Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

sabato 7 agosto 2010

Cultura mafiosa e cultura dell’indifferenza

In questo blog tocchiamo da varie angolature il rapporto fra persone e società e, in particolare, fra le persone in una società che non funziona come una comunità. Infatti, mentre la società in cui viviamo si limita a controllare degli individui e a regolare i rapporti fra loro, una società-comunità “tutelerebbe” le persone e i rapporti fra le persone. La società regola, amministra, gestisce individui considerati come oggetti, mentre una grande comunità potrebbe rispettare, proteggere e organizzare la vita delle persone [si vedano in particolare i post della sezione “Persona, comunità, società e politica”].
In questo blog abbiamo rinviato per molto tempo il problema costituito dalla mafia, o dalle mafie, cioè da quelle strane aberrazioni di comunità radicate nella nostra società. Tanto più radicate quanto più la società è distante da una realtà comunitaria. La mafia quindi va intesa come il peggio nel male “normale” di tipo sociale. Non abbiamo rinviato il tema per disinteresse. Di fatto, fra i siti amici abbiamo fin dai primi tempi quello di “Ammazzateci Tutti” sia per rinviare i nostri lettori ad un buon sito, sia per affermare da che parte stiamo. Eppure, non abbiamo scritto un solo post sulla mafia. Nemmeno questo è o pretende di essere un post sulla mafia, ma solo uno spunto di riflessione sui motivi per cui non ci occupiamo approfonditamente di questo specifico tema.
I motivi non sono tanti e si riducono ad uno solo: questo è un blog che tratta in modo specifico le intersezioni fra la dimensione personale e quella comunitaria o sociale. Non è un blog di psicologia o di spiritualità, ma nemmeno di economia o di sociologia o di politica. Nessun post, quindi sulla mafia come nessun post sulla disoccupazione o sul colpo di stato che in modo strisciante certe forze stanno cercando di attuare. Salvo poche eccezioni abbiamo evitato temi “particolari” o del momento perché ci occupiamo proprio in generale del rapporto fra l’interiorità e la socialità. Ovviamente molti problemi che trascuriamo ci interessano moltissimo, ma sono già trattati in altri siti o libri o associazioni.
Quindi anche in questo post non parleremo “di mafia”, così come in altri post non abbiamo parlato “di scuola” o “di sistema sanitario” o “della macchina della giustizia”, pur sfiorando tali temi per declinare in tali direzioni il nostro discorso più generale e per chiarire che in fondo ciò che sosteniamo ha ricadute notevoli sul piano della concretezza e della quotidianità. La costante dei nostri post è sempre il modo in cui le persone vengono aiutate oppure ostacolate nella loro possibilità di esprimersi compiutamente e il modo in cui vengono trattate: come oggetti o come soggetti.
Ora se con il termine “comunità” possiamo indicare la “società perfetta” a cui tendere (costituita, cioè, a tutela della persona, di tutte le persone), dobbiamo dire che la mafia non è semplicemente una “parte” della società, ma è una realtà che rappresenta in negativo l’ideale di comunità: è un “orrore comunitario” incistato nella società come un tumore. Mentre l’esercito, la scuola, la stampa costituiscono “settori costitutivi”, normali della società la mafia non ne è parte essenziale: ne è un prodotto patologico che si nutre proprio della negatività della società e che restituisce alla società (amplificati) gli stessi elementi di negatività. Ne è un prodotto non essenziale ma strettamente correlato. Infatti, il guaio della mafia, a parte gli atti materialmente criminali con cui si esprime, sta nel fatto che è una “grande famiglia” che sta nella società senza esserne parte integrante, pur producendo risultati che incidono pesantemente sul funzionamento della società. In quanto “grande famiglia” si basa sul riconoscimento reciproco fra soggetti, ma anche sull’esaltazione di dis-valori. La mafia è una cultura, un sistema di appartenenza, un sistema di lealtà che produce l’ignoranza, annulla le persone e porta alla negazione del valore personale di chi non ne fa parte e anche di chi ne fa parte. I dis-valori sono i legami di sangue, i legami di obbedienza, la subordinazione dell’etica alla sopravvivenza del gruppo e del suo potere.
Tutto ciò che rende sacra la persona (lo sviluppo delle sue potenzialità, l’espressione dei suoi sentimenti, la sua capacità di conoscere e di trasmettere un sapere, la sua dignità e il suo rispetto per le altre persone) è profanato nella cultura mafiosa. La persona conta per la sua appartenenza e non per come può svilupparsi in modo unico nel grande mondo. La persona conta per ciò che fa per il gruppo, non per ciò che fa di buono. La persona conta, in ultima analisi, come mezzo per l’accrescimento del potere del gruppo e non come fine.
La cultura mafiosa è una cultura della paura: la paura (costante) di non essere accettati dal gruppo perché è il gruppo che dà valore alla persona. In tale cultura non è la persona che arricchisce, con la sua unicità il gruppo. E il gruppo si definisce non per le persone che include, ma per l’uso che fa delle persone allo scopo di accrescere il potere del gruppo stesso. Il paragone con il tumore in un organismo altrimenti sano non è quindi un vezzo poetico, ma un’analogia abbastanza stretta.
La mafia calpesta la dignità della persona e afferma l’onore dell’appartenenza al gruppo. Ciò vale per i gregari come per i capi: tutti strangolati dalla paura di non valere nulla (per il gruppo). La mafia divora la religione e la trasforma in tradizione, divora i rapporti famigliari e li trasforma in appartenenza “di sangue”, divora la lealtà che contrassegna l’amicizia e la trasforma nella fedeltà ad una struttura gerarchica. E’ solo la paura a tenere unita a livello emotivo e culturale la comunità mafiosa e a sostenere la vitalità della comunità stessa. Ma di quale vitalità si tratta? Per quale scopo la comunità si consolida, si espande, fa correre dei rischi e commette dei crimini? Semplicemente il potere. Più potere, più denaro, ancor più potere e maggiore espansione. Allo scopo di produrre più denaro (preso dalla società “esterna”, quella degli “altri”) e allo scopo di sviluppare più potere. Come un tumore che non ha altro scopo se non quello di espandersi. La mafia è una cultura (nel senso di “tradizione”) che non produce cultura (nel senso di conoscenza), è una cosa vitale che produce morti, è una realtà ricca che produce miseria.
La mafia come realtà culturale ed emozionale ci interessa perché costituisce la versione peggiore della paura e dell’idolatria del potere. Chiunque ha paura e cerca il potere è potenzialmente mafioso. Può essere sedotto, ricattato, comprato e a volte persino “accolto”. Noi non viviamo in una società mafiosa in senso stretto, ma in una società compatibile con la mafia, nel senso che essa non ha gli anticorpi giusti. Per averli dovrebbe superare la propria cultura dell’indifferenza, o la “cultura del nulla” che costituiscono il terreno “debole” sul quale i disvalori mafosi possono radicarsi e prosperare.
Chi ha un forte senso della dignità della propria persona e della dignità delle altre persone, chi cerca di vivere una buona vita e chi non dà importanza al potere, può solo essere estraneo alla mafia o nemico della mafia. Da estranei-nemici possiamo dire che in qualche modo ci siamo sempre occupati di mafia scrivendo i nostri post sul rispetto dei bambini, sui problemi degli adolescenti, sulla personalità autoritaria, sui pregiudizi, sul bisogno di appartenenza, sulla necessità di vivere da persone fra persone in una comunità.
Ciò che ci fa davvero paura, non è la mafia, anche se speriamo vivamente che la polizia, la magistratura e la politica operino coerentemente contro la mafia a livello nazionale ed internazionale. Ciò che ci fa davvero paura è una società di individui che stenta a diventare comunità di persone. Tale società è fragile, ha valori deboli, ha scopi sbiaditi, esprime sentimenti fiacchi e produce politici inconsistenti. Questa normale società basata sullo sfruttamento, sulla follia e sulla stupidità costituisce il terreno sul qualei possono svilupparsi le mostruosità della mafia.
Solo per questo motivo (e per via delle nostre conoscenze e competenze più specifiche) preferiamo occuparci del grigiore quotidiano, della normale insensibilità e dell’ordinaria follia, sperando sia di centrare il bersaglio, sia di colpire, di sponda, la stessa cultura mafiosa.

Alba
Elio
Elisa
Gaetano
Gianfranco
Giorgia
Marcello
Silvia

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