Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

mercoledì 11 novembre 2009

Spiritualismo e pregiudizi


1. Le parole che confondono
Ciò che in genere si riscontra nelle conversazioni informali focalizzate sulla “spiritualità”, ed anche in molte riflessioni dotte, è la propensione a disattivare le funzioni logiche e quindi a manifestare pregiudizi. Non è un pregiudizio solo dire sciocchezze sugli “sporchi negracci”, ma anche dire sciocchezze sull’anima o sullo spirito.

Consideriamo queste espressioni
a) “Beppe è una persona molto spirituale”
b) “Nei percorsi educativi occorre favorire la formazione spirituale e non solo la preparazione culturale e l’equilibrio emotivo dei giovani”.

Queste frasi sono delle sciocchezze, indipendentemente dalle convinzioni che si possono legittimamente avere in merito all’esistenza dell’anima o di piani non materiali della realtà.
SE esiste in ogni persona uno spirito, Beppe è spirituale quanto un criminale, pur comportandosi in modi presumibilmente più conformi alla sua “essenza”. SE invece tale spirito non esiste, Beppe non fa nulla di spirituale, pur compiendo azioni più meritorie di quelle compiute da un criminale.
La seconda frase, anche se formulata con buone intenzioni (e, auspicabilmente, non solo allo scopo di tormentare bambini e ragazzi con norme e minacce) costituisce un’altra sciocchezza.
Di fatto, noi possiamo riconoscere i nostri sentimenti (nel senso che sappiamo bene quando siamo allegri e quando non lo siamo) e anche gli altri possono inferire (in qualche misura) dai nostri comportamenti cosa sentiamo. Tuttavia SE “la nostra anima” è all’opera mentre proviamo compassione, affetto, solidarietà, ecc. ciò che osserviamo (“guardandoci dentro”) o che lasciamo trapelare agli osservatori esterni è comunque un sentimento. Infatti, come potremmo distinguere una compassione “puramente emotiva” da una compassione spirituale? Quale aspetto specifico o “aggiunto” potremmo specificare per affermare l’intervento dello spirito oltre al semplice, umano sentimento di empatia, o vicinanza? Dato che ci esprimiamo comunque con il corpo, indipendentemente da ciò che possiamo ipotizzare sulle radici “ultime” del nostro agire, un ipotetico fattore spirituale non può essere osservato. Se si potesse osservare direttamente o inferire indirettamente, non ci sarebbero “punti di vista” opposti sull’argomento: gli idioti adotterebbero il punto di vista “sbagliato”, cioè negato dai fatti, e gli altri adotterebbero il punto di vista realistico.

Dire “l’anima esiste perché la sento” è ragionevole come dire “l’imputato è innocente perché lo sento”, o come dire “perché sento che chi dice il contrario perseguita l’imputato”. Quest’ultimo ragionamento, anche se di moda, resta un’idiozia. Gli stati di fatto vanno accertati, come l’innocenza o la colpevolezza di un imputato. Non si “sentono” perché non sono sensazioni, ma convinzioni sulla realtà. Dunque se qualcuno “sente cose spirituali”, sente sicuramente qualcosa e pensa che si tratti di cose spirituali. La sua sensazione non è una prova della validità di ciò che pensa e ciò che pensa va dimostrato a parte.

Le persone che si propongono di “educare alla spiritualità”, di fatto, presentano modelli di vita da emulare e descrivono come riprovevoli altri modelli e, in questo modo, fanno interventi pedagogici, più o meno validi, ma perfettamente comprensibili anche da parte di chi non è spiritualista.

In genere, chi ha convinzioni ben meditate sull’esistenza dello spirito, non scalpita per “intervenire sul piano spirituale” delle altre persone, dato che ritiene che su tale piano avvenga ciò che deve avvenire. Cerca piuttosto di agire bene, di descrivere i fatti della vita in termini comprensibili e di favorire la crescita di rapporti interpersonali rispettosi. La maniacalità educativa finalizzata alla “coltivazione intensiva” della spiritualità, in realtà, interessa solo le persone con convinzioni spiritualistiche ed anche religiose.

2.Spiritualismo e religione
Parlare di spiritualità o di spiritualismo non equivale a parlare di religione e nemmeno di una particolare religione. Anche questa affermazione, del tutto ovvia, non è scontata. Normalmente le persone confondono spiritualismo e religione perché le “convinzioni spiritualiste” sono in genere veicolate dalle istituzioni religiose e perché molto raramente le persone si chiedono (indipendentemente dalle pressioni religiose) se la realtà in cui vivono sia solo materiale o si svolga su più “livelli”.

Varie dottrine spiritualiste, come ad esempio, il buddismo (Dalai Lama, 1994) non sono religioni in senso stretto e ci sono vari indirizzi del pensiero, come ad esempio la teosofia, che affermano l’esistenza di un piano spirituale, anzi, di vari piani e “corpi” più o meno “sottili” (Blavatsky, 1889), pur considerando le religioni come modi approssimativi e “popolari” di interpretare la realtà.
Se qualsiasi religione implica almeno l’esistenza di un’anima o di uno spirito nella costituzione degli esseri umani, le filosofie spiritualiste non si traducono necessariamente in un insieme di convinzioni religiose.

Le religioni affermano l’esistenza di una o più divinità e in genere implicano che tale divinità imponga una morale. Implicano anche varie idee sul rapporto fra gli uomini e la divinità e, in genere ipotizzano nelle persone un conflitto interiore fra le istanze dello spirito e quelle del corpo. Suggeriscono o impongono quasi sempre anche dei rituali da seguire per vivere in armonia con i comandamenti divini e per onorare la divinità stessa. Tutto ciò non è implicato dall’idea di una realtà spirituale.
Lo spiritualismo, (di tipo religioso o non religioso), afferma uno stato di fatto (la “esistenza”, dello “spirito”), ovvero un’ipotesi sulla realtà. Facendo affermazioni sulla realtà, qualsiasi tipo di spiritualismo si traduce in enunciati che rispettano o violano la logica e che sono più o meno rispettosi dei fatti. Prenderò ora in considerazione vari approcci alla spiritualità per chiarire se si basano su enunciazioni corrette o sconclusionate.

3. Spiritualismo e “significato” della vita
Di fronte al nichilismo, che è, sostanzialmente, un cattivo umore venduto come “concezione della realtà”, alcuni pensatori hanno suggerito che lo spirito possa riempire il senso di vuoto che, secondo loro, caratterizza l’esistenza umana. Tali pensatori, in ultima analisi condividono le assunzioni di base (discutibili) dei nichilisti, pur proponendo “soluzioni” diverse al problema
Certe idee pesano come un macigno: l’idea che la persona si riduca al suo tubo digerente (Feuerbach), l’idea che la società sia un formicaio regolato come un orologio (materialismo storico), o l’idea che gli uomini siano “condannati ad essere liberi” (Sartre) sono incubi. C’è anche di peggio: l’idea arrogante e deprimente che gli uomini abbiano ucciso dio (Nietzsche) o che siano gettati nel mondo come degli stracci (Heidegger). A queste idee filosofiche si possono aggiungere molti testi letterari decisamente depressivi e definiti dagli intellettuali come “testimonianze di un’epoca”.

Si può capire che la reiterazione di queste asserzioni sconfortanti abbia sollecitato filosofi più ottimisti ad affermare che questa “condizione umana” potrebbe essere solo la superficie di una realtà più succosa e confortante. Gli esistenzialisti spiritualisti, ci hanno quindi suggerito che la pace interiore è possibile, ma non in questo mondo. Ci hanno quindi rifilato un antidepressivo postdatato.
L’idea è molto intrigante. Siamo tentati di placare un disagio soggettivo (psicologico) non risolto, ricorrendo ad un trucco: prima confondiamo il problema personale con una negatività filosofico-esistenziale oggettiva, poi la “risolviamo” con una positività filosofica altrettanto oggettiva. Tuttavia, il tuffo nel mare della dimensione spirituale è ragionevole se e solo se si dimostra, indipendentemente dalle nostre voglie, l’esistenza di tale mare. La speranza di una via d’uscita non può essere una prova dell’esistenza di una porta aperta. I filosofi ottimisti, in pratica, si tirano su con lo spirito anziché con una sbronza, ma così schivano due sfide importanti che andrebbero realmente affrontate: la prima (psicologica) riguarda il compito di convivere bene con se stessi in una realtà che include anche il dolore e la morte [cfr. il POST Ancora su Randy Pausch e sulla morte] e la seconda (conoscitiva) riguarda la necessità di comprendere SE è ragionevole affermare l’esistenza di un piano di realtà non materiale.

Su un piano meno accademico o istituzionale, la cultura New Age ha fatto la stessa operazione di “salvataggio del senso”. Nel mondo del “pensiero positivo” ci sono anche cose buone. Io sottolineo quelle meno buone, sia per il mio caratteraccio, sia perché il boom commerciale della spiritualità, pur rallegrando molti ingenui, costituisce di fatto un ostacolo a riflessioni più serie. Il trucco di questo orientamento (peraltro variegato) sta nel marketing della ripetizione delle idee. Non solo i reazionari, i razzisti e i padani, a forza di ripetere idiozie fanno davvero credere a molti che occorra “più ordine”, che gli “altri” siano peggio di noi o che “esista” la padania. Anche gli spiritualisti ottimisti, a forza di ripetere che le nostre sfighe sono solo un incidente di percorso, che prelude ad un insight coscienziale di portata cosmica, creano solidissime convinzioni (in chi è predisposto). Io non sono contrario all’idea che noi abbiamo degli Angeli custodi. Credo che sia possibile. Per lo meno sono certo che non sia impossibile. A volte, però, qualcuno dice a qualcun altro, guardandolo con uno sguardo “profondo” in un ambiente puzzolente per gli incensini accesi, di essere in contatto diretto (“spirituale”) con il suo Angelo e di poter quindi riferire che l’altra persona è una brava persone e che, al di là del momento difficile, troverà ciò che cerca. La persona si illumina di immenso e si rilassa. In questi casi, un po’ mi incazzo, anche se, in fondo, quelli che ci cascano sono responsabili di aver voluto prendere questa scorciatoia.

Al di là della moda New Age, abbiamo a disposizione una vasta letteratura riguardante esperienze di comunicazione con un’altra dimensione, come ad esempio quella del Cerchio di Firenze 77 (Cerchio di Firenze 77, 1977). Su tali resoconti è doveroso indagare senza pregiudizi, in un senso o nell’altro, esaminando anche gli studi che mettono in discussione l’autenticità di questi fenomeni. Una critica serrata dell'intera e complessa vicenda del medium fiorentino è stata svolta da Massimo Polidoro e Luigi Garlaschelli (2001); la loro disamina dei fatti non mi sembra però conclusiva.

Al di là delle valutazioni di questa e di altre esperienze di trance medianica, ciò che conta è che non si cerchi di credere ciò che si vuole credere, allo scopo di trovare un senso alla nostra vita. Se non troviamo un significato in ciò che sentiamo, pensiamo e facciamo ogni giorno, stiamo manifestando una nostra difficoltà soggettiva e abbiamo bisogno di trovare un rapporto migliore con noi stessi e non con una possibile dimensione spirituale.

Su un piano ancor meno speculativo e totalmente destabilizzante vi sono tradizioni di conoscenza, o almeno di possibile conoscenza, che minano alla radice la nostra idea di realtà e ci sollecitano a prendere in considerazione che tutta la vita reale sia “altra” rispetto alla “piccola” realtà a cui siamo aggrappati. Mi limito a considerare brevemente un solo punto di vista riportato in un testo abbastanza provocatorio, ma con un certo sapore di autenticità.
“E’ facile smettere di identificarsi col corpo: osserva il corpo, osserva la forza vitale del respiro. Se puoi osservarli, significa che tu ne sei distinto. Proprio come, in seguito, quando osserverai la coscienza, sarai al di là della coscienza” (Nisargadatta Maharaj, 1983, p. 275).
In questa visione delle cose, non c’è spazio per rassicurazioni tradizionali. Per Maharaj “Avere una fede religiosa non è altro che compiacersi di un’emozione. Come pure credere alla nascita e alla morte. (…) Non fare nulla. Sii semplicemente. La meditazione non è altro che questo. Rimani immutabilmente ancorato alla coscienza di essere” (p. 274). In questa prospettiva non si fa alcuna concessione alla voglia di fuga dalla confusione emozionale che porta tante persone a cercare “rifugio” in rituali o idee o ripetizioni ossessive di frasi fatte sulla realtà spirituale. All’allievo ansioso di trovare qualche sicurezza psicologica fasulla, Maharaj replica, implacabile: “Tu vuoi liberarti di Maya [l’illusorietà dell’esistenza, G.R.], ma questo ‘tu’ è Maya. Il desiderio di sfuggirla è proprio ancora Maya” (pp. 212-213).

Questa visione dell’uomo e della realtà è radicalmente “altra” rispetto alla conoscenza che riguarda il nostro ordinario stato di coscienza e suggerisce che la realtà sia diversa da quella che percepiamo e che confermiamo con la complicità dei nostri “colleghi di cecità”. Per me può essere. Perché no? Ciò di cui però sono sicuro è il fatto che, al momento, non mi trovo in quel (possibile) stato “di coscienza” o di “non più coscienza”, sempre che esso sia uno “stato” di (qualche) “realtà”. La battaglia mi intriga, ma devo avere l’umiltà di riconoscere che non è la mia. Io mi sveglio e ho voglia di burro, marmellata e caffè; non rispondo al telefono prima di aver fumato la prima sigaretta, se non voglio essere sgarbato. Se mi svegliassi pensando che la vita fa schifo non cercherei una panacea spirituale, ma mi chiederei cosa sto facendo per vivere male e cosa posso fare per vivere più in pace con me stesso, indipendentemente da qualsiasi piano spirituale di consapevolezza. Forse la mia vita ha anche un ALTRO significato spirituale, ma non ne so nulla. Forse ha un altro significato ad un altro livello di consapevolezza, o in un altro “stato mentale” o “stato dell’essere”. Rispetto chi cerca in quella direzione, ma solo SE non fa come quelli che Maharaj stesso stigmatizza come cercatori fasulli che vogliono trovare soluzioni spirituali a grovigli emozionali non risolti. Nella realtà che riconosco come mia, in cui ci stanno poeti e patrioti, innamorati e mafiosi, pensatori e dementi, mi assumo la responsabilità di trovare il significato della mia vita. Voglio e devo farlo con i mezzi che ho a disposizione. Questa condizione rappresenta il minimo di onestà che posso avere con me stesso.

4. Spiritualismo e rivelazione
Tornando alle concezioni spiritualiste, che affermano (a ragione o a torto) un (possibile) dato di fatto (l’esistenza dello spirito), dobbiamo ricordare che in diversi casi esse hanno giustificato i loro assunti sulla base di una (presunta) “rivelazione divina”. Tuttavia, le “prove” dello spiritualismo basate su una “rivelazione” spostano solo un po’ più in là il problema: se qualcosa è stato rivelato da dio è sicuramente indiscutibile, però bisogna dimostrare che dio abbia davvero detto certe cose. La rivelazione può quindi dimostrare l’esistenza dello spirito, ma solo se è a sua volta dimostrata. Ora, per le grandi religioni monoteiste, la rivelazione divina risale ai tempi di Mosé e le testimonianze dell’autenticità di tale religione risalgono alla stessa epoca. Per le varie religioni cristiane, le testimonianze della nuova rivelazione divina manifestate da Gesù risalgono a due millenni fa e, per la religione islamica, la testimonianza della rivelazione divina a Maometto risale ad un millennio e mezzo fa.

Milioni di persone normalmente dicono: “Quello scienziato ha dimostrato la tal cosa, ma chissà se ha dimostrato davvero in modo conclusivo la sua idea”. In altri casi dicono: “Cento persone hanno avvistato e fotografato un UFO vicino a Denver, ma chissà se lo hanno davvero visto o solo immaginato e chissà se la foto scattata è stata ritoccata o se comunque riguarda davvero un UFO!”. Tuttavia, una parte di queste stesse persone pensa che i dodici comandamenti siano stati incisi da dio su due tavole di pietra in un remoto passato e che costituiscano la sua rivelazione. Da questa base “certa” traggono conseguenze altrettanto “certe” riguardanti la loro anima. L’argomentazione non regge.

5. L’equivoco della fede
Un contadino amico di un amico del mio nonno pregava così:
“Signore (se ci siete), fate che la mia anima (se ne ho una), vada in paradiso (se esiste)”.
Questa preghiera è una perla di rigore intellettuale. Questo contadino, analfabeta, manifestava una sua propensione alla fede religiosa, ed anche una chiara consapevolezza della distinzione fra ciò che riteneva possibile e ciò che conosceva con certezza. Ovviamente precisava i propri dubbi (quelli che ho riportato fra parentesi) più a se stesso che all’interlocutore.

Tutt’altra cosa è la “logica della fede” che si articola in due enunciati: a) l’assurda ingiunzione di dover aver fede e b) l’idea bizzarra che la fede venga “donata”. Esaminiamo brevemente i due enunciati.
a) La fede (fiducia) è un atteggiamento che discende da una convinzione e non è un comportamento. Si può prescrivere un comportamento e si può anche obbedire: quando un cartello vieta l’accesso ad una strada noi possiamo obbedire anche se avremmo voglia di disobbedire. Nessuno può però prescrivere una convinzione perché le convinzioni sono rese possibili da un processo conoscitivo (rigoroso, approssimativo o manipolato). Non si può prescrivere nemmeno un atteggiamento (la fiducia) se mancano le convinzioni che possono giustificare tale fiducia. L’idea di “dover aver fede” o di dover cercare di aver fede è quindi semplicemente sballata. Tale idea costituisce semplicemente una manipolazione.
b) Per gli stessi motivi, la fede non può essere “donata” come un panettone, proprio perché la fiducia si acquisisce e non si “riceve”. Essendo un atteggiamento che deriva da una convinzione, dipende dalle ragioni che la sostengono. Si può donare la fede solo “donando” buone ragioni per credere e, se una persona crede senza buone ragioni, si sta semplicemente aggrappando ad un’illusione.

6. L’equivoco della morale
Un altro discorso sballato che sovente viene fatto, costituisce un doppio salto mortale logico (con caduta disastrosa). Alcuni partono dalla sensazione “indiscutibile” del bene e del male, e da questo deducono che deve esserci uno spirito.
Purtroppo (primo salto mortale) noi non possiamo sentire né il bene né il male, perché il bene e il male sono concetti. Possiamo sentire il vento fra i capelli se andiamo in moto, ma non possiamo sentire né il laicismo, né la democrazia, né la femminilità, né il bene, né il male. Possiamo, invece, PENSARE in termini di bene o male e a volte possiamo anche fare dei ragionamenti corretti sul tema. Purtroppo (secondo salto mortale), la nostra capacità di ragionare correttamente (o anche di sragionare) sul bene e sul male, non dimostra che tali ragionamenti, per quanto elevati, siano dovuti ad uno “spirito” irriducibile a tutto ciò che conosciamo della nostra vita di esseri umani.
Le valutazioni etiche, quindi, non implicano necessariamente un piano di consapevolezza o di realtà distinto da quello che include le nostre competenze intellettive ed emozionali. Non implicandolo (e non escludendolo), lasciano aperta la questione. Se vogliamo parlare in modo comprensibile e accettabile di spirito o di anima, dobbiamo quindi dare alle nostre affermazioni delle basi e delle argomentazioni adeguate allo scopo e indipendenti dal fatto (ovvio) che spesso facciamo considerazioni di tipo morale.

7. Spiritualismo e scienza
L’idea che la realtà non includa solo i fatti ordinariamente definiti come “materiali” e indagati dalla scienza (sassi, automobili, animali, sentimenti, ricordi, ecc.), ma anche altri fatti di ordine non “materiale”, eppure assolutamente reali, è un’idea legittima che va però giustificata. Molti si sono adoperati per dimostrare la fondatezza o infondatezza di quest’idea.
Parlare di spiritualismo ha senso esclusivamente sulla base di affermazioni accettabili sulla realtà. Gli spiritualisti affermano l’esistenza di un piano (o di vari piani) di realtà irriducibili a ciò che (in un linguaggio semplice) chiamiamo “materia”. Tale affermazione, a mio avviso non è priva di significato, ma deve dipendere da qualche riflessione convincente.

Noi sappiamo (e sempre con qualche margine di dubbio) che esistono “cose” che chiamiamo “gatti” e che non esistono “cose” che chiamiamo “asini che volano”. Al momento ci risulta che le cose stiano così perché ci siamo impegnati a indagare assieme la realtà facendo osservazioni accurate, ipotizzando spiegazioni, esplicitando le conseguenze logiche di tali spiegazioni, e controllando l’occorrenza di tali ipotizzate conseguenze. Concordiamo, quindi, fino a prova contraria, sull’esistenza dei gatti e sulla non esistenza degli asini volanti. Sugli UFO, però, riscontriamo delle controversie, ma le discussioni avvengono comunque sulla base dell’osservazione e del ragionamento. Nessuno direbbe seriamente che gli UFO esistono perché il suo amico Gaspare è convinto della loro esistenza.

Dopo aver sfrondato gli equivoci che caratterizzano i luoghi comuni sullo spiritualismo, arriviamo ad una conclusione estremamente ragionevole e sgradita alla maggior parte degli spiritualisti (che “credono” perché in realtà vogliono credere) ed agli stessi materialisti (che “non credono” perché non vogliono credere).

Il fatto che nove decimi della popolazione mondiale sia religiosa non dimostra l’esistenza dello spirito più di quanto la diffusione del nazismo in Germania dimostrasse l’inferiorità degli ebrei. Se escludiamo quindi le “prove” che ho esaminato (esistenziali, emotive, morali, ecc.), dove andiamo a cercare elementi davvero rilevanti per affermare o negare la possibilità di piani di realtà di tipo spirituale?
Nell'ambito della parapsicologia si studiano fenomeni che, per quanto interessanti (ad esempio, la telepatia o lo studio di ipotetici fenomeni ufologici), non mettono necessariamente in crisi la visione della realtà che la scienza occidentale implica. Si studiano però anche fenomeni che, se riconosciuti come fatti, inevitabilmente portano ad una rivoluzione concettuale nelle premesse stesse del pensiero scientifico occidentale.
Mi riferisco allo studio di ipotetiche manifestazioni di vita personale dopo la morte (cfr. Moody jr., 1975) o prima della nascita (cfr. Dethlefsen, 1974), di esperienze “fuori del corpo”, abbreviate con O.B.E., cioè Out of Body Experiences (cfr. Tart 1968 e 1974; Green, 1968; Monroe, 1971; Greenhouse, 1974; Margnelli, 1991; Ellison, 1998), di esperienze di "alta medianità" (cfr. Ravaldini, 1988; Ravaldini, 2000; G. di Simone, 1986; Roberts, 1970 ). Possiamo anche considerare resoconti attendibili di fatti decisamente strani (bambini che conoscono persone mai incontrate e le loro case in cui non sono mai stati e in cui qualcuno è morto poco prima della loro nascita), che sembrano comprensibili solo ipotizzando la reincarnazione (cfr. Stevenson, 1966 e 1997).
Questi ambiti di ricerca sono importantissimi perché, se certi fenomeni vengono semplicemente ammessi, conducono all’idea di una dimensione soggettiva sganciata dal corpo e quindi implicano l'esistenza di piani di realtà diversi dall'unica "realtà" che costituisce l'oggetto specifico della ricerca scientifica.
Non credo di dover spendere troppe parole per esprimere il mio personale punto di vista; rinvio, pertanto, il lettore allo studio di punti di vista diversi e opposti di studiosi che hanno approfondito adeguatamente le problematiche parapsicologiche (cfr. Luccio, 1982, Moss, 1986).

Le mie convinzioni personali (provvisorie) non mi confortano minimamente sul significato che cerco di dare alla mia vita (e che dipende dal mio rapporto con me stesso e non dal fatto che il mondo sia “solo materiale” o un po’ più “largo”).
A me non importa nemmeno che le persone abbiano convinzioni spiritualiste o materialiste. Mi turba il fatto che tante persone abbiano su questo argomento (e su tanti altri!) delle convinzioni pregiudiziali, perché il pregiudizio è come l’inquinamento: rovina la vita. Non sopporto che uno dica “Sono materialista perché detesto il papa”, o che uno dica “sono spiritualista perché sento che deve esserci qualcosa di più grande di noi”.
Poiché lo spiritualismo è una concezione che afferma qualcosa sulla realtà, va valutata come qualsiasi altra teoria, cioè sulla base del potere esplicativo che ha nei confronti della realtà stessa. Come qualsiasi teoria va valutata indipendentemente dai desideri, dalle speranze e dalle passioni dei ricercatori.

Gianfranco

P.S. Suggerisco due siti che mi sembrano interessanti.

La Fondazione Biblioteca Bozzano-De Boni, con sede a Bologna (40122 - Via G.Marconi 8) rappresenta una delle più ampie raccolte specializzate, in Europa e nel mondo di pubblicazioni e riviste concernenti la ricerca nell'ambito del paranormale. Il sito della Fondazione è alla pagina web:
http://www.bibliotecabozzanodeboni.it/biblio.htm

Il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale (Cicap) è un'organizzazione scientifica e pedagogica, senza fini di lucro, che promuove un'indagine scientifica e critica nei confronti del paranormale. Il sito del Cicap è alla pagina web:
http://www.cicap.org/




Bibliografia

H. P. Blavatsky (1889), La chiave della teosofia, trad. it. Astrolabio, Roma, 1982)
Cerchio Firenze 77 (1977), Dai mondi invisibili, Edizioni Mediterranee, Roma, rist.1988.
Dalai Lama (1994), La via della liberazione, trad.it. Nuove Pratiche Editrice, Milano, 1996.
T. Dethlefsen (1974), Vita dopo vita, trad.it. Edizioni Mediterranee, Roma, 1978, rist. 1986.
G. di Simone (1986), Colloqui con A. Mediterranee, Roma
A.Ellison (1998), Alcune recenti ricerche sperimentali sugli stati alterati di coscienza, in Luce e Ombra, N.3, 1998.
C.Green (1968), Esperienze di bilocazione, trad.it. Mediterranee, Roma, 1970.
H.B.Greenhouse (1974), Il corpo astrale, trad.it. Armenia, Milano, 1976.
R.Luccio (1982), A prova di leprecauno: fenomeni paranormali e razionalità scientifica, in: Giornale Italiano di Psicologia, vol.IX, n.2.
Nisargadatta Maharaj, 1983, Alla sorgente dell’essere, trad.it. Aequilibrium, Milano, 1985
M. Margnelli (1991), L'esperienza fuori dal corpo, in Metapsichica, Anno 46, Numero unico.
R.A.Monroe (1971), I miei viaggi fuori dal corpo, trad.it. Meb, Padova, 1974, rist. 1987.
R.A.Moody jr. (1975), La vita oltre la vita, trad.it. Mondadori, Milano, 1977.
T.Moss (1974), La probabilità dell'impossibile, trad.it. Astrolabio, Roma, 1976.
M.Polidoro-L.Garlaschelli (2001), Investigatori dell'occulto, Avverbi, Roma
S.Ravaldini (1988), Realtà e mistero, Conti, Bologna.
S.Ravaldini (2000), La medianità: excursus storico ed evoluzione, in Luce e ombra, n.2, 2000.
J Roberts (1970), Dialoghi con Seth, trad. it. Mediterranee, Roma, 1986
I. Stevenson (1966, 1974), Reincarnazione – 20 casi a sostegno, trad.it. Armenia, Milano, 1975.
I.Stevenson (1997), Le prove della reincarnazione, trad.it. Armenia, Milano, 1999.
C.T.Tart (1968), A Psychophysiological Study of Out-of-the-Body Experiences in a Selected Subject, in The Journal of the American Society for Psychical Research, Vol. 62, No.1, 1968.
C.T.Tart (1974), Esperienze fuori dal corpo in: E.D.Mitchell (a cura di), Esplorazioni psichiche in U.S.A., trad.it. Meb, Torino, 1975.

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