Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

domenica 5 dicembre 2010

In fondo siamo tutti cuccioli


Poche persone non trovano belli i cuccioli. Parlo dei cuccioli di animali, includendo fra essi anche i nostri cuccioli: i neonati ed i bambini. In realtà ci sono persone insensibili persino ai cuccioli oppure capaci di rivolgere ad essi delle “carinerie” solo per non sembrare troppo “ruvide”. Tuttavia sembra una caratteristica radicata nell’animo umano la capacità di apprezzare, ben volere e anche proteggere i cuccioli. Persino gli altri animali, spesso battaglieri con i loro simili o con membri di altre specie rinunciano alla loro aggressività nei confronti dei cuccioli.


Credo che una discussione approfondita sui motivi per i quali i cuccioli, in generale suscitano bei sorrisi, tenerezza, attenzione, “apertura di cuore” porterebbe in un ambito difficile da attraversare con un linguaggio rigoroso. Tuttavia alcuni dati portano a ritenere che la tanto diffusa benevolenza verso i cuccioli abbia uno stretto collegamento con il fatto che tutti siamo stati cuccioli. Quindi, sia che tiriamo in ballo la memoria conscia o inconscia, l’idea di sé o il principio di autoconservazione facilmente arriviamo a comprendere che, essendo stati cuccioli, possiamo anche sentirci molto “lontani” dagli orsi o dalle tigri, ma in qualche modo ci sentiamo “vicini” ai cuccioli di questi animali.


Proseguendo su questa linea di pensiero possiamo quindi ritenere che il nostro rapporto con i cuccioli abbia a che fare con il nostro rapporto con noi stessi, e quindi con l’estensione della nostra accettazione delle varie “parti” che costituiscono la nostra identità. Noi siamo molte cose: autonomi e dipendenti, forti e deboli, vulnerabili ed aggressivi, vivi e destinati a morire … ed anche adulti e cuccioli. Ciò che siamo stati contribuisce a definire la nostra identità.


Uno degli aspetti che caratterizzano i cuccioli è la trasparenza con la quale esprimono i loro bisogni e le loro emozioni e credo che questa trasparenza sia da noi apprezzata perché noi stessi, da piccoli abbiamo sentito con forza il senso di bisogno e le nostre emozioni. Crescendo siamo diventati abili nel dissimulare sia i bisogni sia le emozioni ed anche ad aggiungere esigenze false ed emozioni distorte all’insieme di quelle che inevitabilmente ci appartengono. Tuttavia, sotto la crosta della nostra struttura caratteriale edificata in risposta ad esperienze precoci di solitudine e di rifiuto, palpita la nostra profonda sensibilità, intatta e simile a quella che i cuccioli ci “sbattono in faccia” in modo “spudorato”.


Nei cuccioli vediamo in fondo il nostro paradiso perduto, quella autenticità che abbiamo imparato a celare per sentirci “seri”, “forti”, “bravi”, o almeno sopportabili. Non a caso proviamo più tenerezza per gli animali adulti che per gli umani adulti, dato che ad esempio un cane adulto è più simile ad un cucciolo di cane di quanto un adulto umano sia simile ad un bambino. Non a caso proviamo tenerezza per un cane adulto che aspetta visibilmente eccitato la sua “pappa” o che cerca le coccole o che dorme.


Niente ci impedisce di provare tenerezza per noi stessi, da adulti, o per i nostri simili, dato che tutti siamo in fondo bisognosi, sensibili e vulnerabili. Tuttavia, proviamo questo sentimento soprattutto per i cuccioli perché per provare tenerezza verso noi stessi dovremmo conoscerci nei nostri aspetti più delicati e quindi dovremmo avere una familiarità, in genere smarrita, con la nostra sofferenza. La corazza con cui ci siamo resi poco consapevoli dei nostri bisogni e dei nostri limiti e poco in contatto con le nostre emozioni, ci impedisce spesso di provare tenerezza verso noi stessi, di parlare a noi stessi di ciò che siamo: vulnerabili, amabili e consapevoli dell’indifferenza e dei rifiuti che hanno prodotto ferite interiori. La corazza caratteriale ci limita e ci altera il dialogo interiore, lo rende banale, “pratico”, privo di compassione.


Il dialogo interiore ha come base la consapevolezza dei desideri, la consapevolezza delle risposte positive e negative che i nostri desideri incontrano, la consapevolezza delle emozioni (soprattutto gioia e dolore) con cui reagiamo alle gratificazioni ed alle frustrazioni. La decisione presa nell’infanzia da quasi tutte le persone, di ridurre il contatto con il dolore si traduce in una desensibilizzazione rispetto ai desideri o in una non accettazione dei rifiuti. Nel dialogo interno includiamo a volte i “festeggiamenti interiori” per le belle notizie ma quasi sempre escludiamo i “lutti” per le brutte notizie. Preferiamo fare con noi stessi discorsi contorti sulle ingiustizie della vita, sulle colpe nostre e altrui, sul disgusto per la realtà e su tante banalità più o meno intellettualizzate che ci impediscono di farci davvero compagnia.


Le distorsioni del nostro dialogo interno ci allontanano dalla consapevolezza trasparente di ciò che siamo e soprattutto dalla nostra vulnerabilità. Per questo troviamo bello un cucciolo che chiede le coccole: perché sappiamo che egli manifesta la nostra natura più profonda. Per questo in genere non ci troviamo abbastanza belli: perché ormai ci siamo scordati della nostra natura profonda, della nostra vitale dipendenza dagli altri, della nostra esigenza di essere amati e delle tante ferite riportate nelle ricerche d’amore condotte “apertamente” (senza corazza) nei primi anni della nostra vita. Oggi ci amiamo poco ma ci sentiamo invulnerabili. Ci sentiamo feriti da un’offesa ma non da un contatto superficiale, dato che non ci permettiamo di desiderare un contatto profondo. Tale invulnerabilità riguarda sia i tipi “tosti”, sia i soggetti piagnucolosi, perché questi ultimi hanno una struttura caratteriale non meno dura di quella dei tipi “tosti”: si lamentano sempre ma di (presunti) diritti non rispettati e non di bisogni non soddisfatti. I tipi “deboli” non sono mai tristi ma rabbiosi (anche se in modo indiretto).


Su questa linea di pensiero possiamo dire che riusciamo a percepire come belle e cariche di valore quelle realtà che in qualche modo ci appartengono. E possiamo dire che quindi più ci conosciamo e ci rispettiamo, più estendiamo l’ambito di ciò che apprezziamo. Quindi, conoscersi, amarsi, avere cura di sé porta a comprendere amare e rispettare gli altri, con buona pace dei moralisti che svalutano gli atteggiamenti “interessati”: di fatto, più ci interessiamo a noi stessi e più possiamo interessarci agli altri. I comportamenti contrassegnati da arroganza, avidità, prepotenza non sono il risultato di un vero interesse per noi stessi, ma di una distorsione difensiva e disturbata del rapporto con noi stessi: proprio perché ci svalutiamo sentiamo il bisogno di ricchezza, fama, potere.


Quindi, essendo cresciuti in condizioni non ottimali sul piano affettivo, ci siamo corazzati contro il dolore, abbiamo limitato la consapevolezza della nostra fragilità (quindi della nostra umanità), abbiamo limitato l’amore per noi stessi e la nostra capacità di amare gli altri. In genere, qualcosa salviamo dell’amore per noi e nella stessa misura riusciamo a provare sentimenti di amore (cioè di “bene-volenza”) verso gli altri. Con i cuccioli troviamo più facile “lasciarci andare” sia per via del modo “sincero” con cui esprimono la loro bellezza, sia perché non ci minacciano.


Le persone che non provano benevolenza nemmeno per i cuccioli (compresi i neonati ed i bambini) sono talmente corazzate da aver spezzato quel filo di consapevolezza che le collegava “almeno da lontano” alla loro interiorità più profonda. Tuttavia ci sono persone molto sensibili verso i cuccioli ed i bambini che ci risultano rigide nella loro disponibilità e in qualche modo artificiose. Sono rabbiose (giustamente) verso chi “maltratta i deboli”, ma sono mosse più dalla voglia di combattere che dalla compassione. Il confine è sottile, ma percepibile: la voglia di combattere ci serve a sentirci forti, mentre la semplice disponibilità a combattere ha come scopo solo il bene dei soggetti che intendiamo proteggere. Queste persone “rigidamente genitoriali”, in pratica si occupano dei deboli più per sentirsi forti che per il bene dei loro beniamini. Si occupano dei deboli per non sentirsi deboli. Le persone che hanno cura dei cuccioli e dei bambini per il loro bene sono calde, semplici e solo quando è necessario combattono. Le persone che assumono una identità rigidamente protettiva, sono in fondo fredde, rigide, irritabili e “bisognose” di combattere. Magari sono anche utili a certe cause, ma esclusivamente sul piano pratico. Sono “perse” in un ruolo di potere, anche se esercitano il potere in ambiti in cui la lotta è ragionevole. Tali persone si distinguono da quelle che non hanno tale problema più per il loro atteggiamento che per i contenuti che affermano, più per il modo in cui agiscono che per ciò che fanno.

La cosa migliore è sicuramente permettersi di sentirsi cuccioli e quindi “allargare” il proprio sentire all’amore per i cuccioli … e magari anche per gli adulti che hanno sepolto la loro fragilità sotto una corazza rigida. Quest’ultimo passaggio è difficile, perché le persone che si sono dissociate dalla propria fragilità riescono a volte ad essere davvero sgradevoli e distruttive. A volte dobbiamo tenerle a distanza e perfino combatterle, ma facciamo un regalo a loro ed a noi stessi se teniamo presente che in fondo sono terrorizzate da ciò che hanno dentro quando esasperano gli altri.


In ultima analisi, la sensibilità delle persone nei confronti dei cuccioli costituisce un test interessante che può favorire una comprensione del modo in cui le persone si comprendono e si accettano.


Gianfranco


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