Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

lunedì 15 marzo 2010

Il futuro della libertà secondo la destra moderata


Gianfranco Fini, 2009, Il futuro della libertà, Rizzoli, Milano
RECENSIONE di Gaetano


Mi spiace che certi libri vengano scritti; che vengano pensati prima di essere scritti; che prima di essere pensati vengano “preparati” da un dato contesto sociale e culturale ed anche dal “terreno” soggettivo, costituito da una certa storia personale dell’Autore. Mi spiace anche se, ovviamente, penso debbano essere pubblicati e discussi.

Con questo libro si risente il sapore della “vecchia destra”, quella conservatrice, pericolosa, ma dignitosa e seria. La destra che per tutelare privilegi esaltava valori confusi, faceva affermazioni pompose, evitava temi scottanti, cercava di giustificare o di minimizzare le ingiustizie che alimentava. Una destra diversa da quella attuale che comunica solamente ciò che l’ufficio marketing ha approvato e che, quindi, comunica qualsiasi stronzata possa sedurre la parte più spaventata, confusa, rabbiosa degli elettori.
La vecchia destra, non quella fascista che funzionava come quella attuale sul piano della comunicazione, ma quella dei decenni successivi alla liberazione era dignitosa perché comunque tentava di “giustificare” ciò che affermava e di “convincere” e non di “ipnotizzare”gli elettori. Mirava allo sfruttamento, al potere, senza alcuna sensibilità per la sofferenza che lo sfruttamento e l’esercizio del potere producevano, ma almeno aveva la sensibilità di non fare affermazioni grottesche. Quella destra aveva l’onestà intellettuale di riconoscere che intendeva difendere certi interessi, al limite ricorrendo a forme di repressione e non osava dichiarare di essere vittima di complotti e di essere portatrice dei valori dell’amore.
La vecchia destra cercava di dimostrare che l’Italia era una società libera mentre quella dei paesi dell’est era una società autoritaria. Ometteva sempre le questioni fondamentali e dava interpretazioni tendenziose del concetto di libertà, però parlava anche di fatti. Le società comuniste erano davvero dei disastri, dato che erano contestate anche dai comunisti nostrani e la nostra società, pur non garantendo a tutti una vita dignitosa, garantiva comunque quelle libertà di espressione che non erano garantite nei paesi dell’est europeo.

Io non sento una vera nostalgia della vecchia destra: non si può avere nostalgia di un ictus di media gravità nemmeno se si ha un tumore diffuso. Però, la vecchia destra era meno inquietante di quell’accozzaglia di delinquenti festaioli capaci di negare l’evidenza dei fatti e di offendersi se i giudici indagano sui loro imbrogli.
In questo senso, e solo in questo senso, il libro di Fini è una boccata d’aria in un mondo di destra che partorisce mostri. In un altro senso, il libro di Fini mi preoccupa proprio perché evidenzia che se la destra demenziale, banale, razzista e cialtrona dovesse crollare, sul gruzzolo da essa accantonato si svilupperebbe una destra compatta, intelligente, seria e altrettanto spietata. D’altra parte, la vita è una lotta ed è inutile stupirsi delle cose che non ci piacciono.

Il libro di Gianfranco Fini è un lettera ai ventenni, cioè ai ragazzi nati dopo la demolizione del Muro di Berlino e occulta fin dall’inizio il duplice problema di cui quel muro era l’espressione: da un lato la violenza del mondo “libero” e dall’altro lato il fallimento del socialismo europeo che era stato pensato proprio come un antidoto a tale violenza. Fini trascura questo dettaglio identificando la libertà con il libero mercato, ragionando in termini di passato e futuro e trascurando la distruttività insita nella logica del profitto. L’Autore non parla dei suoi alleati che seguendo tale logica hanno persino “dialogato” con la mafia e cerca di spiegare ai giovani (la generazione F, cioè la “generazione futuro”) che dovranno utilizzare questa meravigliosa libertà per costruire una società ancora migliore. Egli scrive con un tono pacato, misurato, pedagogico.
Ovviamente la generazione F presto verificherà (se non lo ha già sperimentato) che i contratti a tempo determinato sono un'occasione di libertà solo per chi vuole spremere i lavoratori senza dare contropartite, scoprirà che proprio per il profitto di certi individui o di certe “corporazioni” (che operano come individui malvagi e voraci) si allarga la forbice fra ricchi e poveri, si devasta l’ecosistema, si orienta la ricerca scientifica in direzioni aberranti [cfr. il secondo video del Breve post: ambiente, ricchezza e povertà]. Però Fini non è incline a negare le evidenze e quindi, almeno a parole, giustifica la necessità di limitare le “aberrazioni” del capitalismo.
Questo “socio in affari politici” di individui che hanno fatto di tutto e di più e che non sono in galera in quanto “prescritti”, parla come un padre autorevole di “sciocchezze struggenti”: “Quella nel futuro deve essere una fede comune” (p. 10). Comune a chi? E cita Teilhard de Chardin per rinforzare il mito di un’evoluzione sociale realizzabile con la “voglia di futuro” (p.11). Auspica un superamento delle ideologie, come se il suo interclassismo garantito da una “volontà comune” (p. 14) non fosse a sua volta un’ideologia, peraltro logora. Mescola delicatamente concetti come “fiducia”, “volontà”, europeismo e Costituzione trascurando le picconate alla Costituzione tentate dai suoi soci di partito. Riconduce quindi la crisi economica alla “finanza casinò” (p. 15) e al mancato rispetto delle regole, come se un capitalismo regolato costituisse una garanzia per gli interessi di tutti.

La storia personale di Fini non è quella di uno studioso o di una persona socialmente impegnata: il suo impegno si riduce alla sua ordinata carriera ed inizia nelle file del Fronte della Gioventù e del Movimento Sociale Italiano, all’ombra del “nostalgico” Giorgio Almirante. La linea della sua “evoluzione personale” è caratterizzata da una graduale trasformazione degli “ideali” fascisti in ideali democratici: evoluzione sicuramente apprezzabile, ma che dice molte cose di una persona che a venti-trent’anni si è identificata nei dogmi più oscuri e beceri della nostra storia nazionale.
Io penso che tutte le persone abbiano il diritto di sbagliare e di “crescere”, ma hanno comunque il compito di spiegare il loro travaglio interno (se c’è) quando fanno politica. Le persone che hanno un’evoluzione culturale così banale, dovrebbero restare a vita sui banchi di scuola ad imparare dagli altri senza atteggiarsi a maestri o a paladini della democrazia.

Veniamo ora allo “zoccolo duro” del pensiero finiano. Dopo aver esaltato il valore della libertà (in un’accezione generica e compatibile con i “valori” del liberismo e dell’imperialismo), Fini attacca i nemici della libertà. Con spirito di equità non condanna solo il comunismo, ma anche il fascismo e il nazismo e cerca di giungere alla radice di questi due mostri: l’ideologia. Fini intende per “ideologia” quei sistemi di pensiero nati dal rancore che portano ad idealizzare alcuni esseri umani e a trattare come insetti altri esseri umani. In pratica Fini identifica (con una forzatura) il concetto di ideologia e quello di ideologia totalitaria utilizzando qualche dotta citazione. Suona strano il suo invito (condivisibile) ai giovani “cercate di non unirvi mai al coro dei rancorosi”, dato che proviene da un politico che ha firmato con Bossi la “Legge Bossi-Fini” cioè una grossa tegola scagliata sulla testa degli extracomunitari in sintonia con il suo amico “lumbard”. A questo proposito, vale la pena di documentarsi sulla “cultura” leghista leggendo il libro di Guido Barbujani e Pietro Cheli (Sono razzista, ma sto cercando di smettere, Laterza, Bari, 2008), da cui sono state tratte interessanti citazioni nel POST Patria e mini-patrie.

Sull’onda di questa “convinta” condanna di “tutti” i totalitarismi, in nome di una generica “libertà”, Fini procede nella sua opera pedagogica mettendo in guardia dalle “utopie” e preoccupandosi ovviamente di citare sull’argomento Koestler, ma di non dare –dato il tema- lo spazio dovuto a ben altri autori meno “utilizzabili”.

Il libro di Fini è davvero compilato bene. Parlo di compilazione anziché di scrittura perché è un’opera furba, come quei temi scopiazzati a scuola in cui i ragazzi usano le parole dei grandi critici per commentare testi letterari verso i quali non hanno alcun interesse. I ragazzi sensibili, se commentano una poesia di Leopardi non fanno alcuna fatica a parlare di sé, dei loro momenti di sfiducia o di solitudine. I ragazzi invece che sottolineano “l’indole sensibile del ragazzo solitario” che fa da sfondo alla “maturazione di una sensibilità preromantica” secondo la quale “la realtà ferisce i sogni dell’infanzia”, ecc., mostrano solo di aver letto e memorizzato alcune espressioni “vendibili” per prendere un bel voto nel tema. In questa chiave di lettura possiamo dire che il libro i questione è un accurato scopiazzamento finalizzato a fare bella figura.
Se non sapessimo che l'Autore va a braccetto con persone che hanno tenuto mafiosi in casa, che organizzano festini per vecchi bavosi e che si lamentano quando rischiano di andare in galera dopo varie sentenze che hanno confermato le loro attività illegali (purtroppo cadute in prescrizione) … se non sapessimo nulla di tutto ciò potremmo anche immaginare un Autore assorto in letture notturne impegnative sull’etica e sui problemi della gioventù.
In realtà Fini ha semplicemente ripulito nel tempo i “non ideali” del Fronte della gioventù. Non ci regala mai una confidenza personale, non manifesta mai uno slancio emotivo, non ci spiega il superamento dei suoi errori di partenza. Nulla che assomigli alle dichiarazioni dei sacerdoti che hanno manifestato o manifestano il loro dissenso dalla chiesa abbracciando l’ideale della “chiesa dei poveri”. Nulla che ricordi le espressioni di indignazione dei leader comunisti dopo l’invasione della Cecoslovacchia. Nessuna crisi interiore. Una semplice progressiva levigatura delle asperità “politicamente non corrette” del suo passato.

Il libro di Fini gronda di citazioni intelligenti e di luoghi comuni di una banalità disarmante: “la vera libertà non può coincidere con il mero individualismo” (p.64). Ecco, i giovani finalmente hanno avuto l’illuminazione che aspettavano! Il bello è che nonostante tutti questi stratagemmi comunicativi il vecchio vizio del lupo ogni tanto affiora dalle fessure non ben stuccate: dopo aver fatto qualche collegamento improbabile fra i problemi della droga e la “crisi morale” delle persone a Fini “scappa” finalmente l’idea che serbava in un angolino: “non esiste il diritto di drogarsi” (p. 72). Uno sfogo del “giovane-italico” Fini dopo tante “ragionevoli cazzate” proferite a beneficio di un’immagine politicamente corretta. Un attimo di spontaneità conquistato dall’ex-ragazzino fascista che non ne vuole sapere di differenze fra consumo e spaccio, o fra “poveracci” e criminalità organizzata, cioè quella con cui il suo amico scambia telefonate cordiali (cfr. il DVD L’intervista nascosta fatta a Paolo Borsellino, distribuito con il giornale Il Fatto Quotidiano). Per il piccolo duce non esistono poveracci, ma animi deboli, senza spina dorsale, che rivendicano dei diritti che non hanno e vanno perseguiti, anzi, perseguitati per legge. Gli è “scappata”. E’ troppo radicata l’idea che i diritti degli altri siano affar suo, anche quando gli altri non rompono le palle a nessuno, ma solo a se stessi ed alla sua visione “etica” della vita. Di questa boutade fascista non si è accorto nemmeno nella correzione delle bozze ed essa è stata stampata. In fondo, nessuno è perfetto.

Nelle pagine successive, Fini ritorna ai luoghi comuni di prima, in termini così pallosi da far addormentare anche i ragazzi strafatti di coca. Propone ai giovani un nuovo patto generazionale secondo il quale dovranno convivere con la precarietà e chiedere allo stato meno sicurezze di quelle che la sua generazione ha potuto chiedere e ottenere. Beh: e il patto chi lo firma? Quali sono le alternative, dato che Fini “propone” semplicemente quelle che sono le tendenze del capitalismo contemporaneo? Ma si aspetta davvero che i ragazzi facciano la fila per sottoscrivere un patto che corrisponde semplicemente al peso che già hanno sul groppone?

Nonostante queste sparate ad effetto (comico), leggendo il testo di questo amico dei leghisti razzisti e di un tale più volte “prescritto”, si incontrano ogni tanto frasi imprevedibili che fanno sospettare di aver sbagliato libro, perché quasi poetiche. Questa va citata:
“La nuova polis dei cittadini nazionali dovrà aprirsi alla cosmopolis degli uomini, per giungere alla necessaria costruzione dell’Unione europea. Dovrà essere il motivo per affermare una nuova identità in un nuovo grande luogo della politica. E dell’anima” (p.132). Di grande effetto il punto prima della congiunzione. Io mi fermerei qui.

Gaetano

P.S. Nota di servizio per Gianfranco e Marcello: l’anno prossimo, recensisco io il nuovo libro di de Magistris e voi vi ciucciate il prossimo libro di Fini!

Per scriverci

Inviare eventuali commenti o contributi (senza allegati) scrivendo a:
many.bloggers@gmail.com

Note legali

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge 62 del 7/3/2001.

Questo blog non effettua trattamento di dati personali ai sensi della legge 196/2003.

(Copyright) Tutti i contenuti delle pagine web di questa rivista telematica sono proprietà dei rispettivi autori. Ogni riproduzione, ri-pubblicazione, trasmissione, modificazione, distribuzione e download del materiale tratto da questo sito a fini commerciali deve essere preventivamente concordato con gli autori. E` consentito visionare, scaricare e stampare materiale da questo sito per uso personale, domestico e non commerciale.