Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

sabato 15 maggio 2010

Alfabetizzazione emozionale (prima parte)

Questo è il primo di una serie di post che ho denominato "alfabetizzazione emozionale", perché mi propongo di trattare alcuni concetti davvero elementari che però sono normalmente fraintesi. Tali fraintendimenti incidono negativamente sulla comunicazione e le distorsioni comunicative alimentano in un circolo vizioso spirali di fraintendimenti. Gli equivoci che normalmente caratterizzano i discorsi sulle emozioni non dipendono solo da usi impropri dei termini, ma da una limitazione o deformazione basilare della vita emotiva che ha radici nell'infanzia normale di bambini normalmente maltrattati.

I bambini, per non sentirsi soli (come in effetti sono, vivendo fra adulti "nervosi", "insoddisfatti", "distratti", litigiosi, pretenziosi e comunque poco sensibili) cercano di sentire poco il loro dolore: non potendo "elaborare il dolore" ne bloccano la percezione, diventando a loro volta poco sensibili e preparandosi a diventare adulti "normali" e normalmente propensi a massacrare i loro figli.

In questa miseria emozionale fioriscono idee di tutti i tipi sulla "dimensione emotiva". Le idee superficiali, confuse, errate o sciocche sull'emotività circolano quindi liberamente nelle canzoni popolari e nei trattati, vengono utilizzate per le chiacchiere e arricchiscono le riflessioni pedagogiche e filosofiche. Vengono espresse in interviste radiofoniche o in romanzi molto "toccanti" o in poesie "tanto profonde". La cultura di massa, quindi, non solo produce e fa assorbire idiozie sulla politica e sull'economia, ma anche sulla "soggettività". Il circolo quindi si chiude: sia a livello interpersonale, sia a livello sociale si emettono e si ricevono idee assurde che però sembrano sensate, dato che le persone, sentendo poco, possono recepire qualsiasi sciocchezza come una "valida spiegazione" di ciò che sentono.

Con i testi scritti ovviamente si può incidere ben poco sul sentire dei lettori: mi propongo quindi semplicemente di evidenziare (ricorrendo al buon senso) alcune cose normalmente fraintese. Cercherò in un linguaggio elementare di fare ragionamenti stringenti in modo da favorire almeno una messa in discussione di alcuni luoghi comuni del normale chiacchiericcio sulle emozioni. Capire che le cose non possono stare come in un mondo normalmente folle è ritenuto ovvio, non può rivoluzionare la realtà, ma può almeno dare una direzione costruttiva ad alcuni pensieri.

Per questo ho scelto come titolo l'espressione "alfabetizzazione emozionale": la cultura di massa è così lontana dalla realtà della vita emotiva delle persone che la prima cosa da fare è proprio la presentazione delle basi di un discorso coerente ed aderente ai fatti.

Dedicherò alcuni post alle quattro emozioni fondamentali (la tristezza, la rabbia, la paura e la gioia), alla felicità (un'emozione "particolare"), ai desideri, ai bisogni ed all'amore, nella speranza di sfoltire un po' la selva di castronerie in circolazione su tali argomenti. In questo post introduttivo voglio solo togliermi due sassolini dalle scarpe, per poter passeggiare più comodamente nel sentiero dei post successivi.

Il primo sassolino riguarda la (presunta) opposizione, nelle persone, fra il sentire ed il capire o fra l'emotività e la razionalità. Questa opposizione è un mito che serve semplicemente a giustificare dei comportamenti irrazionali la cui effettiva comprensione è "scomoda".

Quando si dice "ho agito di impulso e gli ho dato un ceffone" si implica che si è agito senza ragionare. E come mai in quel caso non si è agito "impulsivamente" mettendo le dita nel naso o leccando il pavimento? Come mai, "impulsivamente" si è dato un ceffone proprio ad una persona che aveva detto cose sgradevoli? Ovviamente si è agito sulla base di ragionamenti molto veloci, ma esistenti. La nostra emotività non fluisce senza il ragionamento. Se non comprendiamo una lingua e una persona, sorridendo, ci offende, noi rispondiamo in modo compiacente al sorriso, cioè all'unica cosa che abbiamo creduto di capire. Se non capiamo l'offesa non possiamo sentirci offesi.

Non esistono persone "razionali" che capiscono tutto e sentono poco: se sono "fredde", in realtà controllano la risposta emotiva relativa a ciò che capiscono, ma proprio il "freddo controllo dell'emotività" implica un'emotività preesistente. Non esistono nemmeno persone che sentono e non capiscono. Infatti, non possiamo sentire ansia senza aver pensato (magari in modo vago) ad un pericolo, non possiamo sentire gioia o dolore senza aver compreso se un nostro desiderio è stato soddiftatto o frustrato e non possiamo senttire rabbia senza aver compreso che siamo stati trattati male.

Allora perché è così comune l'idea che ci siano persone "razionali e non emotive" (o poco emotive) e persone "emotive e poco razionali"? Queste due sciocchezze sono semplicemente degli alibi volti a "giustificare" la freddezza o a "giustificare" l'impulsività. Gli atteggiamenti distaccati e quelli inopportunamente emotivi sono molto sgradevoli e spesso cerchiamo di giustificarli negli altri con una favola (del tipo "lui/lei è fatto/fatta così") piuttosto che ammettere che in certi momenti qualcuno ha deciso di trattarci male. Allo stesso modo "giustifichiamo noi stessi per analoghi comportamenti inopportuni. L'idea che qualcuno "non riesca" ad esprimersi o "non riesca" a controllarsi è deresponsabilizzante e consente di non sentire che le cose stanno andando male in una relazione umana.

E qui veniamo al secondo grande mito sulle emozioni, ovvero quello secondo cui le emozioni "capitano" e quindi non sono "processi intenzionali". Le emozioni sono azioni. Microazioni interne o anche azioni espresse, ma sempre azioni: le azioni con cui rispondiamo ad una situazione che è in qualche modo piacevole o spiacevole. Se "capitassero" a causa di qualche mistero chimico della mente sarebbero del tutto casuali, mentre non lo sono. Se capitassero a causa di ciò che è accaduto determinerebbero la stessa risposta in tutte le persone e invece ognuno reagisce a modo suo alla stessa frustrazione. Di fronte ad un rifiuto le risposte non sono casuali, ma sempre pertinenti, eppure cambiano da persona a persona. Chi fa spallucce e chi si infuria, chi si mette a piangere e chi frigna, chi finge di non sentire e chi drammatizza. Consapevolmente o inconsapevolmente, rapidamente o dopo una pausa, le persone "decidono cosa possono permettersi di sentire" e "decidono cosa mostrare agli altri". E in genere decidono cosa sentire e cosa mostrare sulla base di una "decisione più profonda" che è radicata nella loro personalità da moltissimo tempo. Per questo motivo le emozioni possono essere comprese solo alla luce del carattere o della personalità che una persona ha strutturato nel tempo.

Le persone più libere interiormente sentono ed esprimono emozioni comprensibili perché rispettose dei loro desideri e della realtà: ad esempio gioiscono per un regalo, si rattristano per una delusione, si arrabbiano per una aggressione, sentono ansia per un pericolo. Se è opportuno, mostrano apertamente le loro emozioni, altrimenti se le tengono per sé.

Le persone "contorte", "complicate", "corazzate" invece sentono abitualmente cose strane e mostrano risposte emotive poco ragionevoli alle varie situazioni. Ciò ha senso nel quadro del loro complessivo adattamento alla realtà (è il caso di persone "ambiziose", "timide", "insicure", "astiose", "pacioccone", "indecise", "possessive", "pretenziose", "egocentriche", "inconcludenti", "ostinate", "autoritarie", "vittimiste", "permalose", oppositive, ecc.). Le loro emozioni non sono "causate" da qualcosa, ma sono una loro risposta irrazionale e distruttiva a ciò che è accaduto, mediata da un atteggiamento generale già assunto una volta per tutte (fin dall'infanzia) nei confronti della vita.

Ciò ha una conseguenza importante: ciò che sentiamo ha sempre a che fare con il modo in cui gli altri (e la realtà in generale) rispondono alle nostre esigenze, ma riflette anche la nostra disponibilità o indisponibilità a sentire. Se nel nostro progetto di vita abbiamo deciso di sentire poco per paura di non reggere dei dispiaceri troppo profondi, limiteremo o distorceremo sempre (e in certi modi) le nostre risposte emotive autentiche e anche le manifestazioni di tali emozioni. Non a caso, spesso non si sente né si manifesta dolore nelle situazioni dolorose, ma si sente e si manifesta "pattume emozionale" (rabbia ingiustificata, depressione, panico, incredulità, ecc.).

Purtroppo, siamo talmente abituati a veder circolare spazzatura emotiva che riteniamo spesso che le sfumature emotive della vita "umana" siano proprio quelle che caratterizzano tale "roba". Solo per questo, in genere, vengono considerate "normali" delle manifestazioni dell'amore che in realtà sono comportamenti appiccicosi o possessivi; solo per questo si considerano normali delle reazioni rabbiose del tutto inconcludenti e anzi dannose; solo per questo si considera "normale" stare in ansia per sciocchezze o addirittura pensare che una seria riflessione sulla condizione umana comporti una certa "angoscia esistenziale".

In una società migliore le nozioni basilari relative alla dimensione emozionale "si respirerebbero" nelle normali relazioni interpersonali e sociali. In una società come la nostra, invece, queste cose andrebbero insegnate a scuola, ma purtroppo tale eventualità non è nemmeno proponibile. E allora, che si può fare? Ben poco, cioè ciò che già comunque viene fatto: ognuno vive come può, pensa e sente come può e trasmette agli altri ciò che può. Questi post saranno solo un contributo che ognuno valuterà a modo suo: perle di saggezza o perle di follia.

Gianfranco

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