attuazione dei Patti Lateranensi e la “convalida” statale della religione (insegnamento religioso a scuola, crocifissi nei luoghi pubblici, festività religiose imposte a tutti i cittadini, attenzione dei media per ogno esternazione delle autorità religiose, ecc.) rende “normale” una religione che nell’intimità delle persone non ha spazio, anche se “colora” di contenuti (pseudo)religiosi molti dei comuni sentimenti nevrotici come, ad esempio, i sensi di colpa.

Ciliegina sulla torta: le associazioni culturali, i partiti e i movimenti laici hanno annacquato il laicismo facendo compromessi con i preti e sono pronti a farlo con nuove religioni importate dall'immigrazione. Per questo, cioè per questi trenta denari elettorali, i politici "sinistri" (non realmente "di sinistra") hanno ripulito la loro tradizione dal laicismo e hanno rinunciato al dialogo per praticare il servilismo. Un vero peccato (e non in senso religioso).

Elisa, Gaetano e Gianfranco

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