Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

venerdì 4 dicembre 2009

Bambini religiosi?


1. I contenuti affermati dalle religioni (o quelli di segno opposto, affermati da correnti di pensiero non religiose) interpretano in modi specifici (anche molto diversi fra loro, ma legittimi) degli aspetti molto significativi della vita delle persone. Non sono quindi paragonabili a idee riguardanti gusti, convenzioni sociali, mode, anche se possono avere ricadute in tali ambiti.
Ciò significa che tali contenuti, orientando il percorso esistenziale individuale meritano attenzione, richiedono una comprensione accurata (anche se, inevitabilmente, a vari livelli di approfondimento), riflessioni e scelte ponderate.
Tali contenuti sono sviliti se trasmessi in modi superficiali (anche se convincenti per le menti più indifese) nella logica di uno spot pubblicitario.

A questo proposito, vogliamo accennare ad una conversazione recente con un’amica e suo marito che, da non credenti, avevano deciso di risparmiare al figlio il trauma del catechismo. Ci hanno confidato di essere indecisi sul da fare, perché il figlio aveva espressamente richiesto di poter andare a catechismo, dato che agli incontri partecipavano tutti i suoi compagni. La nostra amica, tra l’altro, ricorda di essere andata a catechismo di nascosto da bambina per lo stesso motivo, dato che i genitori (da convinti “mangiapreti”) le avevano proibito di partecipare. Mettendo assieme le idee di tutti, abbiamo concluso che la cosa più rispettosa per il bambino (non per l’ideologia famigliare o per quella ecclesiastica) fosse di lasciarlo andare e di parlare con lui dei contenuti appresi, non in termini polemici-squalificanti, ma in termini problematici. In altre parole, la cosa più sensata da dire al bambino ci è sembrata di questo tipo: “il parroco sostiene queste idee, che sono diverse dalle nostre e da quelle di tante altre persone e quelli che vengono trattati sono problemi complessi che comprenderai meglio da grande quando studierai la questione e ti formerai delle convinzioni personali”.

Ovviamente, in una società più laica e con autorità religiose propense a testimoniare la loro fede (anziché ad imporla a bambini piccoli e intellettualmente indifesi), il problema non si sarebbe posto. Tuttavia il problema si è posto e i nostri amici hanno fatto una scelta pessima sul piano del “marketing ideologico” relativo al “fatturato delle convinzioni di famiglia” ma, a nostro avviso, hanno fatto una scelta ottimale per le esigenze emotive ed anche conoscitive del bambino. Hanno cioè rispettato l’esigenza da questi espressa (esigenza non filosofica, ma di contatto con i coetanei) e hanno scelto di non aggiungere all’imposizione degli “insegnamenti” del sacerdote anche l’imposizione dei loro insegnamenti Hanno scelto di tranquillizzare il figlio rispetto ai prevedibili messaggi su peccati e punizioni, lasciando aperta la questione ad un livello più profondo e da gestire con strumenti che egli avrebbe acquisito crescendo. Il parroco, al contrario, istituendo il corso ha fatto una scelta basata su criteri opposti: quella di far passare anche se in modi approssimativi e con inevitabili fraintendimenti, almeno alcuni contenuti del proprio bagaglio di convinzioni religiose, con il rischio di creare ansie e turbamenti non evidenti e incontrollabili.

Noi pensiamo che in un mondo in cui i bambini venissero trattati a scuola in base ai criteri adottati dai nostri amici, in cui i religiosi si rivolgessero ad adulti anziché ad adulti in formazione e soprattutto in cui, PRIMA della scuola i bambini venissero trattati con cura (e quindi senza svalutazioni, colpevolizzazioni, interventi “pedagogici” repressivi), probabilmente non esisterebbero guerre, criminalità, malattie mentali, malattie psicosomatiche, totalitarismi. Però la scommessa non può aver luogo e dobbiamo ragionare sulla società reale in cui viviamo.

2. La religiosità è un fatto geografico? Nella nostra società (parliamo di quella dell’intero globo terrestre), una cosa salta agli occhi: la quasi totale sovrapposizione di fedi religiose e aree geografiche.
Non capita che i “credenti” della medicina omeopatica vivano al 99% in Bolivia, e quelli della medicina allopatica nel resto del mondo; non capita che i filosofi empiristi vivano in Europa e quelli spiritualisti negli Stati Uniti; non capita nemmeno che i conservatori abbiano la maggioranze nei paesi europei di lingua inglese e che i progressisti abbiano la maggioranza nei paesi di lingua latina. Ci si chiederà come mai. L’unica spiegazione plausibile è questa: per quanto siano diffuse le rigidità mentali, normalmente i medici si chiedono come svolgere il loro lavoro nel modo più valido e, per le questioni controverse, in qualsiasi paese del mondo, alcuni medici si orientano in una direzione e altri in un’altra. I filosofi si chiedono quale filosofia sia più ragionevole e in qualsiasi paese del mondo alcuni vanno in una direzione e altri in altre. Gli elettori (quelli delle società democratiche, ovviamente) si chiedono, in qualsiasi parte del mondo, quale sia il partito più affidabile o almeno quale sia il meno inaffidabile e ovunque votano in vari modi.

Con la religione, invece le cose stanno diversamente. Nei paesi in cui la chiesa cattolica ha esercitato il suo potere si sono formate e tramandate convinzioni religiose che (guarda caso) sono quelle della chiesa cattolica. Lo stesso vale per le aree in cui altre religioni hanno governato e controllato l’educazione dei bambini. Ovviamente, nei paesi arabi si studia e si pensa: gli arabi non sono mica deficienti! In quei paesi, tuttavia è rarissimo che uno studente di matematica o di filosofia, studiando fra i 22 e i 24 anni in biblioteca, si convinca che il cristianesimo è una cosa seria e l’islàm è una bambinata. Anche noi “cristiani occidentali” non siamo scemi. Possibile che nei nostri paesi siano tanto rare le conversioni di adulti all’islàm? Roger Garaudy e Cat Stevens hanno fatto notizia. Se milioni di persone di sinistra non votano più, o simpatizzano per Beppe Grillo, come è possibile che non ci siano ogni anno almeno trecento mila convertiti all’Islam o alla chiesa anglicana tra gli adulti italiani? O almeno mille convertiti allo scintoismo?

3. Digressione pedagogica (molto elementare). Se si considera il modo in cui la scuola e la società possono favorire la crescita, sul piano conoscitivo, emotivo e morale dei bambini, si deve considerare il rapporto fra i contenuti educativi proposti e le capacità di apprendimento.
Non a caso alle elementari gli insegnanti non cercano di insegnare ai bambini le equazioni di secondo grado, perché essi non sarebbero in grado di capirle o al massimo potrebbero, con molti sforzi, imparare a memoria una fila di simboli (per loro) privi di significato, ma corrispondenti alla soluzione di un’equazione. Tale eventualità non sarebbe “meglio di niente”, ma sarebbe uno spreco di tempo e di fatica per tutti.
Ci sono studi tutt’altro che recenti che chiariscono bene che i bambini non sono piccoli adulti ma persone in crescita. In una piccola botte si può mettere lo stesso vino contenuto in una grande botte, anche se in quantità minore, ma in una botte solo parzialmente costruita si versa liquido che fuoriesce immediatamente.
I problemi a cui le varie religioni danno delle risposte sono problemi importanti e complessi e quindi, anche le risposte offerte dalle stesse religioni (o da filosofie alternative) sono complesse.
Essere comunista non significa andare a spasso con una bandiera rossa, essere cattolico non significa andare a messa la domenica ed essere islamico non significa fare genuflessioni cinque volte al giorno o preoccuparsi di velare le donne. Se il comunista partecipa (o meglio, “partecipava”!) ad una manifestazione con una bandiera rossa implica (implicava) la validità di alcune interpretazioni della società e di alcune prospettive di cambiamento. Per questo la CGIL non ha mai fatto catechismo sindacale ai figli degli operai.

Considerazioni analoghe valgono per i cattolici o i musulmani. Andare a messa è una decisione che si prende dopo aver accettato almeno una (e una sola) precisa cosmologia, antropologia ed etica. Ci riferiamo a convinzioni (supportate da ragionamenti) che costituiscono una risposta a quesiti del tipo: a) la vita che viviamo è pura immanenza o si proietta in una trascendenza? b) la persona che siamo è solo materia o esiste su due piani della realtà, di cui uno è materiale e uno è spirituale? Ovviamente i quesiti (e le risposte possibili) sono più di due e di analoga complessità. Cattolici e islamici danno ad alcuni di tali quesiti risposte identiche e ad altri risposte simili e ad altri risposte diverse. E parliamo di risposte che interessano metà scarsa dell’umanità. Metà molto scarsa perché anche noi due veniamo conteggiati (pur non essendo tali) fra i cattolici, solo perché siamo stati battezzati e siamo nati in Italia. Possiamo riconoscere un po’ di cervello e di dignità agli atei, agli agnostici, ai protestanti, ai buddisti, ecc.? Diciamo allora che una bella fetta dell’umanità ha altre risposte legittime da dare a tali domande.

Ripetiamo: stiamo parlando di domande serie; domande che sono state prese in considerazione da autorevoli filosofi e anche dai filosofi che hanno definito prive di significato conoscitivo le domande stesse. Domande che, in ogni caso, sono di una certa rilevanza per l’esistenza delle persone. Infatti, dalle risposte a tali domande discendono conseguenze altrettanto importanti (scelte morali, matrimonio, divorzio, obiezione di coscienza rispetto alla chiamata alle armi, aborto, obiezione di coscienza dei medici rispetto all’interruzione delle gravidanze, monogamia, poligamia, ecc).

Date queste premesse, per quale motivo nessuno esaspera i bambini con le equazioni di secondo grado o con il nichilismo di Sartre o con la teosofia di Alice Bailey? Nessuno esaspera i bambini nemmeno col federalismo! Su queste cose si ritiene che da grandi leggeranno il giornale, la Treccani, qualche libro o qualche volantino e penseranno ciò che vorranno. Si faranno le loro idee perché a sei o otto anni non possono avere idee né sulle equazioni, né sul federalismo. Possono capire se preferiscono Topolino o Paperino. Sono bambini proprio per questo. Se potessero preferire Joice a Dostoevskij sarebbero adulti, e anche colti.
Non si pretende da un bambino la conoscenza delle equazioni o del marxismo, ma si pretende che sia a conoscenza della santissima trinità, della verginità di Maria, del peccato, dell’inferno. Non solo: si pretende che sia a conoscenza (per sommi capi, cioè ripetendo a memoria qualche frase) della filosofia, della teologia e della cosmologia accettate dai genitori o dai preti, ma si fa in modo che non sappia nulla delle filosofie, teologie e cosmologie, altrettanto legittime, insegnate a milioni di bambini da altre parti del mondo con la stessa cura e preoccupazione. Forse chi nega ad un bambino informazioni su religioni diverse da quelle "della tribù locale" pensa che, essendo un bambino, si confonderebbe le idee. In questa prospettiva bizzarra, si afferma che un bambino nato in una famiglia cattolica è troppo piccolo per gestire i concetti di più religioni mentre è abbastanza grande per capire la filosofia tomista che regge la teologia cattolica. Qualcosa non torna.

4. In realtà i bambini non possono capire e non possono nemmeno valutare criticamente i concetti di nessuna religione. Purtroppo, ciò che capiscono benissimo i bambini, quando ricevono “insegnamenti” religiosi, è un’altra cosa: CAPISCONO che possono essere esclusi, disprezzati, annullati se non seguono certe regole.
In particolare, SE hanno GIA’ subito rifiuti e svalutazioni nel rapporto con i genitori, rafforzano con i rudimenti di una religione la loro idea di essere sbagliati in qualche modo e di doversi “aggiustare” in qualche altro modo (con rinunce, sofferenze, umiliazioni), per diventare “accettabili”. Capiscono che oltre ad essere respinti dai genitori possono essere respinti dagli insegnanti, dai compagni, da tutti e persino da dio (una presenza non chiara, ma che incute timore perché sembra spaventare anche i genitori).
L’educazione religiosa (o anti-religiosa) turba i bambini, non si cura di trasmettere insegnamenti realmente compresi, e quindi mira (consapevolmente o inconsapevolmente) ad altri obiettivi.

5. Probabilmente, i motivi per cui si impone ai bambini, in Italia come in Iran, come in altri paesi, uno sforzo così atroce sul piano mentale con conseguenze emozionali tanto gravi, sono essenzialmente di due tipi.

a) Motivi di marketing. Pubblicità. Rapporto fra investimenti e risultati. Come nel commercio.
Se spiegando la composizione chimica e quindi la qualità di uno shampoo in TV. il fatturato aumenta dello 0,5% e se, mettendo in onda una velina che si fa lo shampoo con quel prodotto, il fatturato aumenta del 2%, si sceglie la velina.
Se si “spiegano” quattro cose incomprensibili di una religione ad un bambino, questi non può capire i contenuti profondi del messaggio, ma con molte probabilità continuerà a seguire la stessa religione anche da adulto e a trasmetterla con la massima cura ai suoi figli. Non sarà convinto, anzi, dando per scontato di sapere le cose “vere” che “sanno tutti” (nel suo paese) non avrà nemmeno molti stimoli per approfondire l’argomento; forse nutrirà diffidenza verso qualsiasi concezione alternativa e resterà ignorante e praticante.
Se invece si spiegano con cura i punti essenziali di una religione ad un adulto, questi presumibilmente ci rifletterà almeno dieci minuti, forse approfondirà l’argomento, forse si informerà su concezioni del mondo alternative e in alcuni casi (solo alcuni) si convincerà davvero della validità della religione inizialmente presa in considerazione.
Scegliendo di “lanciare” lo spot religioso nell’infanzia, le istituzioni religiose perdono (alcuni) fedeli convinti e guadagnano molti seguaci confusi ma praticanti, oppure non praticanti ma “recuperabili”. Scegliendo un’onesta “promozione” della loro fede perderebbero seguaci. Come ogni azienda “seria”, quindi, pensano al “fatturato” e utilizzano i bambini anziché impegnarsi in un’onesta forma di trasmissione dei contenuti religiosi. Fede e spot. Il marketing delle conversioni.

b)Motivi psicologici, anzi, un unico e fortissimo motivo psicologico: un mix di benevolenza e paura. Una volta “accettata” (dai genitori e dagli educatori) una religione e una volta “accettata” l’idea che se non si segue quella religione si vive una vita disastrosa di peccato e corruzione e addirittura ci si prepara ad un’eternità ancor peggiore di sofferenza e punizione, perché mettere un figlio o un allievo nella condizione di riflettere, scegliere, pensare, e magari sbagliare e dannarsi? Perché non proteggere i bambini con tutti i mezzi dal male e dalla sofferenza? Se un bambino si sporgesse da un cornicione mica gli si farebbe una lezione sulla forza di gravità! Lo si afferrerebbe brutalmente per un piede o gli si strillerebbe di obbedire e tirarsi su. La paura e persino l’amore rendono, quindi, necessariamente violenti gli adulti, nel caso dell’indottrinamento religioso.

Se sommiamo le squallide manovre commerciali (sul “fatturato” dei fedeli) alle struggenti e sentite preoccupazioni focalizzate sulla “salvezza” dei figli, otteniamo un risultato decisamente “antiecologico”: l’inquinamento dell’infanzia, la limitazione della fiducia dei bambini nei confronti degli adulti e l’induzione della sfiducia in loro stessi.
L’insegnamento religioso non rovina davvero ai bambini l’infanzia, perché i bambini adeguatamente rassicurati e accolti in famiglia se ne fregano del peccato originale e dell’inferno. Tuttavia i bambini iniziano a sentir parlare il parroco DOPO aver sentito dai genitori frasi come “sei cattivo”, “fai piangere la mamma”, “fai preoccupare papà”. Iniziano a sentir parlare di un’esclusione dal paradiso dopo essere stati esclusi da un abbraccio. Iniziano a sentir parlare di pentimento dopo essersi umiliati e vergognati per il fatto di essere semplicemente dei bambini. Quindi, se la religione non ruba sicuramente l’infanzia ai bambini, sostiene però i genitori in un ruolo rifiutante che (anche senza rendersene conto) svolgono nella maggior parte dei casi con terribile efficacia.

6. Nella società contemporanea convivono forme diverse di intolleranza. L’intolleranza verso etnie o culture o religioni minoritarie e l’intolleranza manifestata sia dai “normali”, sia dai “devianti” nei confronti dei bambini. I bambini non sono tollerati da nessuno.
Sono troppo belli per chi ha deciso di vivere una vita brutta e vanno quindi “purificati”, normalizzati, messi “a posto”, fatti crescere “come si deve”. Il “come si deve” di un cattolico è diverso per vari aspetti da quello di un islamico, ma hanno in comune l’idea che un bambino prima di capire cosa possa diventare si ficchi in testa l’idea che deve diventare ciò che è stabilito dagli altri (e da dio, ovviamente) per il suo bene.

Questo è un dato di fatto, anche se è in linea di principio possibile (e in certi ristretti ambiti è realizzato) che adulti religiosi non cerchino di imporre la loro fede ai bambini piccoli, ma di proporla a loro (e a tutti gli altri) quando è possibile un confronto e una valutazione critica dei contenuti in questione. Pensiamo che sarebbe segno di un pregiudizio antireligioso negare la possibilità di una religiosità rispettosa nei confronti delle persone e soprattutto dei bambini. Tale idea sarebbe un pregiudizio.
Il rispetto e l’amore per le persone e quindi anche per i bambini è l’unico terreno di un possibile incontro profondo fra credenti e non credenti.
Di fatto, però, al di là dell’affermazione di principio della possibilità per qualsiasi persona religiosa di rinunciare all’indottrinamento autoritario dei bambini, pensiamo (in termini non pregiudiziali, ma sulla base dei fatti) che le persone religiose abbiano, nella maggior parte dei casi, poca voglia di rinunciare al loro potere di inculcare dogmi incomprensibili nelle menti indifese dei bambini.
Quindi, non faremo alcun tentativo di proporre a qualche organizzazione religiosa o partito politico un impegno per la protezione dei bambini dal marketing delle varie fedi. Singoli individui possono essere d’accordo, ma ben difficilmente autorità religiose o dirigenti di partito sottoscriverebbero un documento di questo tipo: i primi per paura di perdere fedeli e i secondo per paura di perdere i voti dei credenti.

Ci rivolgiamo quindi a Babbo Natale e alla Befana, facendo un semplice auspicio, articolato in tre punti riguardanti rispettivamente lo stato, le comunità religiose e i genitori.

Caro Babbo Natale e cara Befana,
vorremmo tre regali, non per noi, ma per tutti i bambini che possono ancora crescere senza venire feriti, respinti, svalutati.
I. Vi chiediamo che lo Stato, garante della libertà di pensiero e quindi anche della libertà religiosa, svolga il suo compito in modo impeccabile. Fate in modo che non sia più responsabile di imposizioni e che eviti accuratamente di promuovere o trasmettere attraverso il sistema scolastico qualsiasi ideologia, filosofia o teologia; in altre parole, che eviti di presentare convinzioni (anche legittime) di alcuni come verità “date” e “ovviamente valide” per tutti.
Poiché non sono possibili insegnamenti “neutrali” (anche se esercitati in modo corretto e non dogmatico), pensiamo che nella scuola i singoli insegnanti abbiano non solo il diritto, ma anche il dovere di esplicitare le loro convinzioni, perché proprio il confronto con le idee di vari insegnanti può stimolare gli studenti a sviluppare convinzioni personali e ad approfondire i temi trattati. Ciò però vale per le scuole superiori.
Ciò che lo stato deve impedire è la presentazione di sistemi di pensiero complessi come le dottrine religiose o filosofiche nella scuola elementare, perché quando ciò avviene, l’esposizione risulta un’imposizione, per via del delicato legame affettivo esistente tra i bambini e i maestri o le maestre.
Gli argomenti ideologicamente caratterizzati devono quindi essere affrontati gradualmente negli anni successivi chiarendo sempre la pluralità dei punti di vista emersi nella storia e presenti nelle varie parti del mondo.
II. Vi chiediamo che le istituzioni religiose, legittimamente interessate a diffondere le convinzioni che stanno alla base della loro fede rinuncino spontaneamente a trasmettere tali convinzioni ai bambini. Rinunciando a comunicare idee che nell’infanzia non possono essere realmente comprese e sottoposte ad una valutazione critica, tali istituzioni religiose dimostrerebbero di rispettare i bambini e di ritenere i loro valori accettabili da persone adulte e responsabili. Vi chiederemmo anche un analogo senso di responsabilità da parte delle associazioni che si ispirano ad ideologie non religiose, ma queste, di fatto, già ora si rivolgono agli adulti e non fanno, né cercano di fare proselitismo fra i bambini.
III. Vi chiediamo infine di illuminare e guidare i genitori, dato che hanno un ruolo educativo centrale e dominante nella vita dei bambini e dei giovani. Vi chiediamo prima di tutto di aiutarli a non attuare manipolazioni con i figli e a garantire ad essi un’accettazione incondizionata e costante, allo scopo di non farli sentire così soli come oggi tanto spesso capita. Vi chiediamo poi di aiutarli a trasmettere (come è giusto e anche inevitabile) i loro valori e le loro concezioni della vita, avendo però cura di non imporre idee alimentando paure e di non presentare alcuna idea come verità indiscutibile. Vi chiediamo quindi di aiutarli a non imporre convinzioni religiose o non religiose negli anni in cui i bambini e le bambine non hanno la capacità di vagliare i contenuti degli insegnamenti dei genitori, ma hanno bisogno di essere semplicemente accolti e protetti.


Nel mondo reale i bambini sono spiriti liberi da dominare, nemici da sottomettere. Sono soggetti da sgridare, allettare, sminuire, colpire e piegare alle esigenze dei genitori e delle organizzazioni religiose. Sono prede da catturare, anche con ricatti affettivi, se necessario. Al di là dei crudi fatti, dolorosi e difficilmente modificabili da Babbo Natale e dalla Befana (sulla cui esistenza nutriamo seri dubbi), crediamo che il semplice fatto di discutere queste idee e di condividere questi principi educativi generali possa essere utile. La condivisione di un sogno è già un'esperienza reale che incide, in qualche misura, sulla realtà.

Gianfranco e Marcello

Sottoscrivono il post e la lettera a Babbo Natale e alla Befana
Alba
Elisa
Gaetano
Giorgia
Natascia
Silvia
Tiziana

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