Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

giovedì 14 gennaio 2010

Storie d’amore al cinema

Il mio rapporto burrascoso con i “film d’amore” è iniziato nel 1965. Ero ancora una bimba quando vidi al cinema, in prima visione, Tutti insieme appassionatamente (di Robert Wise). Ero andata con i miei genitori e per tutto il film confrontai mia madre con Julie Andrews (o almeno con il suo personaggio) e quest'ultima ad ogni confronto veniva "bocciata". Pur volendo partecipare alla vicenda rappresentata, in quella donna non trovavo nulla di appassionante e quindi restavo distante. Il film era, trascinante per via della situazione narrata (tutti quei poveri orfani di madre con un padre glaciale e la governante che porta un raggio di luce nel cuore di tutti), ma non mi piaceva proprio. Non mi piaceva quella donna sempre intenta a sorridere e cantare. E non mi piaceva nemmeno nei panni dell’innamorata sorridente e canterina. Bisbigliai a mia madre che il film mi sembrava noioso e mi sentii raggiante appena mi rispose che era “una barba”, ma ormai era finito e poi saremo andati a mangiare un gelato in piazza. Credo che nel tragitto fra il cinema e la gelateria macinai la mia prima lezione di educazione sessuale: se l’amore è noioso non è un vero amore.

1.Polpettoni
Il concetto di amore non è facilmente definibile. Passando in rassegna l’amore “platonico” l’amore “cortese”, l’amore “libero” e altre migliaia di etichette, possiamo parlare d’amore come ci pare. Tuttavia, se stiamo ad un livello di minimo buon senso, troviamo fondamentalmente due idee di amore: una sganciata dal sesso (l’amore per il prossimo, per i figli, per il gatto, ecc.) e una legata al sesso. Però quando si parla di un desiderio anche pazzesco per intensità, ma senza l’idea di stabilire, mantenere e far crescere un rapporto, non si dovrebbe parlare di “amore”, per evitare confusioni. Tuttavia, la storia del cinema è piena di film che raccontano storie d’amore tanto confuse da essere comiche. In questi casi, si parla di “polpettoni”.

Hanno anche fatto epoca storie d’amore assurde, ma inserite in vicende più ampie di confusa ribellione adolescenziale o di disagio giovanile, narrate anche bene da bravi registi (ad esempio Gioventù bruciata di Nicholas Ray, e Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard,), ma in questi casi, le vicende sentimentali sono subordinate a conflittualità più ampie.
Mi risparmio e vi risparmio un elenco di “polpettoni”; accennerò solo a due film noti a tutti e anche ben costruiti, ma decisamente pasticciati sul piano dei contenuti.

Casablanca (di Michael Curtiz), del 1942 è un film che si può ricondurre a tre aspetti: a) il nazismo fa schifo e giustamente alcuni fuggono dalla Francia occupata e altri combattono i nazisti, b) un pianista di colore è simpatico e molto amico del proprietario di un bar (Humphrey Bogart), c) certi mariti riescono a non capire niente delle loro donne e nel film il marito dell’attrice principale (Ingrid Bergman) è eccezionale nel non capire nulla. Tuttavia, pur sviluppando in modo convincente questi tre temi, il regista mette al centro una storia “d’amore” caratterizzata da cose strane come le seguenti: a) per amore lei decide della vita di lui (e poi alla fine lui le ricambia la cortesia) senza nemmeno dare qualche informazione o discutere la cosa, b) entrambi, sentendosi molto coinvolti, oltre a prendere decisioni eroiche, mostrano con le parole e con i gesti il contrario di ciò che sentono, c) oltre a proteggersi reciprocamente, i due amanti hanno il chiodo fisso di proteggere il marito di lei. La musica è gradevole e almeno Bogart è affascinante, come sempre.

Ma c’è di peggio. Nel film I ponti di Madison County, Clint Eastwood riesce a costruire una storia semplicemente pazzesca e a farcela rivedere, dopo la morte della protagonista, con gli occhi dei figli (cresciuti), come una storia splendida. Lei (Meryl Streep) è una casalinga frustrata con un marito attraente come una stufa spenta. Lui (Clint Eastwood) è un giornalista che farebbe innamorare qualsiasi donna sana di mente. Si incontrano e si amano. Poi lei decide di coltivare quell’amore interrompendolo, per fare in modo che resti perfetto e non si sciupi. Poi torna alla sua vita. Con questa mossa, regala al marito una compagnia “elargita pietosamente” e all’amante una dedizione totale e totalmente frustrante. La cosa peggiore sta nel fatto che il marito accetta l’elemosina, l’amante si accontenta di quel “grande amore di pochi giorni” e i figli riflettono sulla saggezza della madre, rimpiangendo di non aver ricevuto da lei, quando era ancora in vita, adeguati insegnamenti.


2.L’amore che non si capisce
Accenno velocemente ai film "sentimentali" in cui il problema non è il lieto fine (cosa che per alcuni è necessariamente segno di superficialità) o il fine tragico (cosa che per altri è sempre e comunque inaccettabile), ma il fatto che non si capisce perché x e y si innamorino. Si capisce solo che si amano moltissimo e questo deve bastare.
Questi film, a mio avviso sono peggiori (e più diseducativi, per i giovani) dei film sugli "amori contorti" in cui, un personaggio solare si innamora di un personaggio assurdo, ma almeno i due sono caratterizzati in qualche modo. Questi "filmacci" consentono almeno qualche riflessione su “cosa non fare nella vita”. In questi film su "amori incomprensibili", invece non c’è spazio per alcuna riflessione, perché non c’è niente su cui riflettere: lui è bellissimo, lei è bellissima e “ovviamente si innamorano”.
Evito le citazioni. Valgano a questo proposito i film che commenterò nel quarto paragrafo, che, oltre a questo “difettuccio”, esasperano anche il “pathos del salvataggio” nella relazione.

3. “Amori” contorti
In certi film ufficialmente “colti”, il regista si diverte a fotografare contraddizioni, incomunicabilità e attaccamenti morbosi. I personaggi “si confrontano” (e non ci cavano niente), si confidano con amiche e amici (e non ci cavano niente), si spremono il cervello (e non ci cavano niente). Questi film presuppongono (erroneamente) che la gente abbia bisogno di sapere che tante persone hanno dei casini incomprensibili. Questi film sembrano “sviscerare” i problemi, ma in questa logica al liceo si dovrebbe dare un voto altissimo ad un ragazzo che in un compito in classe di matematica guarda per due ore un’equazione senza risolverla. Il cinema italiano abbonda di queste narrazioni “profonde”. Gli americani sono più consumisti e preferiscono i polpettoni, però Woody Allen e altri hanno dato il loro contributo alla causa.

Se un regista affronta in un film il tema di un amore contorto, ha il dovere di fornire qualche chiave di lettura e se ci riesce fa un buon lavoro. In questa categoria, che potremmo definire "intimistico-didattica", può rientrare un film bellissimo di Francois Truffaut: L'uomo che amava le donne. Oltre ad essere delizioso, il film ci fa capire la sofferenza negata da un tipico “cacciatore di donne” che manifesta la sua “malattia” all’ennesima potenza, ma con un garbo irresistibile.
Può rientrare nella categoria dei film in cui i “casini psicologici” alla fine sono compresi, anche un film di tutt’altro genere, esilarante e persino dotto nelle citazioni. Il film L’amore ha due facce, di Barbra Streisand, da lei stessa interpretato, smantella l’ideale di una amore “rassicurante” (quello noioso delle tipiche coppie “da TV”) che, stranamente, viene teorizzato da un docente universitario stanco del proprio dongiovannismo.

4.L’amore che salva dal baratro
In molti film ricorre un mito: l’amore (di una delle due persone coinvolte in una relazione) cambia radicalmente l’altra persona. E’ un mito perché l’amore non cambia nessuno, così come il denaro: se un coglione vince molti soldi, diventa semplicemente un coglione ricco. Se una persona superficiale o distruttiva viene amata, non sa che farsene dell’amore, dato che non lo aveva mai “praticato”. Le innamorate (o gli innamorati) trattate o trattati non bene, infatti, se sono davvero aperte (o aperti) ad una relazione profonda, se ne vanno. Provano a chiarire le cose, ma poi si arrendono. Di fatto, tante persone (che si credono innamorate mentre sono semplicemente incasinate) si aggrappano a partner che non si comportano in modi accettabili. Forse proprio questo costume radicato, giustifica il successo dei film (praticamente fantascientifici) in cui l’amore “cambia” una persona “piena di contraddizioni”.
Un elemento che caratterizza queste “favole” è in genere l’incomprensibilità degli innamoramenti, a cui ho già accennato. Sia il personaggio “generoso”, sia quello “salvato” non manifestano di essere una particolare persona, con una particolare sensibilità e quindi non permettono agli spettatori di capire né “chi sia” la persona innamorata, né per quale “persona reale” abbia perso la testa; a parte il loro ruolo attivo o passivo nel "salvataggio", hanno una identità indefinita.

Il film Pretty woman (di Garry Marshall) è un esempio da manuale. Lei è la tipica brava ragazza che nella realtà studierebbe e farebbe la barista o la baby-sitter, ma nel film fa la prostituta. Lui è il tipico uomo senza sentimenti che per fare affari scatenerebbe la terza guerra mondiale. Eppure, lei lo ama davvero, convinta (in base a cosa?) che sotto il ghiaccio del riccone palpiti il cuore di un bambino e lui viene “rapito” (come mai?) dalla ragazza. Se proprio vogliamo riconoscere un merito a questa favola, possiamo evidenziare la correzione in senso “paritario” della favola di Cenerentola. L’attrice lo dice espressamente: dopo essere stata salvata dal principe azzurro, a sua volta lo salverà. A parte questo tributo (modesto) all’emancipazione della donna, la storia non sta in piedi e si regge solo sul fascino di Richard Gere e Julia Roberts.
In un altro film dello stesso regista (Paura d’amare), Johnny (Al Pacino) libera Frankie (Michelle Pfeiffer) addirittura da un trauma non risolto: suo marito la picchiava e dopo la separazione lei ha nascosto agli altri la sua paura diventando acida. Lui continua, come una goccia cinese, a corteggiarla in un modo simpatico come se i maltrattamenti della bella Frankie non lo toccassero. L’amore (o meglio una determinazione tipo Medici senza frontiere) trionfa.

Altri film d’epoca o recenti giocano su questo tema (con sviluppi narrativi meno scontati nel caso di grandi registi), ma comunque non risultano convincenti. Nel famoso Io ti salverò (di Alfred Hitchcock, 1945) ), Ingrid Bergmann si innamora perdutamente di un Gregory Peck tanto bello da turbare anche una suora. Ma il personaggio è solo un bravo ragazzo, molto gentile e decisamente incasinato. Al ritmo di un film giallo incalzante si incrociano la soluzione di un dramma psichiatrico e di un dramma poliziesco. Ovviamente l’amore sconfigge la paura e anche l’inconscio.
Stessa storia in un altro classico di successo come L’uomo dal braccio d’oro (di Otto Preminger, 1955) in cui l’amore per la bellissima Kim Novak convince Frank Sinatra a liberarsi dell’eroina.
In American gigolo, di Paul Schrader, invece è lei che salva lui (Richard Gere), prostituto vanesio caduto in disgrazia nel suo ambiente e sull’orlo dell’ergastolo per un crimine non commesso. Lei, signora della buona società, lo salva con una falsa testimonianza perché si fida di lui. Entrambi tirano fuori il meglio di loro stessi, anche se non si capisce proprio come faccia la signora capricciosa a scoprire l’umanità che quel ragazzo copre con un’immagine insopportabile ed esibita con tanta cura.

Il successo di questi film (levigati secondo i dettami del marketing più sfrenato o decentemente costruiti da registi capaci), mostra quanto sia radicata la voglia di “vibrare” delle persone. E mette in evidenza che la relazione “amorosa” è l’ambito più gettonato per i sogni più improbabili.


5. Quando si cambia esprimendo i propri sentimenti
Di segno opposto e decisamente più plausibili sono le storie in cui non è l’essere amati che cambia le persone, ma in cui le persone sfidando le proprie paure riescono a fare dei cambiamenti significativi e anche ad innamorarsi.

Merita, come storia, al di là di varie concessioni ai canoni hollywoodiani della confezione, il film di Ron Howard (A Beautiful Mind) in cui “lui” decide di affrontare la propria follia per non perdere del tutto il contatto con la realtà. In questa realtà c’è anche la donna che ama. Lei lo ricambia, ma il film evidenzia la determinazione del personaggio a non soccombere alla follia. La storia, basata sulla biografia del matematico John Forbes Nash, è avvincente e Russel Crowe è impeccabile.

Nel film Viaggio in Inghilterra, di Richard Attenborough, invece, il personaggio principale è un docente universitario, che riesce a superare la sua timidezza e la monotonia della sua vita per lasciar spazio all’amore di una donna. I suoi modi impacciati rivelano che non è “travolto dalla magia della passione”, ma che è seriamente motivato a non rinunciare ad una persona che gli è divenuta molto cara.

Nel famoso Balla coi lupi di Kevin Costner, il personaggio principale, interpretato dal regista, cambia radicalmente il suo modo di fare e anche i suoi schemi mentali per amore. Non solo per amore di una donna, ma per amore della cultura degli indiani del vecchio West con cui è entrato in contatto. Nel film di Michael Mann, L’ultimo dei Mohicani, si verifica il cambiamento opposto: è la figlia viziata di un ufficiale inglese ad innamorarsi contemporaneamente di un uomo (adottato dalla tribù dei Mohicani) e della sua cultura percepita come più “autentica” di quella in cui era cresciuta e verso cui provava una confusa insofferenza.

6.Quando un amore è spezzato dalla morte
Il film Un uomo, una donna di Claude Lelouch, “ha fatto storia” nei sogni di tante ragazzine (della mia età). Rivedendolo più avanti negli anni non mi ha fatto lo stesso effetto, ma mi ha fatto riflettere su un tema che, ovviamente, si spera sempre di non dover affrontare di persona: la possibilità, per una donna di innamorarsi nuovamente, dopo la scomparsa di un partner che era stato un vero compagno di vita. Nel film più recente di Luis Mandoki (Le parole che non ti ho detto), gradevole per certi aspetti, ma costruito dal regista in versione insopportabilmente strappalacrime, è invece l’uomo ad avere la stessa difficoltà. Nel film Always, di Steven Spielberg, invece, l’uomo muore e si trova nella situazione difficilissima di diventare l’Angelo custode della sua ex compagna e … di vedere che lentamente lei sta superando il lutto e torna ad innamorarsi. Tre film di livello medio-mediocre, da un punto di vista cinematografico, ma che meritano di essere visti perché fanno riflettere sul tema della perdita e dell’attaccamento.
Amare qualcuno rende inevitabilmente molto difficile, dopo la morte di questa persona, fare un’altra esperienza sentimentale. Almeno se il rapporto è un po’ più serio di quelli in cui entrambi sono vivi e si tradiscono senza avvertire niente di strano. Tuttavia, l’amore per l’altra persona, che comporta un forte attaccamento, può forse lasciar spazio, nel tempo, ad un nuovo rapporto, dato che chi resta, deve anche accettare che sta continuando a vivere.
L’idea (narrata da Spielberg) di poter essere addirittura l’Angelo custode della propria amata e di accompagnarla nel suo nuovo rapporto di coppia, porta alle estreme conseguenze il lato altruistico del genuino sentimento d’amore.

7.Belle storie d’amore
Quelli che a me sembrano film d’amore sensati (o film centrati su altri temi, ma in cui ha spazio anche una relazione amorosa) sono quelli in cui ci si può “lasciare andare” senza sentire le stonature dovute a sentimentalismi gratuiti, contorcimenti cerebrali, virate narrative incomprensibili (finalizzate a rassicurare, illudere o far piangere gli “animi sensibili”). Meglio se il film è anche un film di qualità, ma anche se il film non è un capolavoro, mi ritengo soddisfatta da storie umane in cui le persone in questione sono raccontate come persone e in cui esprimono qualcosa di autentico, di non appiccicoso o gelidamente costruito.
Io “entro” facilmente nei film, anche se i personaggi sono diversi da me. Mi piace essere per un paio d’ore un’operaia, una riccona, una giornalista, un uomo d’affari, un poliziotto o una scrittrice. Non importa. Giro un po’ fra le vite altrui per fare esperienze o per il piacere di ritrovare esperienze già mie e comprese da chi ha scritto una sceneggiatura o ha interpretato o diretto un personaggio. Per questo mi disturbano i film poco “autentici”: mi danno la sensazione di infilare un piede in una scarpa e di sentire all’interno la punta di un chiodo.
Mi vanno bene anche le storie “difficili”, ma in cui almeno le difficoltà hanno un senso (ad esempio, c’è una forte attrazione, un buon sentimento, ma le due persone sono separate dalla guerra, da problemi di lavoro, ecc.).

Mi hanno appassionato moltissimo Acque del sud, (Howard Hawks), Reds (di Warren Beatty), I tre giorni del Condor e Havana (entrambi di Sydney Pollack), Chi protegge il testimone (Ridley Scott).

Il film di Mike Nichols, A proposito di Henry è una storia abbastanza improbabile, dato che un trauma cranico può trasformare una persona intelligente in un vegetale, ma difficilmente può trasformare un coglione arrogante e cattivo in una persona buona e sensibile. Tuttavia, è un film che mi piace da impazzire. L’aspetto “favola” riguarda infatti la fisiologia del cervello di Henry, mentre l’aspetto “amore” è reso con molta dolcezza. La "semplicità" imposta dalle consenguenze dell'incidente, permette al tizio insopportabile di recuperare un’autenticità mai espressa con la moglie e con la figlia. E permette alla moglie di ritrovarsi nella "realtà reale" che aveva sempre trascurato, annaspando nelle acque melmose di una vita da riccastra annoiata.

Il film di Sydney Pollack, La mia Africa, tratto da un libro di Karen Blixen, ha fatto incetta di Oscar, di incassi e anche di critiche. Tuttavia, ha il pregio, come storia d’amore (dato che non è solo, né, forse, principalmente questo) di delineare in modo complesso e credibile due personaggi “pieni”. Sul piano delle idee e dei sentimenti mi ritrovo più in lui (Robert Redford) che in lei (Meryl Streep), ma entrambi “esistono” davvero in quelle due ore abbondanti e si capisce sia perché si desiderino, sia perché non riescano a trovare una vera armonia. Lei è in fondo possessiva. Lui, forse, teme di coinvolgersi, ma di fatto si coinvolge. Si ferma solo quando sente che la sua compagna vuole trasformarlo in una parte del proprio mondo anziché amarlo per ciò che è.

Un asso piglia tutto? Non per la componente passionale (debole) ma per “i tanti amori” narrati (fra i due giovani, fra i due anziani e fra tutti i genitori e tutti i figli), il film di Stanley Kramer Indovina chi viene a cena, merita di essere ricordato. Annata 1967. Ha fatto riflettere e anche sorridere gli adulti e gli anziani di oggi, ma torna ad essere attuale in un’epoca in cui sembra che il razzismo non sia stato ancora sconfitto dal buon senso.

Silvia

P.S. Devo ringraziare Gaetano e Gianfranco perché mi hanno suggerito di rivedere (e anche di vedere per la prima volta) film che non avevo in mente e che in alcuni casi ho aggiunto al mio elenco di partenza.

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