Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

domenica 9 maggio 2010

Alfabetizzazione intellettuale




Fa un po' strano parlare di alfabetizzazione intellettuale in una società che insegna già a leggere e scrivere, trasmette insegnamenti scolastici di base e ha una cultura accademica estremamente raffinata e diffusa. Eppure, nell'attuale ordinamento la scuola ha l'obiettivo di trasmettere contenuti e non di insegnare a pensare. Tale prospettiva produce effetti disastrosi: poiché i contenuti culturali sono una merce deperibile, nel senso che i contenuti appresi vengono in buona parte scordati, le persone che terminano gli studi con la scuola dell'obbligo o con il diploma, diventano adulti ignoranti, privi di interessi, non inclini a porsi problemi, a leggere e a studiare. Se la scuola trasmettesse anche qualche contenuto in meno, ma allenasse i ragazzi a ragionare, li abituasse ad esaminare i problemi da varie angolature, piantasse i semi di una sfrenata curiosità e spiegasse i pericoli di un passivo assorbimento della cultura di massa, produrrebbe una generazione di adulti i quali, anche senza una formazione universitaria, sarebbero mentalmente aperti, capaci di ragionare e non disponibili a farsi raccontare "la verità" da chi controlla i mezzi di comunicazione.



Infatti, la rete non basta. E' vero che la rete è una grande risorsa per chi cerca informazioni non di regime, per chi vuole approfondire questioni di tutti i tipi. Verissimo. Una rivista come il nostro blog, venduta in edicola non avrebbe praticamente lettori. Nella rete invece ha una nicchia di ascolto: ha raggiunto migliaia di lettori e ha centinaia di lettori affezionati. Il tutto a costo zero e senza aver ottenuto il placet da alcuna autorità condizionante. Tuttavia il blog viene trovato da chi cerca qualcosa, non da chi si limita a scaricare musica o a fare zapping su YouTube.



La maggior risorsa della cultura non è l'insieme delle nozioni apprese, ma la propensione a formulare domande e a cercare risposte. Insegnare mille nozioni ad un ragazzo equivale a formare un adulto che conoscerà cinquecento nozioni e ne apprenderà una in più ogni mese. Insegnare a pensare ad un ragazzo a cui si insegnano solo cinquecento nozioni equivale a formare un adulto che, per tutta la vita, ogni mese imparerà cinquanta nozioni nuove, "le metterà anche in ordine" e soprattutto le utilizzerà. A quarant'anni il primo ragazzo sarà un rottame, mentre il secondo, anche senza aver proseguito gli studi all'università sarà una persona riflessiva, abituata a cercare spiegazioni e quindi in possesso di una cultura in costante accrescimento.



Per "cultura" intendiamo un insieme di contenuti "sostenuti" dalla riflessione critica. In assenza di questa "base" la cultura può raccogliere sia giudizi, sia pregiudizi, sia espressioni dell'intelligenza, sia espressioni della paura di conoscere.



La cultura è e deve restare variegata e solo le società autoritarie stabiliscono una linea di confine fra "contenuti accettabili" e "contenuti inaccettabili". Noi riteniamo che una valida trasmissione della cultura ai bambini ed agli adolescenti non debba "prepararli ad accettare alcuni particolari contenuti": questa impresa è già stata tentata da Hitler e da Stalin e i risultati non sono stati esaltanti. Ciò che vogliamo invece suggerire è che la formazione di base, quella cioè della scuola dell'obbligo non miri a far assimilare la parte più semplice della cultura generale, ma miri piuttosto a far assimilare poche cose favorendo in misura significativa lo sviluppo della curiosità e dell'esame critico di qualsiasi contenuto culturale. Alle scuole elementari non si possono toccare temi in modo "critico", ma si possono spiegare alcune cose chiarendo che su certe questioni esistono varie idee, che società diverse hanno usanze diverse, e così via. Alle scuole medie si possono favorire ricerche individuali o di gruppo su realtà e costumi diversi ed alle scuole superiori si possono approfondire dei contenuti intellettuali in una prospettiva non "provinciale": non si capisce perché gli adolescenti debbano conoscere almeno il nome di tutti i principali poeti italiani e non debbano sapere nulla dei Veda o del Tai Chi Chuan o del buddhismo.



La maggior parte di ciò che si impara nella scuola dell'obbligo viene scordato. Gaetano ricorda che alle elementari la maestra gli faceva raccogliere le foglie degli alberi in un quaderno con il loro nome. Le foglie si seccavano, ma i nomi restavano nella pagina. Oggi però non sa distinguere le foglie di un platano da quelle di un ippocastano perché, da bravo animale urbano, non conosce bene neppure gli alberi. L'uccisione di Cesare gli è invece rimasta in mente perché essa è rientrata negli studi di storia all'Università. Se non avesse proseguito gli studi forse confonderebbe Cesare con Alessandro Magno. Gianfranco conosce di più gli alberi, ma ha delle gravi lacune in geografia: non conosce molte città di paesi in cui non è andato e che non sono menzionati nella cronaca politica. Elisa è brava con le piante e con la geografia, ma ha dei "buchi" nelle scienze naturali. Tutti abbiamo scordato le cose della scuola che non abbiamo "ripreso" nei nostri studi successivi. La cosa importante che però ci accomuna non riguarda le cose che conosciamo, ma le cose che continuiamo ad imparare ed il modo in cui ragioniamo su tali cose.



Con questo non vogliamo dire che non sia importante fornire nella scuola dell'obbligo i rudimenti della cultura generale, dato che qualcosa resterà comunque, ma vogliamo sottolineare che ciò che la scuola insegna è un preciso rapporto con la cultura. La cultura "astratta" che "piove sulla testa" dei bambini e dei ragazzini viene normalmente concepita come qualcosa di assolutamente "estraneo" alla vita reale. Un professore di Gaetano ripeteva sempre "cercate di non diventare degli ignoranti che sanno delle cose" e Gaetano è ancora grato a questo omino asciutto con gli occhi vispi. Gaetano dice che quel professore faceva "Aikido culturale": sfruttava le passioni dei ragazzi per trovare un punto di contatto con loro e poi li faceva "cadere" su domande intelligenti per le quali dovevano trovare risposte in biblioteca. C'era un ragazzo interessato solo al calcio. Gli disse "come fai a non interessarti all'Inghilterra? da quel che so ha partorito questo sport!" Dopo due settimane quel ragazzino dimostrò al professore che la storia del calcio era più complessa e riportò dati interessanti relativi al medioevo ed anche alla Cina. Il professore aprì una discussione sui motivi per cui valeva la pena gareggiare negli sport e vennero fuori contributi interessanti anche da parte di studentesse del tutto disinteressate al calcio.



Avendo insegnato alle Scuole Medie e nei Licei sappiamo bene quanto siano diversi i preadolescenti dagli adolescenti, ma in comune hanno una grande voglia di sbattere il naso nella realtà e basta poco per mostrare a loro che la cultura non è un lusso, ma un "arnese" necessario per affrontare la vita. Nella scuola di oggi, le persone che terminano gli studi con la scuola dell'obbligo ed anche quelli che li terminano dopo il diploma non sospettano minimamente che ci siano strati e strati di cultura (magari di pessima cultura) in ogni spot pubblicitario, in ogni telegiornale e in ogni film. Credono ingenuamente che la cultura sia fatta di scienze astruse, poesie scritte da persone geniali e di "cose vecchie". Credono per questo che la vita reale cominci nel presente e si bevono tutto come se "non fosse cultura" e come se non fosse una cultura particolarissima, opinabile, discutibile, che sarebbe da confrontare con i fatti e da sottoporre al vaglio della ragione.



La cultura di massa è dovuta a due influenze principali: la famiglia d'origine e l'ambiente sociale (televisione, informazione, moda, relazioni sociali, riviste di larga diffusione). La scuola non incide perché chi "subisce" uno spot pubblicitario lo confronta con i pregiudizi famigliari e con le "novità" dell'ultimo reality o con la predica del parroco o con le chiacchiere fatte in discoteca. Questa "persona media" non confronta certamente lo spot con la propria cultura, se non ha un propria visione della realtà e se non è quindi capace di dare un ruolo preciso ai contenuti di qualsiasi spot.



Questo dovrebbe far riflettere: se viviamo in un mondo di persone che digeriscono qualsiasi sciocchezza "venduta bene", ciò non dipende dalla natura umana, ma in buona parte, dal modo in cui la scuola continua a "vendere male" la cultura. Svende residui predigeriti di cultura e crea cittadini disarmati di fronte alla cultura di massa che non ha spessore, ma "ha marketing" e riesce ad insinuarsi nella vita e a devastare vite. Vite vissute male perché "non pensate" e non capite.



Non ci vuole molto, mentre si insegna la lingua italiana o la storia o la geografia ad insegnare anche "cosa si nasconde" tra i "fatti riportati": la limitatezza o la parzialità del resoconto stesso, l'interpretazione della società implicata e il collegamento (in genere celato) con altri fatti. Basta invitare i ragazzi a confrontare due resoconti della stessa vicenda (uno distaccato e inevitabilmente superficiale e uno "militante" ed inevitabilmente di parte) per scatenare la loro curiosità (e per non aver più il "problema della disciplina").



Consideriamo la grammatica. Essa va insegnata bene. Anche meglio di oggi. Ma può essere insegnata in vari modi. Può essere "insegnata e basta" o insegnata nella sua funzione basilare: rendere i discorsi scorrevoli e non equivoci. Un testo sgrammaticato, infatti non è semplicemente "errato" ma costringe il lettore a tornare su righe già lette per "capire il significato". Un testo ben costruito è un dono fatto a chi lo legge e un testo pieno di errori è un insulto a chi lo legge. Si può insegnare grammatica e far fare dei temi per controllare l'apprendimento, ma si può anche invitare i ragazzi a scrivere per gli altri. Nel classico "tema" scrivono per il professore, per farsi dare il voto". Se invece scrivono per i loro compagni (collaborando ad un "giornalino" o facendo una ricerca da presentare alla classe) sono sollecitati a "farsi capire" e devono "confrontarsi" con gli altri.




Crediamo, in altre parole, che la scuola debba insegnare ad imparare oltre che insegnare alcune cose. Qualcosa dovrà insegnare, ovviamente. Tuttavia, nei limiti consentiti dal tempo disponibile e dalle capacità dei bambini e dei ragazzi, la scuola dovrebbe cercare soprattutto di rendere gli allievi curiosi e capaci di discutere le convinzioni espresse da un giornale, da un film o da una canzone.



Se la scuola insegna nei dettagli la storia di Gesù (o di Maometto) facilita lo sviluppo di un bigottismo cristiano (o islamico). Infatti, mentre insegna quella storia (tacendo le altre), insegna implicitamente che quella storia definisce la cultura "ufficiale" e che le altre tradizioni religiose sono, appunto "altre". La scuola quindi insegna molto per implicazione e non solo per esplicita trasmissione di contenuti. Implicitamente definisce la "normalità culturale" ed anche un certo etnocentrismo quando "sposa" determinati contenuti: perché dobbiamo conoscere i dettagli della storia della chiesa e non dobbiamo conoscere nulla dell'islam? o dello scintoismo? o dell'induismo? Di quelle religioni si sente qualcosa dai telegiornali, ma prima che arrivi la notizia specifica, la scuola ha già stabilito che certe convinzioni sono "altre" rispetto alla "nostra". Le convinzioni sono ragionevoli o irrazionali, chiare o confuse e non sono valide per il fatto di essere "di qualcuno". In questo modo la scuola favorisce un senso di appartenenza che è in fondo "provinciale". Se, invece, insegnasse ad imparare, a produrre domande, a valutare criticamente le risposte, ad esaminare le diverse posizioni possibili in merito a qualsiasi questione, non favorirebbe l'identificazione con le tradizioni "locali", ma favorirebbe un altro tipo di "appartenenza": l'appartenenza alla comunità degli uomini che usano le loro capacità umane (trans-nazionali e trans-culturali).



I programmi scolastici non dovrebbero includere principalmente le nozioni da insegnare ma gli obiettivi da raggiungere. Dovrebbero includere anche il minimo comun denominatore nozionistico di ogni possibile esperienza educativa nella scuola dell'obbligo e nelle scuole superiori, ma dovrebbero soprattutto vincolare gli insegnanti a certi obiettivi generali. I modi di sollecitare l'apertura mentale e la passione per la conoscenza sono infiniti e non andrebbero codificati proprio perché dovrebbero costituire il nucleo della responsabilità didattica e della libertà di insegnamento.



Quando si parla di riforma della scuola, si parla normalmente di banalità. Banalità governative distruttive (i tagli agli stanziamenti, il grembiule, ecc.) e anche banalità sindacali (difesa dei posti di lavoro degli insegnanti ecc.). Fanno capolino qua e là riflessioni più o meno sensate sull'articolazione dei vari indirizzi di studi dopo la scuola dell’obbligo o sul rapporto fra formazione e mercato del lavoro. Poca roba, comunque. Eppure la scuola è un aspetto della società importantissimo, un punto nevralgico in cui possono essere valorizzate o bloccate le potenzialità umane oltre che intellettuali della nuova generazione.



Qualcosa andrebbe anche detto a proposito dei "contenuti minimi" che la scuola trasmette. E’ mai possibile che la cultura “media” implichi qualche nozione dell’amato Pascoli (e dell’odiato Carducci) e non implichi alcuna conoscenza dell’importanza dell’allattamento dei neonati? O del fatto che il coito interrotto è un metodo “concezionale” (anziché “anticoncezionale”). Teoricamente un diplomato conosce la capitale di un paese in cui non andrà mai, ma non sa definire un pregiudizio e non ha la più vaga idea dei motivi per cui tante persone abbiano dei pregiudizi. Di fatto, chiunque conosce il mito di Adamo ed Eva e un diplomato "medio" ha imparato il nome di molti papi, ma non sa da quando la chiesa ha decretato la propria infallibilità, né se il Sillabo sia ancora parte integrante della dogmatica cattolica. Sa che gli Orazi e dei Curiazi erano litigiosi e violenti, ma non sa dare una definizione esatta di inflazione né sa distinguere fra psichiatria e psicologia o fra antropologia culturale e sociologia o fra zoologia ed etologia. Si dirà: "la scuola dell'obbligo non può insegnare tutte queste cose, e nemmeno le scuole superiori possono svolgere questo compito". Verissimo. Proprio per questo la scuola ha l'obbligo di favorire almeno la curiosità per questi argomenti e di rendere possibili delle buone letture negli anni successivi.


Elisa, Gaetano e Gianfranco









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